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Attacco chimico in Siria: ha perso il buon giornalismo

Il meccanismo perverso dell’informazione (o della disinformazione) e le ricadute pericolose per la già precaria situazione in Siria. [A. Aramu]

Attacco chimico in Siria: ha perso il buon giornalismo
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5 Aprile 2017 - 14.18


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di Alessandro Aramu

La notizia nella sua brutalità è questa: circa 60 persone sono state uccise in Siria, e precisamente nella regione di Idlib, a seguito di un bombardamento con armi chimiche. La notizie è stata diffusa dai gruppi di opposizione anti Assad, i cosiddetti attivisti, e rilanciata dall’Osservatorio Siriano per i diritti umani con sede a Londra. Nessun dei soggetti che ha diffuso la notizia attraverso video e foto è una fonte indipendente. Malgrado ciò, con assoluta certezza è stato affermato che i responsabili del bombardamento chimico fossero dapprima i russi e, in un secondo momento, le forze aeree siriane. Questa affermazione, di parte e non verificata da nessuna fonte indipendente, è diventata “la verità”, anzi l’unica verità, e come tale è stata rilanciata a livello mondiale dalle agenzie e da tutti i media.

Il meccanismo perverso dell’informazione – o della disinformazione – ha generato una serie di prese di posizione politiche dalle quali, come è noto, possono discendere scelte molto pericolose per la già precaria situazioni in Siria. Il mostro, come capita sempre in questi casi, è Assad. A nulla sono servite le smentite categoriche dell’esercito siriano che ha chiarito di non essere in possesso di armi chimiche e di non aver “mai usato queste armi, in alcun momento o in alcun posto”, e di non aver intenzione di farlo “mai neanche in futuro”.

Damasco ha ribadito, inoltre, di aver rispettato tutti gli obblighi assunti nel 2013 con l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (Opac), a cui la Siria ha consegnato tutto il proprio arsenale chimico. Semmai, nessuno si è preso la briga di leggere i numerosi rapporti degli ultimi anni e degli ultimi mesi che attribuiscono allo Stato Islamico, ad Al Qaeda e a numerosi gruppi ribelli jihadisti che operano nel nord della Siria una capacità notevole di costruire e utilizzare le armi chimiche. Circostanza di cui sono a conoscenza sia le Nazioni Unite che i governi occidentali, Stati Uniti in testa.

Nessuno si è preoccupato di verificare che cosa ci fosse nel sito oggetto del bombardamento. Nessuno si è preoccupato di indagare su chi fossero le vittime e perchè fossero lì. Tutto ciò non è irrilevante nella ricostruzione di un fatto e nel percorso che ogni giornalista deve compiere per verificare la fondatezza di una notizia. Nessun media ha verificato la fonte, si è semplicemente limitato a riproporre quanto asserito dai gruppi anti Assad in una regione dove operano numerose sigle jihadiste, a partire da Al Qaeda. Sono, costoro, gli stessi che in Europa chiamiamo terroristi ma per opportunità e propaganda anti siriana consideriamo di volta in volta, a seconda delle convenienze, “attiviti”, “ribelli”, “ribelli moderati”, “oppositori”, “terroristi”, “islamisti”, “jihadisti”.

Questa verità è servita ai governi occidentali per assumere posizioni molto pericolose. Tutto ciò molto prima che fossero condotte indagini indipendenti per verificare il vero responsabile di quelle morti. Su tutte, mi preme ricordare le dichiarazioni dell’ineffabile Federica Mogherini, l’alto rappresentante dell’Unione europea (UE) per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che ha affermato: “Il regime di Assad ha la responsabilità dell’attacco chimico in Siria”. Fa effetto sapere che la Mogherini prende per buoni i video diffusi da al Qaeda e li consideri persino una fonte affidabile. E’ una legittimazione del gruppo terroristico che spiega l’inettitudine dell’Europa a contrastare in modo efficace, se non a parole, il terrorismo di matrice islamico/jihadista.

A questa verità, conclamata, si è aggiunta nella notte un’altra verità, questa volta supportata da prove e da immagini satellitari. E’ arrivata dalla Russia. “Non è stato un attacco con armi chimiche condotto dall’aviazione siriana: le armi chimiche erano contenute in un arsenale dei ribelli che è stato colpito dall’attacco aereo di Damasco”.

A differenza di tutti gli altri, il portavoce del ministero della Difesa russo,il generale Igor Konashenkov, citato dall’agenzia russa Tass, ha mostrato ciò che i giornalisti sanno da tempo, almeno quelli che conoscono un minimo la situazione in Siria: nella zona di Idlib, in mano ai gruppi ribelli, si producono armi chimiche. Questi depositi sono il naturale bersaglio delle forza aeree russe e siriane perchè la loro distruzione, che pure può causare delle vittime, ne può salvare molte altre. Ecco che cosa ha detto in breve Konashenkov: “Secondo i sistemi russi di monitoraggio dello spazio aereo, ieri tra le 11.30 e le 12.30 l’aviazione siriana ha condotto un raid aereo nella periferia orientale di Khan Sheikhun, colpendo un importante deposito di munizioni e una fabbrica di armi, contenente proiettili con agenti tossici”. Dal deposito colpito dall’esercito di Damasco, secondo Mosca, provengono le armi chimiche usate dai miliziani jihadisti in Iraq e dall’opposizione armata ad Aleppo, lo scorso autunno. “Le immagini diffuse sul web mostrano le persone affette dagli stessi sintomi di avvelenamento” riportati dalla popolazione di Aleppo, ha chiarito, in proposito, Konashenkov.

