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'L''Italia vista da Orwell'

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4 Novembre 2010 - 11.27


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itorwdi Massimo Ragnedda.

Mi chiedo cosa avrebbe pensato Orwell dell”italietta berlusconiana. Chissà se, come ha già fatto Licio Gelli, avrebbe intentato una causa per diritti d”autore. Come ampiamente noto, infatti, il grande (si fa per dire) maestro (anche questo si fa per dire) Licio (a proposito mi sono sempre chiesto che razza di nome sia Licio?) ha chiesto a Berlusconi, tra il serio e il faceto, di pagargli i diritti d”autore perché il programma di governo è del tutto simile a quello della P2. In questo caso l”appartenenza di Silvio alla P2 ne giustifica, in parte, il copia e incolla.

Ma Orwell che c”entra? Ah ecco, siamo partiti da Orwell. Spazziamo via ogni equivoco: non credo affatto che Berlusconi abbia letto il libro. Anzi non credo affatto che Berlusconi legga. E allora cosa c”entra? Calma, ora provo a spiegarmi. Allora, non mi dilungo in recensioni o analisi filologiche, ma su delle analogie tra la distopia orwelliana e l”italietta berlusconiana.

A dire il vero ci sono molte differenze: in Oceania è proibito il sesso, ad Arcore e Villa Certosa sono obbligatori; in Oceania il grande fratello non si vede mai, nell”italietta il capo è sempre in TV; in Oceania la TV ti guarda, nel bel Paese i sudditi passano la giornata a guardare la TV. Ok, ok sono differenze non da poco (soprattutto sul sesso.), ma ora non voglio soffermarmi sulle differenze: la prossima volta lo farò. Giuro.

Ora mi concentro sulle analogie.

Iniziamo dalle più evidenti: Winston Smith il protagonista del romanzo, sembra Minzolin o Fede o Mimum o Vespa o fate voi (la lista di giornalisti subalterni al premier è lunga quanto l”agonia di questo Paese). Smith era membro inferiore del partito (anche loro), con il compito di aggiornare libri (questo non lo fanno perché i libri non muovono le masse), articoli di giornale (in questo il duo Feltri-Belpietro è imbattibile) e riscrivere la storia con l”obiettivo di rendere riscontrabili e veritiere le previsioni fatte dal partito, contribuendo così a far credere nella sua infallibilità.

Insomma, controllare l”informazione per distorcere la realtà: in questo l”italietta berlusconiana batte l”Oceania orwelliana 2 a 1.

Nell”Oceania orwelliana le città erano tappezzate di slogan quali: «la guerra è pace», «la libertà è schiavitù», «l”ignoranza è forza». Nell”italietta berlusconiana si fa di meglio. Giusto un paio di esempi per capirci: con una Napoli piena di rifiuti il Capo dice: il problema è risolto; con un paese in guerra in Afganistan dice: siamo in missione di pace; facendo pressione sulla questura per far rilasciare una minorenne accusata di furto e invischiata in un giro di prostituzione d”alto bordo dice: sono come la Caritas, aiuto i più deboli; con un Paese che va o rotoli lui dice: siamo fuori dalla crisi; con un tasso di disoccupazione alle stelle e avendo governato 8 anni negli ultimi 10 dice: è colpa della sinistra che governa da 10 anni.

I tanti Winston Smith dell”italietta berlusconiana hanno un gran da fare ed è a loro che, il cavaliere, deve il suo successo. Ma è in particolare sulla neolingua che voglio soffermarmi. L”aspetto forse più interessante della distopia orwelliana sta nella relazione tra linguaggio e capacità critica, ma non vado oltre. Anzi torniamo alla domanda iniziale, ovvero cosa avrebbe pensato Orwell dell”italietta berlusconiana.

Nel regno di Arcore la realtà ha ampiamente superato la fantasia: anche qui la realtà berlusconiana batte la finzione orwelliana 2 a 1. Voglio soffermarmi – solo un attimo (ri)giuro – sulla crudeltà del linguaggio, sulla semplificazione imposta dal capo che tutto riduce e niente spiega, sul continuo capovolgimento del linguaggio e del senso che tronca ogni possibilità di discussione.

La neolingua orwelliana, e ripresa da Berlusconi, semplifica ogni concetto dandogli solo un significato e, per lo più, diverso dall”originale (pensate al concetto di riforma o processo breve). Così quel concetto, imposto a reti unificate, impedisce l”elaborazione di idee non conformi alla visione del partito e funzionali alla formazione del Bipensiero. Ora qui sta la genialità immaginativa di Orwell e la (pseudo)genialità attuativa di Berlusconi: l”aver previsto una forma di dittatura che esige dai sudditi che la loro mente si adatti alla nuova “realtà” imposta dal partito e funzionale ad esso.

La prevenzione dell”opposizione, dunque, passa attraverso la limitazione della capacità di giudizio critico ottenuta tramite la neolingua in cui non è possibile più esprimere il proprio pensiero. Insomma, non avendo parole per riflettere e per esprimere la propria sofferenza, i cittadini non hanno la capacità di identificare la loro sofferenza in maniera razionale. La frustrazione e la rabbia vengono così strumentalizzate e indirizzate verso un nemico immaginario, ma maledettamente reale, durante le sedute dell””odio collettivo”.

Nel romanzo di Orwell era Emmanuel Goldstein il Nemico del Popolo; nell”italietta berlusconiana è l”immigrato, l”extracomunitario (tranne l”eccezione di Ruby), tant”è che chi ne ammazza qualcuno sorride alle telecamere e viene applaudito dagli amici. Ma avevo promesso di non dilungarmi troppo e qui mi fermo. Anzi (ri)torno alla domanda iniziale, ovvero cosa avrebbe pensato Orwell dell”italietta berlusconiana. Già, chissà cosa avrebbe pensato nel vedere che la sua neolingua, solo ipotizzata nel suo romanzo, sta cominciando a fare la sua comparsa nell”italietta berlusconiana.

Fonte: http://www.area89.it/post/2010/11/04/LItalia-vista-da-Orwell.aspx.

 

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