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Dove sta andando l'Egitto?

'Da 5 anni la storia dell''Egitto − come di altri Stati arabi − è una serie di complotti, violenze, annunci e smentite. Chi è davvero Al-Sisi? [Thierry Meyssan]'

Dove sta andando l'Egitto?
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25 Aprile 2016 - 23.15


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«Sotto i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°181

di Thierry Meyssan.

Da cinque anni la storia dell”Egitto − come quella di molti
altri Stati arabi − è una serie di complotti, violenze, annunci e smentite.
Tutto ciò che in un certo momento l’opinione pubblica internazionale credeva
fosse un dato acquisito è stato rimesso in dubbio da nuovi elementi. Thierry
Meyssan prova qui a districare il vero dal falso, interrogandosi al contempo su
ciò che ancora nasconde l”attuale presidente al-Sisi.

DAMASCO (Siria) – L”ex
presidente Mubarak è stato condannato per appropriazione indebita di fondi e
per la sua responsabilità nella repressione delle manifestazioni. Tuttavia i
fatti, che trovarono allora un consenso unanime, non saranno mai stabiliti.

Società estremamente
conservatrice guidata da militari, l”Egitto negli ultimi cinque anni ha
conosciuto un periodo di disordini e non è completamente guarito. Si possono
esaminare questi avvenimenti in tre modi diversi, sebbene qualcuno non sia del
tutto soddisfacente:

1. Per i governi
occidentali e i loro mezzi di comunicazione, ogni regime militare è un male in
sé e si dovrebbe assistere a una lotta tra i suoi sostenitori e i democratici.
Il problema di questa lettura è che da un lato i militari egiziani sono
repubblicani e dall”altro hanno un consenso popolare enormemente più importante
rispetto ai democratici.

2. Per i sostenitori
del Diritto, Mohamed Morsi è stato proclamato presidente legalmente eletto dal
17% dei votanti. Tuttavia la sua legittimità avrebbe dovuto essere messa in
discussione quando 33 milioni di egiziani chiesero la sua destituzione poiché
venne dimostrato, prove alla mano, che la commissione elettorale non aveva
rispettato il voto dei cittadini nel 2012. Perciò è impossibile definire
“colpo di stato” il suo spodestamento.

3. Per gli stessi
egiziani, questi eventi sono la continuazione della lotta tra nazionalisti e
islamisti. I Fratelli Musulmani, che hanno cercato più volte di prendere il
potere dopo l”assassinio dei primi ministri nel 1945 e nel 1948 e del
presidente Sadat nel 1981, ci sono finalmente riusciti con l”aiuto degli Stati
Uniti e manipolando le elezioni. Tuttavia, oggi, il campione dei nazionalisti
vende il paese ai sauditi.

Le dimissioni di
Mubarak (11 febbraio 2011)

Nel 2011 alcune manifestazioni
popolari furono manovrate da Washington, che aveva già schierato sul campo
tutta una coorte di ONG coinvolte nelle “rivoluzioni colorate”
coordinate dalla squadra di Gene Sharp, il teorico del rovesciamento pacifico
dei governi [1]. Fu l”inizio della “primavera araba”. La Casa Bianca
inviò al Cairo un pezzo grosso della CIA (peraltro patrigno di Nicolas Sarkozy
[2]), l”ambasciatore Frank Wisner. Dopo aver inizialmente dato l’impressione di
sostenere Mubarak, lo obbligò a dimettersi. Questi, consapevole della sua
incapacità di ristabilire l”ordine, rinunciò a consegnare il potere a suo
figlio minore Gamal e rimise l’incarico a favore del vicepresidente. Fu la
“rivoluzione del loto”. Il disordine si impadronì del paese: dapprima
i funzionari delle ONG furono arrestati per aver finanziato il “cambio di
regime” per la somma di 48 milioni di dollari, poi furono rilasciati con
coloro che si erano rifugiati nell”ambasciata degli Stati Uniti e discretamente
fatti ripartire su un aereo speciale della CIA. [3]

Washington sostenne
il candidato dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi, durante la cui campagna
elettorale Yusuf al-Qaradawi − predicatore della Fratellanza e consigliere
spirituale della tv qatariota Al-Jazeera − andò in piazza Tahrir a spiegare che
l”urgenza non era di lottare per il riconoscimento dei diritti del popolo
palestinese ma di ripulire la società dagli omosessuali.

