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Trump: l'11 settembre basta e avanza

Il neopresidente vuole sradicare Daesh e i poteri legati all’11 settembre. Due fili conduttori che mirano a porre fine alla globalizzazione. [Thierry Meyssan]

Trump: l'11 settembre basta e avanza
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26 Gennaio 2017 - 21.53


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«Sotto i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°220

di Thierry Meyssan.



GLI AMERICANI RICONQUISTERANNO LA LIBERTÀ?

Donald Trump s’è rifiutato di indossare gli stessi abiti presidenziali dei predecessori e ha approfittato del discorso d’investitura per irridere il Sistema e annunciare un cambiamento di paradigma. Ha costituito la sua squadra per la Sicurezza in funzione di due temi: lo sradicamento di Daesh e l’opposizione all’11 settembre. Due fili conduttori che mirano a porre fine al processo di globalizzazione.


DAMASCO (Siria) – Donald Trump è diventato presidente il 20 gennaio 2017. Immediatamente dopo il giuramento, dunque prima d’aver compiuto un qualsiasi atto, buono o cattivo, gli sponsor di Hillary Clinton hanno organizzato a Washington per il giorno successivo una gigantesca manifestazione contro Trump.

A riprova del fatto che quel che è in gioco non riguarda solo gli Stati Uniti, manifestazioni identiche sono state organizzate in molti Paesi, in particolare nel Regno Unito. Naturalmente, i manifestanti non hanno protestato contro qualcosa in particolare, ma si sono accontentati di dare voce alla propria angoscia. Molti issavano dei cartelli con scritto: «Sono terrorizzato».

Donald Trump – che gli avversari descrivono come un personaggio bizzarro, privo di una linea di condotta – da molto tempo ha esplicitato cosa intende fare. Dapprima l’ha dimostrato, poi l’ha detto, in modo allusivo e chiaro nel medesimo tempo: vuole restituire al popolo americano il Potere che gli è stato confiscato l’11 settembre 2001 [1].

Prima ancora di buttarsi nella corsa per la presidenza, Donald Trump ha tentato di aprire il tema dell’usurpazione del Potere, sponsorizzando il movimento per la verità sulla nascita del presidente Barack Obama [2]

Basandosi sulla testimonianza della nonna del presidente, poi sul fatto che non c’è traccia della nascita nei registri delle Hawaii, infine sulle irregolarità del certificato di nascita ufficiale, Donald Trump ha dimostrato che Obama è nato in Kenya, come suddito della Corona inglese.
Tuttavia, quando ha cominciato a credere di avere la possibilità di vincere la campagna elettorale, Trump ha chiuso il dossier e si è astenuto da ogni provocazione nei confronti del presidente. Ha smesso di fare allusioni alla diarchia del Potere. In compenso, ha incentrato il proprio messaggio sull’usurpazione del Potere reale da parte della consorteria di cui Hillary Clinton è portavoce visibile.

Le posizioni di Trump, che, se lette secondo la prospettiva delle tradizionali divisioni, sembrano non avere alcun senso, sia che si tratti di politica estera – è interventista o isolazionista? – o di economia – è per il libero scambio o protezionista? – sono, al contrario, limpide per tutti coloro che stanno subendo l’usurpazione del Potere [3].
Non ha mai smesso di ripetere, in maniera sufficientemente chiara per avere il sostegno dei suoi concittadini, ma in maniera sufficientemente allusiva per evitare lo scontro frontale, che tutte le decisioni prese dopo l’11 settembre sono illegittime. E questo non ha niente a che vedere con l’antagonismo tra Repubblicani e Democratici. Queste decisioni hanno infatti ottenuto l’avallo del repubblicano Bush Jr. e del democratico Obama. Sono decisioni che hanno però molto a che vedere con una divisione antica della civiltà americana, quella fra la casta che ha chiuso gli occhi sull’11 settembre e coloro che ne sono stati schiacciati, tra gli adepti del Puritanesimo del Mayflower e i difensori della Libertà [4].

Contrariamente a quanti l’hanno preceduto, Trump ha scritto di suo pugno il discorso d’apertura, focalizzandolo su questo punto: «La cerimonia di oggi ha un significato molto particolare, poiché non è un semplice trasferimento di potere da un’amministrazione a un’altra o da un partito a un altro. (…) Ciò che conta davvero non è chi detiene il potere di governare, ma il fatto che il governo è nelle mani del popolo americano» [5].

Sin dal primo giorno, e contrariamente alla tradizione, Trump ha costituito un’équipe per la Sicurezza nazionale composta di grandi soldati: i generali James Mattis, John Kelly e Michael Flynn. Sebbene la stampa la presenti come un’accozzaglia incoerente di personalità, scelte indipendentemente le une dalle altre, questa squadra è stata formata con l’obiettivo di riprendere il Potere confiscato da una fazione del complesso militare-industriale.

