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Bologna e scuole: ma quale libertà?

Oltre la disputa costituzionale sollevata dal referendum: un diverso modo di concepire il significato autentico della libertà della persona.

Bologna e scuole: ma quale libertà?
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22 Maggio 2013 - 22.36


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di Megachip.

Il referendum
di Bologna sulla questione di abolire o mantenere i finanziamenti pubblici alle
scuole paritarie
può essere una grande occasione di riflessione che va al
di là delle considerazioni di natura strettamente costituzionale già
espresse
in forma esauriente da Stefano Rodotà
. Il referendum offre soprattutto una
chance per riflettere sul significato della parola “libertà” in ambito culturale ed educativo. Si dice che se
vincessero i referendari (che chiedono l’abolizione dei finanziamenti pubblici
alle scuole paritarie) verrebbe meno la libertà della famiglia di scegliere
l’educazione ritenuta più opportuna per i propri figli. È una questione che non
deve essere inquadrata nella storica disputa tra laici e cattolici, ma,
piuttosto, in un diverso modo di
concepire il significato autentico della libertà della persona
. A tal
proposito proponiamo, come spunto di discussione, questo breve passo tratto dal
saggio di Fabio Bentivoglio
Il disagio
dell’inciviltà
,
  pubblicato dalla
CRT di Pistoia nel 2000 (pp. 46-47).

Quale libertà in campo educativo?

di  Fabio Bentivoglio

“La scelta della scuola si inquadra nella questione
più generale del diritto rivendicato da famiglie, istituzioni religiose,
movimenti politici e di opinione, di scegliere per i propri figli scuole
conformi ai valori nei quali ci si riconosce. Si scrive e si ripete che questo
è un diritto che garantisce la vera libertà in campo educativo. Quanti  ragionano in questi termini hanno un’idea
della libertà mutuata dalla pratica del consumo, sono a tutti gli effetti
consumatori-utenti, per cui si è tanto 
più liberi quanto maggiore è il ventaglio dei beni, o delle
persone,  che possiamo scegliere.  Trasferire questa concezione della libertà
nell’ambito culturale ed educativo ha effetti catastrofici. Vediamoli.

In primo luogo si prefigura un sistema scolastico –
il cui impianto è già stato predisposto dalla riforma – strutturato in tante
scuole quanti sono i presunti valori delle famiglie, con tutti i problemi che
ne conseguono, come, appunto, quello di istituire scuole con insegnanti
selezionati sulla base della conformità ai “valori”. La divisione tra le
scuole, la separatezza programmata tra linguaggi culturali diversi, le
selezioni ideologiche, sono sempre stati i predicati dell’autoritarismo, mai
della libertà.

In secondo luogo l’idea di cultura sottesa a questa
rivendicazione di falsa libertà, porta in grembo il seme della violenza. È un
tema, questo, che meriterebbe più di un approfondimento: in ogni caso, per dare
in poche righe il senso della questione, immaginiamo i ”valori”, cioè le
molteplici concezioni del mondo che si sono prodotte nel corso della storia,
come le lettere di un alfabeto. La cultura non consiste nel riconoscersi,
irrigiditi, in una di quelle lettere, e dunque nel sentirsi liberi quando si ha
la possibilità di usare soltanto quella lettera. La via della cultura è molto
più impegnativa e rischiosa. Essa consiste, come tendenza, nel possesso
integrale di tutte le lettere che costituiscono quell’alfabeto; solo così,
attraverso questa faticosa assimilazione, l’individuo può avere la possibilità
di scrivere autonomamente la propria
storia culturale, la propria vicenda
esistenziale. Non è detto che questa corra sui binari predisposti dalla
famiglia o dalla società.

Ecco perché, da sempre, si ha paura della cultura:
quella vera, infatti, genera individui autonomi, consapevoli, liberi, non
necessariamente appiattiti sulle convenzioni sociali e su quanto gli altri
hanno predisposto per noi. Socrate insegnava che chi non dubita di ciò a cui è
stato educato, non avverte mai il bisogno di cercare autonomamente la verità, e
perciò non sarà mai libero. Per questo discorso, pericoloso, perché libero,
Socrate fu condannato a morte dal regime democratico ateniese. Il possesso
delle lettere dell’alfabeto, la cultura, e quindi la vera libertà fa paura.

Dietro alla sedicente “libertà di scelta”
rivendicata dalle famiglie, si cela anche un inconsapevole dramma esistenziale:
si tenta di surrogare sul piano ideologico, attraverso i linguaggi della
religione o dell’appartenenza etnica, quell’identità, quell’immagine stabile di
sé, che l’attuale processo di frantumazione sociale non consente più di
realizzare attraverso il lavoro e con integrazioni stabili nel tessuto sociale.
Si fanno così, ad esempio, crociate ideologiche per  salvaguardare il valore “famiglia”, quando
poi sul piano pratico si impongono stili di vita e condizioni materiali (tempi
di lavoro senza più orari, precariato cronico, retribuzioni sotto la soglia
della decenza…) che di fatto minano le condizioni stesse dell’esistenza della
famiglia…”

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