In seguito a elezioni
con solo il 35% di votanti e nelle quali non è stato sostenuto che dal 17%
dell”elettorato, Morsi fu dichiarato eletto. Tuttavia, in una lettera che
sarebbe stata pubblicata in seguito, il presidente della commissione elettorale
scrisse di non essersi basato sui risultati delle elezioni ma di aver voluto
evitare che l”annuncio della vittoria del generale Ahmed Shafiq -ultimo
effimero primo ministro di Mubarak − fosse percepito dai Fratelli Musulmani
come il segnale d’avvio di una guerra civile [4]. Gli Stati Uniti, che avevano
manipolato tutta questa operazione, si congratularono col presidente dalla
doppia cittadinanza egiziano-statunitense Morsi per la sua elezione
“democratica”: una storia falsa subito adottata da tutti gli altri
stati. All”estero ci si congratulò con la “normalizzazione”
dell’Egitto, che aveva finalmente trovato il suo primo governo civile dopo
essere stato amministrato per 5000 anni dai militari.

Il 6 ottobre 2012, anniversario
dell”assassinio di Sadat, il presidente Morsi riceve tre Fratelli musulmani che
hanno partecipato al complotto contro il suo predecessore Mubarak, nominandone
uno al Consiglio per i diritti umani dell’ONU e un altro senatore.

La presidenza di
Morsi (30 aprile 2012 – 3 luglio 2013)

Insediatosi al
potere, Morsi instaura una dittatura apparentemente religiosa. Infiltra
nell”amministrazione membri della Fratellanza e riabilita quelli che erano
stati condannati per terrorismo. Riceve gli assassini dell”ex presidente Anwar
Sadat e se ne congratula pubblicamente, nominando il responsabile del massacro
di Luxor governatore di quel distretto [5]. Perseguita i democratici che
avevano manifestato contro alcuni aspetti della politica di Mubarak (ma non per
chiederne le dimissioni). Supporta una vasta campagna di pogrom dei Fratelli
Musulmani contro i cristiani e copre i loro abusi: linciaggi, saccheggi di arcidiocesi,
chiese incendiate. Allo stesso tempo privatizza le grandi imprese e annuncia la
possibile vendita del Canale di Suez al Qatar, che allora finanziava la
Fratellanza.

Dal palazzo
presidenziale, contatta almeno quattro volte per telefono Ayman al-Zawahiri,
che fu uno degli assassini di Sadat prima di diventare il leader mondiale di
al-Qa
’ida
[6].

Durante questo
periodo, si costituisce in Sinai il gruppo terroristico jihadista Ansar Bayt
al-Maqdis (ABM). Senza che l”esercito egiziano intervenga, questi islamisti
moltiplicano i loro attacchi contro il gasdotto che collega l”Egitto a Israele
e alla Giordania.

Morsi invia una
delegazione ufficiale per incontrare il califfo dell’Isis (Daesh) Abu Bakr
al-Baghdadi, membro dei Fratelli Musulmani come lui, ma le due parti non
raggiungono un accordo perché ciascun leader esige la fedeltà dell”altro.

Infine, Morsi ordina
all”esercito di prepararsi ad attaccare la Repubblica araba siriana per aiutare
i Fratelli Musulmani della Siria. Sarà questa la decisione di troppo.