Il nuovo segretario alla Difesa, generale James Mattis, è stato confermato dal Senato e ha prestato giuramento. È considerato dai suoi pari un erudito e uno dei migliori strateghi della sua generazione. Durante la campagna elettorale gli è stato chiesto di candidarsi contro Trump per il Partito repubblicano. Mattis, dopo una breve esitazione in cui ha potuto toccare con mano i retroscena politici di Washington, si è ritirato dalla competizione senza fornire spiegazioni [6]

Le forze armate hanno accolto calorosamente il suo ingresso nell’équipe del nuovo presidente, tanto più che due terzi dei militari ha votato Trump. Negli ultimi due anni, Mattis ha fatto il ricercatore alla Hoover Institution (think-tank repubblicano, con base all’università di Stanford), dove ha realizzato uno studio sulle relazioni tra civili e militari da cui emerge la sua volontà di rimettere l’esercito al servizio del Popolo.
Al suo arrivo al Pentagono, Mattis ha diffuso un breve Memorandum nel quale afferma che «i militari e le agenzie d’intelligence sono le sentinelle e i guardiani della Nazione»; una frase volta a placare il disaccordo sulla Russia, sorto tra Trump e il direttore uscente della CIA, John O. Brennan, e, al tempo stesso, a reindirizzare le forze di sicurezza verso la difesa della Nazione invece di perseguire miraggi imperiali o proteggere gli interessi delle multinazionali [7].

Poiché il neodirettore della CIA, Mike Pompeo, non è stato ancora confermato dal Congresso, il presidente Trump si è recato di persona alla CIA. Toccando diversi temi, Trump ha avuto modo di indicare chiaramente la rotta: «sradicare il terrorismo islamico dalla Terra» [8]

Si è mostrato al corrente delle discussioni che hanno scosso l’agenzia per quattro anni, innescate dalla folle scelta di sostenere Daesh: contrasti costati al suo consigliere per la Sicurezza nazionale, generale Michael Flynn, il posto di direttore dell’intelligence militare. Trump non ha menzionato la polemica su una possibile ingerenza russa nella campagna elettorale per la presidenza e ancor meno ha accennato al ruolo di «agenti russi» che la stampa ha attribuito all’ex direttore della campagna, Paul Manafort, e ad altri due suoi consiglieri, Carter Page e Roger Stone.
In assenza di Pompeo, il presidente non ha affrontato il tema della riforma strutturale della CIA. Il Memorandum del generale Mattis, la presenza a fianco di Trump del generale Flynn e il modo in cui quest’ultimo ha elogiato Pompeo – brillante allievo dell’accademia militare di West Point – hanno dato l’impressione che la nuova squadra voglia ricondurre la CIA sotto l’egida del Pentagono, sottraendola all’orbita della segreteria di Stato; una scelta che mira a chiudere a Hillary Clinton, ancora potente nella sua ex segreteria, ogni possibilità di intervento.

Donald Trump ha chiesto a una cinquantina di componenti dell’amministrazione Obama di restare al loro posto. Fra questi:

–  Brett McGurk, inviato speciale presso la Coalizione anti-Daesh;–  Adam Szubin, sottosegretario al tesoro incaricato per la lotta contro il finanziamento del terrorismo;–  Nicholas J. Rasmussen, direttore del Centro nazionale anti-terrorismo;–  Dab Kern, capo dello stato maggiore particolare della Casa Bianca. 

Sembra quindi che la Casa Bianca voglia avere immediatamente a disposizione un’équipe in grado di lottare contro Daesh.

Il capo di stato maggiore interforze, generale Joe Dunford, ha annunciato di essere pronto a presentare al presidente Trump diversi piani di attacco a Daesh, uno dei quali prevede di prendere Rakka con 23.000 mercenari arabi, già formati dal Pentagono. Il 16 gennaio scorso Dunford era a Parigi per presiedere una riunione dei capi di stato maggiore della Coalizione.

Qualunque sarà la decisione, Donald Trump dovrà tenere conto che il Califfato è stato pesantemente armato dall’amministrazione Obama. Inoltre, Daesh ha un’esperienza di combattimento che i nuovi mercenari del Pentagono non hanno. Inoltre, prima di attaccare Rakka, Trump dovrà decidere quali prospettive future favorire in Iraq e in Siria.

Il presidente Trump ha nominato segretario alla Sicurezza Interna [Homeland Security, ndt] , il generale John Kelly, che è stato confermato dal Senato e ha già assunto le funzioni. Secondo la stampa statunitense – una fonte nel complesso poco affidabile, da prendere quindi con grande precauzione – questo ex capo del SouthCom sarebbe stato scelto per la sua conoscenza della frontiera messicana e delle sfide a essa collegate. Può darsi.