Prove, dunque, che però non sono servite al sistema propagandistico dei media internazionali a scagionare Assad. La logica, funebre, dell’informazione globale è più o meno questa: il cattivo è chi distrugge un deposito di armi chimiche e non chi le produce. Il mondo va alla rovescia, sia nel sistema dei valori etici e morali, che nella considerazione che i governi occidentali hanno su ciò che è pericoloso e ciò che non lo è.

Entrando nella notizia, poco si è detto sui nostri media della guerra in corso tra gli attivisti o ribelli moderati da una parte e i gruppi qaedisti. Anzi, i primi hanno accusato al Qaeda e la loro ong, i cosiddetti “Caschi Bianchi”, di aver in qualche modo “manipolato” i cadaveri e di averlo fatto senza un equipaggiamento di sicurezza degno di questo nome, senza maschere e guanti utili per proteggere i soccorritori in caso di utilizzo di gas sarin. Insomma, i gruppi anti Assad accusano la ong vicina ad al Qaeda di danneggiare la loro azione mediatica, assumendo comportamenti non consoni a un attacco chimico. Come è noto, pochi secondi esposizione al gas sarin producono effetti letali sui muscoli e il sistema nervoso. Si vomita e si urina in modo indotto dopo pochissimo tempo. I Caschi Bianchi, miracolosamente, sembrano essere immuni a tutto ciò. E lo fanno a beneficio di telecamere. E’ altresi noto che quando il sarin viene utilizzato in un’area concentrata, può uccidere migliaia di persone. Eppure, di fronte a un gas così pericoloso, i caschi bianchi hanno trattato i corpi senza alcuna precauzione, sempre con il volto ben rivolto alle telecamere. Se un giornalista non si pone dei dubbi di fronte a queste immagini, è bene che cambi mestiere.

La cosa stupefacente è che in piena emergenza un medico di un ospedale della zona di fronte a tante vittime di gas sarin abbia il tempo di fare tweet e di effettuare chiamate video. Un comportamento anomalo per un soccorritore, quanto mai sospetto vista la grande capacità dei gruppi armati ribelli e dell’opposizione di costruire finte notizie e di farle immettere nel giro di pochi minuti nel circuito mediatico internazionale.

Per la cronaca, come giustamente ha ricordato il bravo Giovanni Giacalone su Il Giornale, nell’arco di due settimane i ribelli hanno compito ben tre attacchi chimici. Altri casi, si ricorda ” si sono verificato a fine ottobre e a novembre. Mentre all’inizio della scorsa settimana esperti di una commissione russa sulle armi chimiche e biologiche avevano rinvenuto prove dell’utilizzo di bombe al cloro e al fosforo da parte dei jihadisti nella zona di Aleppo “. Nessuno ricorda una sola parola di sdegno dell’Alto Commissario Mogherini in relazione a questi fatti. I cattivi, evidentemente, sono meno cattivi quanto i media non ne parlano. Ma i media, si sa, parlano solo a corrente alternata.

Infine, occorre fare una menzione speciale a tutti quei giornalisti che hanno citato come precedente dell’attacco chimico a Idlib, quello del 21 agosto del 2013 nei sobborghi di Damasco. Attribuendo la responsabilità di questo al solito Assad, non si sono presi la briga di citare, neanche per un secondo, l’inchiesta del premio Pulitzer Seymour Hersh, secondo il quale quell’attacco non fu provocato dal governo siriano ma dai ribelli. Le accuse ad Assad, secondo il giornalista, servivano per provocare l’intervento americano nella guerra civile. Si trattava di un complotto in cui era coinvolta la Turchia di Erdogan.

Secondo la fonte, riservata, utilizzata da Hersh fu l’intelligence britannica, in collaborazione con i servizi russi, a fornire le prove che gli agenti chimici utilizzati non provenissero dagli arsenali del governo siriano, ma dai ribelli. “L’intelligence americana sapeva che i ribelli di al Nusra (che oggi spadroneggiano nella regione di Idlib), sostenuti dalla Turchia, stavano producendo armi chimiche. Il premier Erdogan aveva assoluto bisogno in quella fase che gli Stati Uniti intervenissero a fianco dei ribelli che stavano perdendo la guerra”.

L’inchiesta di Hersh è stata supportata anche dagli studi effettuati dal Massachussetts Institute of Technology con sede a Boston. Nel rapporto dal titolo ‘Le possibili implicazioni degli errori dell’intelligence statunitense riguardo all’attacco al gas nervino del 21 ago-sto 2013’ il governo statunitense, che aveva indicato il presidente Assad come responsabile dell’attacco, venne contraddetto in modo dettagliato dalle analisi di Richard Lloyd (ex ispettore Onu sugli armamenti) e di Theodore Postol (docente di Scienza, Tecnologia e Sicurezza Nazionale Politica). La conclusione smentiva Obama e attribuiva senza alcun dubbio la responsabilità dell’attacco chimico ai ribelli. Di tutto questo i media italiani, parlando del presunto attacco chimico a Idlib, non ne hanno fatto menzione.

(5 aprile 2017)

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