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L’Europa dice sì alla fusione Bayer-Monsanto

La Commissaria UE alla concorrenza, nei giorni scorsi, ha dato il suo imprimatur alla maxi fusione Bayer-Monsanto, da cui nascerà il più grande player di sementi e pesticidi. [Rinnovabili.it]

L’Europa dice sì alla fusione Bayer-Monsanto
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3 Aprile 2018 - 07.45


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da Rinnovabili.it

Sì alla fusione Bayer-Monsanto. La Commissione Europea ha dato il via libera al matrimonio tra i due colossi della chimica e dell’agroindustria. Uno braccio statunitense, uno tedesco, oggi mossi da un unico cuore che pompa miliardi di dollari l’anno e controlla quasi il 30% del mercato di semi e pesticidi. La megafusione ha il benestare dell’Europa, a patto che Bayer venda una parte delle sue attività a terzi, così da “rassicurare Bruxelles che non ci sarà monopolio nei settori delle sementi, dei pesticidi e dell’agricoltura digitale”Secondo la Commissaria alla concorrenza, Margrethe Vestager, “abbiamo assicurato che il numero di player globali attivi nel mercato resti lo stesso, cosa importante perché ci serve una concorrenza che assicuri agli agricoltori scelta su differenti varietà di semenze, pesticidi, a prezzi convenienti. E ci serve concorrenza per spingere le aziende ad innovare nell’agricoltura digitale e a sviluppare nuovi prodotti che incontrino gli alti standard regolatori dell’UE”.

Bayer ha proposto di cedere 6 miliardi di dollari di asset a BASF, altro gigante tedesco del comparto agroindustriale. Se la soluzione convincerà l’esecutivo comunitario, niente potrà impedire la nascita del nuovo titano dell’agribusiness. La nuova “Baysanto” sarà infatti il primo soggetto al mondo nel campo di sementi e pesticidi, i due prodotti che consentono a pochissime aziende di controllare gran parte dell’agricoltura mondiale. Bayer è il secondo più grande fornitore di pesticidi sul pianeta, con una maggiore concentrazione del business in Europa. Vende anche semi per una diverse colture. Monsanto è il più grande fornitore di sementi, e i suoi affari sono concentrati soprattutto negli Stati Uniti e in America Latina. L’azienda vende anche il glifosato, diserbante più utilizzato nel settore accusato di provocare il cancro. Nonostante un dibattito di fuoco, che ha visto contrapporsi consumatori e ambientalisti a politica e industria, a novembre il glifosato ha incassato un rinnovo dell’autorizzazione al commercio in Europa. Neanche a dirlo, con il voto decisivo della Germania.

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APPROFONDIMENTO

Cosa succede se pochi giganti controllano il nostro cibo

Se le maxi fusioni tra giganti dell’agroindustria e della chimica proseguiranno con questo ritmo, l’accumulo di potere sulle modalità di produzione del cibo sul pianeta aumenterà al punto da causare gravi danni all’agricoltura e agli agricoltori. Lo afferma il nuovo rapporto dell’iPES, il panel internazionale di esperti sulla sostenibilità dei sistemi alimentari, presieduto dall’ex relatore speciale dell’ONU sul diritto al cibo, Olivier de Schutter.

Il dossier mette sotto la lente l’oligarchia delle grandi multinazionali agroalimentari e prova a tracciare degli scenari partendo dagli impatti dei grandi movimenti di capitale che stanno portando all’aggregazione di soggetti già leader del mercato. In questa partita, spiegano gli esperti dell’iPES, le piccole e medie imprese di coltivatori rischiano di dover far fronte a costi crescenti, che porteranno ad un aumento del prezzo finale anche per i consumatori.

Le grandi manovre dei colossi agrochimici sono iniziate nel 2015: dalla fusione da 130 miliardi di dollari tra Dow e DuPont all’acquisizione di Monsanto da parte di Bayer per 66 miliardi, fino al buyout da 43 miliardi di Syngenta operato da ChemChina, che ora pianifica una fusione con Sinochem nel 2018. Assistiamo ad una concentrazione senza precedenti nei settori delle sementi, dei fertilizzanti, della genetica animale e dei macchinari agricoli, con la nascita di player sempre più grandi e capaci di controllare i passaggi strategici di filiera: la logistica, la trasformazione e la vendita al dettaglio.

Questo consolidamento produce effetti negativi sul settore primario. Oggi, su 570 milioni di aziende agricole, il 70% è di piccola e media scala. Rendere i piccoli produttori sempre più dipendenti da una manciata di fornitori e acquirenti porta a una compressione dei loro redditi e li costringe a cambiare le modalità di produzione. Chi coltiva il nostro cibo sarà indotto ad investire sulle colture richieste dal mercato internazionale, che erodono la sicurezza alimentare a livello locale. Tutto perché l’unica speranza di accedere al mercato passa ormai per le grandi imprese, che adottano una strategia intelligente: non si assumono i rischi della produzione, ma si limitano a stipulare contratti-capestro con gli agricoltori, scaricando su di loro i rischi e negoziano i prezzi da una posizione di forza, poiché controllano gli snodi chiave della catena produttiva. Le fusioni degli ultimi anni consentiranno ai big di riunire i rispettivi capitali economici e politici, rafforzandone la capacità di influenzare il processo decisionale a livello nazionale e internazionale.

«Stiamo camminando su un terreno inesplorato – ha avvisato Pat Mooney, primo autore del rapporto – Se le offerte sul tavolo andranno a buon fine, tre aziende controlleranno oltre il 60% del mercato mondiale delle sementi. Gli agricoltori dovranno affrontare un aumento dei prezzi per i semi tra l’1,5 e il 5,5%». Le stesse tre sorelle avranno il dominio del 70% dell’industria agrochimica e del 75% del mercato dei pesticidi.

Le fusioni avranno l’effetto di accelerare un processo di integrazione verticale già in atto lungo tutta la filiera, arrivando fino ai supermercati. Viste le prospettive – spiega il rapporto – le imprese dominanti sono diventate troppo grandi per alimentare l’umanità in modo sostenibile, troppo grandi per operare in condizioni eque con gli altri attori della filiera e troppo grandi per aprirsi all’innovazione. Piuttosto che guidare i sistemi alimentari verso la sostenibilità, questo meccanismo rafforza solo la logica del modello agroindustriale, causando degrado ambientale e declino economico e sociale.

(22 marzo 2018)

 

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