Tuttavia, potrebbe esserci un’altra ragione: Kelly era il vice di Mattis in Iraq. Nel 2003 entrambi entrarono in conflitto con Paul Bremer III, capo dell’Autorità provvisoria della Coalizione che, contrariamente a quanto suggerisce il nome, non dipendeva dalla Coalizione, ma dagli uomini che organizzarono l’11 settembre [9]

Kelly e Mattis si opposero alla guerra civile che John Negroponte decise di organizzare – creando l’Emirato islamico in Iraq (il futuro Daesh) – per distogliere la Resistenza irachena dalla lotta contro l’Occupante. Mattis & Kelly, per non essere più considerati occupanti dagli iracheni, cercarono invece, con l’appoggio del capo dell’intelligence militare in Iraq, Michael Flynn, di rispettare i capi delle tribù del centro dell’Iraq. I tre uomini dovettero alla fine inchinarsi al volere della Casa Bianca.

Il generale Michael Flynn è stato nominato da Donald Trump consigliere per la sicurezza nazionale, una carica che non richiede l’approvazione del Senato. La nomina di Flynn è diventata quindi immediatamente operativa. Abbiamo già presentato ai nostri lettori Flynn come difensore degli Stati Uniti in quanto Nazione e, a questo titolo, come il principale oppositore all’uso del terrorismo islamico da parte della CIA [10].




Cercando in tutti i modi di sminuire l’autorevolezza del generale Flynn, Hillary Clinton e il direttore della sua campagna elettorale John Podesta hanno fatto correre voce che lui o suo figlio, Michael Flynn Jr., non saprebbero tenere la lingua a posto e ci avrebbero aiutati a redigere un articolo sulla riforma dell’intelligence [11]

Ove quest’accusa non fosse sufficiente, hanno utilizzato un tweet di Michael Jr., che rimandava a un nostro articolo, per accusare i due uomini di «complottismo» – ossia di voler far luce sull’11 settembre [12].

A differenza di quanto sostiene la stampa statunitense, i generali Flynn, Mattis & Kelly si conoscono da tempo e perseguono il medesimo obiettivo – questo non significa che le relazioni tra loro saranno sempre facili. Solamente ufficiali superiori di tale statura possono aiutare il presidente Donald Trump a riconquistare il Potere, usurpato dall’11 settembre 2001. Per riuscirvi occorrerà fare pulizia nel Pentagono e nelle istituzioni internazionali infiltrate: la NATO, l’Unione Europea e l’ONU.

I milioni di persone che hanno manifestato contro il presidente Donald Trump avevano ragione di esprimere il loro spavento. Ma non perché il nuovo ospite della Casa Bianca sia misogino, razzista e omofobo – il che non è –, ma perché si sta arrivando al momento cruciale. È più che probabile che gli usurpatori del Potere non si lascino spodestare senza reagire.

Lo scontro questa volta non avverrà nel Medio Oriente, ma nello stesso Occidente, soprattutto negli Stati Uniti.


NOTE

[1] L’incredibile menzogna, di Thierry Meyssan, ed. Fandango, 2002; Pentagate, di Thierry Meyssan, ed. Fandango, 2003.

[2] « La Cour suprême appelée à suspendre l’élection de Barack Obama Â», Réseau Voltaire, 9 décembre 2008. “Nel 1979, l’amministrazione statunitense ha considerato Obama uno straniero”, “Barack Obama pubblica un falso certificato di nascita sul sito web della Casa Bianca”, Traduzione di Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 22 febbraio 2010 & 9 maggio 2011.

[3] “15 anni di crimini”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 12 settembre 2016.

[4] “Gli Stati Uniti si riformeranno o si lacereranno?”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 26 ottobre 2016.

[5] “Donald Trump Inauguration Speech”, by Donald Trump, Voltaire Network, 21 January 2017.

[6] “Mattis contro Trump”, di Thierry Meyssan, Traduzione Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 4 maggio 2016.

[7] “James Mattis Memo”, by James Mattis, Voltaire Network, 21 January 2017.

[8] “Donald Trump at CIA Headquaters”, by Donald Trump, Voltaire Network, 21 January 2017.

[9] « Qui gouverne l’Irak ? Â», par Thierry Meyssan, intervento alla Conferenza internazionale di solidarietà con la Resistenza irachena, Réseau Voltaire, 13 maggio 2004.

[10] “Michael T. Flynn e l’Islam”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 22 novembre 2016.

[11] “La riforma dell’intelligence secondo il generale Flynn”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Contralínea (Messico) , Rete Voltaire, 29 novembre 2016.

[12] “Podesta & Clinton contro Flynn”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 19 gennaio 2017.

Traduzione a cura di Rachele Marmetti – Il Cronista 


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