L”esercito egiziano,
che dal 1958 al 1961 si fuse all”esercito siriano, considera l”ordine di
attaccare la Siria come la messa in discussione del sogno di unità araba di
Gamal Abd el-Nasser e si rivolge allora verso la società civile.

La società egiziana è
conosciuta per la sua docilità davanti al potere e per le sue improvvise
intemperanze di massa. Non reagisce alle prime decisioni del presidente Morsi e
nemmeno alle uccisioni dei cristiani, prima di insorgere tutta insieme. Una
vasta coalizione, comprendente la totalità delle formazioni politiche di
sinistra e di destra, compresi i salafiti, si costituisce contro la
Fratellanza.

In risposta
all”esercito, questa coalizione organizza la più grande manifestazione della
storia per chiamare i militari a rovesciare il dittatore Morsi e a cacciare la
Fratellanza. Per cinque giorni, trentatré milioni di egiziani “straripanti
come il Nilo” votano con i loro piedi contro la Fratellanza.

Aspettando
prudentemente che gli Stati Uniti non possano più salvare il loro protetto,
l”esercito lealista rovescia Morsi (un ex collaboratore del Pentagono che ha
ancora accesso al segreto di stato americano) quando gli uffici a Washington si
svuotano per il lungo weekend di festa nazionale del 4 luglio. I Fratelli
Musulmani cercano di mantenere il potere e si oppongono con la forza
all”esercito. Per un mese, le strade del Cairo sono teatro di terribili
combattimenti. Viene instaurato un governo provvisorio e sono convocate le
elezioni, mentre gli occidentali, il Qatar e la Turchia − nella logica della
presunta “elezione democratica” di Morsi − denunciano un colpo di
stato militare. Alla fine, il generale al-Sisi, che ha condotto l’operazione di
ripristino delle istituzioni, è eletto con il 96% dei voti, mentre al-Jazeera
invita ad assassinarlo.

Per cinque giorni
trentatré milioni di egiziani manifestarono affinché l”esercito rovesciasse il
presidente Morsi.

La restaurazione
delle istituzioni da parte di al-Sisi

Il maresciallo Abd
al-Fattah al-Sisi è stato direttore dei servizi segreti militari sotto il
presidente Mubarak e poi ministro della Difesa sotto il presidente Morsi.

In primo luogo
ristabilisce l”ordine e la pace sociale, rilascia i prigionieri politici,
presenta scuse ufficiali ai cristiani per le persecuzioni subite e fa
ricostruire le chiese che erano state bruciate.

Consegna poi
all’Arabia Saudita documenti attestanti che Morsi stava preparando un colpo di
stato a Riad al fine di mettere i Fratelli Musulmani al potere. Il regno
reagisce da un lato vietando la Fratellanza in Arabia e dall’altro ricoprendo
l’Egitto di regali. Al-Sisi riesce così a trovare un benefattore per sfamare il
suo popolo nonostante un”economia in rovina.

Per soddisfare i
sauditi, il maresciallo al-Sisi manda il suo esercito per partecipare alla
guerra nello Yemen. Inizialmente il contingente egiziano viene utilizzato
principalmente per il controllo delle coste, ma l”opinione pubblica egiziana
impara rapidamente che il comando delle operazioni è stato subappaltato da Riad
all”esercito israeliano. Discretamente i soldati egiziani si ritirano senza che
la notizia sia mai ufficialmente annunciata.

Allo stesso tempo,
nel Sinai, il gruppo terroristico Ansar Bayt al-Maqdis smette di colpire gli
interessi di Israele e rivolge le sue armi contro lo stato egiziano. Prende
contatto con l’Isis (Daesh) in Siria e riconosce la sua autorità. Crea così la
provincia del Sinai (Wilayat Sayna) all”interno del Califfato.

Nel frattempo, con
l”aiuto della Cina, il presidente al-Sisi fa raddoppiare il Canale di Suez, anche
se non è completamente utilizzato: il fatto è che si deve preparare l”Egitto
per lo sviluppo della nuova via della seta e il transito della gigantesca
produzione cinese verso l”Europa.

