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La sindrome di Aleppo Est

Come per il noto caso degli ostaggi della Sindrome di Stoccolma, anche ad Aleppo una minoranza che ha vissuto sotto il tallone dei jihadisti rimane loro legata [T. Meyssan]

La sindrome di Aleppo Est
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19 Dicembre 2016 - 18.42


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«Sotto i nostri occhi» – Cronaca di politica
internazionale n°216

di Thierry
Meyssan
.

Mentre le grandi potenze che inquadravano i
jihadisti di Aleppo Est fanno finta di interessarsi al destino degli abitanti
della città al fine di esfiltrare i propri soldati, nessuno sembra capire il
dramma che questi siriani hanno sopportato. Contrariamente alle dichiarazioni
occidentali, non hanno sofferto a causa dei bombardamenti, bensì a causa dell”occupazione
dei jihadisti stranieri e del regno della loro “Sharia”. Alcuni
abitanti soffrono di un disturbo psicotico grave, la sindrome di Aleppo Est.

DAMASCO (Siria) – Dopo quattro anni e mezzo di guerra, la popolazione Aleppo
Est ha potuto essere liberata dall”Esercito arabo siriano, con l”assistenza di
Hezbollah, della Russia e dell”Iran. Questa vittoria è stata salutata con gioia
dalla maggioranza dei 120.000 abitanti liberati che sono stati registrati dallo
Stato. Ma solo la maggioranza.

Stranamente, mentre la Siria fornisce loro cibo, cure e un alloggio precario,
alcuni residenti di Aleppo Est dichiarano che «non fanno affidamento nello
Stato». Di che cosa hanno paura? Non sono stati arrestati e vengono invece trattati
come figli della patria, a lungo prigionieri del nemico.

Come se avessero dimenticato la libertà di cui godevano prima della
“primavera araba”, e come se nulla fosse accaduto negli ultimi
quattro anni, mantengono il discorso di Al-Jazeera nel 2011. Assicurano che la
Repubblica sia una dittatura che tortura i bambini, massacra i sunniti, ecc.

Per la prima volta, si assiste sulla scala di una città a un fenomeno
psicologico già ben noto a livello individuale. Proprio come un bambino o una
moglie picchiati a volte difendono il loro padre o marito crudele e giustificano
il suo comportamento, anche alcuni abitanti Aleppo Est oggi fanno loro il
discorso jihadista che li opprimeva.

Nel 1973, uno psichiatra svedese, Nils Bejerot, analizzò lo shock imposto ai
clienti di una banca che furono tenuti in ostaggio dai banditi durante una
rapina a mano armata. Il caso si trasformò in un incubo. Due poliziotti furono
feriti, uno gravemente. Il primo ministro Olof Palme invano cercò di far ragionare
i criminali che minacciavano di uccidere i loro prigionieri. Sottoposti a una
terribile pressione, gli ostaggi non scelsero di rivoltarsi, ma di blandire i
loro carcerieri per sfuggire a una morte probabile. Poco alla volta, finirono
per prendere la loro stessa linea. Cercarono di dissuadere la polizia dal dare
l’assalto e uno degli ostaggi arrivò persino a innamorarsi di uno dei criminali.
Questo è ciò che viene definito la “sindrome di Stoccolma”, dal nome
della città in cui avvenne questo episodio di cronaca.

Alla fine la polizia, utilizzando gas anestetico, riuscì ad arrestare i
banditi e a salvare gli ostaggi. Benché il loro sequestro fosse durato solo sei
giorni, questi ultimi soffrirono a lungo di questa sindrome al punto di rifiutarsi
di testimoniare durante il processo che seguì e che la giovane donna continuò
la sua relazione con il bandito durante la sua detenzione.

L”anno scorso, lo psicologo clinico Saverio Tomasella ha mostrato che la «Sindrome
di Stoccolma» è «il segno di un grave rottura dell’interiorità dell”essere
umano che ha vissuto, in modo diretto e impotente, il rapimento della sua
identità soggettiva».

Non dobbiamo quindi aspettarci che alcuni residenti di Aleppo Est, che
soffrono di questa sindrome, si riconnettano rapidamente al mondo reale.
Invece, dobbiamo offrire loro una totale sicurezza e dimostrare, ancora una
volta, una grande pazienza. Anche se dobbiamo prima salvare i nostri soldati e
tutti coloro che hanno resistito, questi civili sono prima di tutto nostri compatrioti.

Thierry Meyssan

19 dicembre 2016

Traduzione a cura
di Matzu Yagi

Fonte: Al-Watan
(Siria)

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