Colpo di scena,
nell”estate del 2015 la società italiana ENI dichiara di avere scoperto
l’enorme giacimento di idrocarburi di Zohr, nelle acque territoriali egiziane,
grazie al quale il Cairo potrà sfruttare l”equivalente di 5,5 miliardi di
barili di petrolio.

Ma le cose
degenerano. I Fratelli Musulmani si appoggiano all’Isis nel Sinai e assassinano
diversi alti funzionari e magistrati. L”esercito si lascia risucchiare in una
spirale di violenza, mentre il presidente al-Sisi ne approfitta per fare
arrestare nazionalisti e democratici. A poco a poco, le carte si mescolano: il
governo difende l”interesse nazionale, ma perseguita i leader civili che
sostengono il suo obiettivo ufficiale.

È allora che il
famoso giornalista Muhammad Hassaneyn Haykal, ex portavoce di Nasser e icona
dei nazionalisti, dichiara pubblicamente che è giunto il momento per il
presidente al-Sisi di:

– denunciare apertamente la
“macelleria” che devasta lo Yemen;

– andare a Damasco per
sostenere il presidente Assad contro i Fratelli Musulmani;

– avvicinarsi all”Iran per
garantire la stabilità nella regione.

Sono tre suggerimenti
che implicano una presa di distanza dell”Arabia Saudita.

All’età di 87 anni,
Heikal muore improvvisamente senza che il maresciallo al-Sisi gli abbia
risposto.

Nella notte tra l’11 e il 12 aprile,
l’edizione PDF del quotidiano Al-Masry Al-Youm annuncia in prima pagina: «Due
isole e un dottorato per Salman… e miliardi per l”Egitto». Immediatamente
entrata sotto il controllo del governo, l”edizione cartacea della mattina del
12 viene corretta. Il titolo è: «Il raccolto della visita di Salman: accordi
per 25 miliardi di dollari».

Le isole di Tiran e
Sanafir

L’11 aprile 2016, il
re Salman d’Arabia è in visita al Cairo. Il sovrano annuncia colossali investimenti
in Egitto pari a 25 miliardi di dollari. Con sorpresa di tutti, il presidente
annuncia che gli offre in cambio le isole di Tiran e Sanafir nel quadro di un
accordo di delimitazione dei confini marittimi.

Queste due isole
erano state un tempo oggetto di contesa tra l”Egitto e l”Arabia. Chiudono il
Mar Rosso. Nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, Israele le occupò. Non
volendo entrare nel conflitto, l”Arabia Saudita rinunciò alla sua
rivendicazione e le cedette all’Egitto piuttosto che difenderle.
Successivamente, con gli accordi di pace israelo-egiziani di Camp David, Tel
Aviv e Il Cairo internazionalizzarono l’uscita dal Mar Rosso e le forze di
difesa israeliane (dette anche Tsahal o IDF, ndt) finirono per evacuare Tiran e Sanafir.

Le due isole
sarebbero dovute essere integrate in un ampio progetto di costruzione di un
ponte che collega l”Arabia Saudita all”Egitto sul Golfo di Aqaba.

Tiran e Sanafir
costituiscono per gli egiziani un territorio che gli era stato riconosciuto
dalla Convenzione di Londra nel 1840 e che, dopo varie vicissitudini, hanno
recuperato grazie alla viltà di Riad durante la guerra contro Israele. È quindi
inconcepibile “regalarle” ai sauditi, neanche per qualche miliardo.

Per una settimana si
susseguono manifestazioni per chiedere un referendum di approvazione di questa
cessione, richiamando tutti i nazionalisti che si chiedono: chi è veramente il
presidente al-Sisi?

NOTE

Thierry Meyssan, 23
aprile 2016

Traduzione a cura di
Emilio Marco Piano.

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