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di Massimo Ragnedda.
Pensare stanca. Pensare in piena autonomia e in maniera critica, andando oltre i luoghi comuni e gli stereotipi, implica un grande sforzo a cui forse non siamo abituati. L”élite al potere, ovvero quella che detiene il capitale finanziario e il mondo mediatico, non solo non ci abitua e non ci aiuta a sviluppare il pensiero critico, ma ha paura di esso e di un suo sviluppo. Facciamo un passo indietro e chiediamoci cosa significhi pensare. Se lo chiedeva anche Heidegger il quale sosteneva che pensare, nel mondo occidentale, ha sempre significato prendere, afferrare; acquisire un qualcosa per piegarlo alle nostre esigenze. È da questo che nasce la tecnica. In Oriente invece, pensare significa “semplicemente” conoscere, e non afferrare e scoprire il significato della natura per sottometterla.
In Occidente dunque il pensiero si è sempre declinato nella direzione del potere (Galimberti 2004: 71).
Pensare criticamente invece significa mettere in discussione le banalità e i luoghi comuni, così come i “miti della società “. Il compito del pensiero critico è quello di svelare le apparenze della società , gli inganni e le false coscienze e illuminare o portare l”uomo fuori dalla caverna platonica. Compito del pensiero critico è anche quello di elaborare nuovi modelli di vita e far presente che esistono altre forme di società che non siano basate sulla crescita incondizionata del PIL e sul consumismo più sfrenato. Criticare il sistema esistente implica una piena presa di coscienza della propria situazione. Pensare criticamente significa andare oltre l”apparente e il banale o, come sostiene Hegel, «negare ciò che ci sta immediatamente dinanzi». Pensare in questi termini significa capire, come sostiene Marcuse, che «la realtà è qualcosa di diverso da ciò che è codificato nella logica e nel linguaggio dei fatti; essa trascende questi limiti» (Marcuse 1997: 47). Ma il limite di Marcuse è forse quello di credere che nessuna critica sociale sia possibile all”interno del linguaggio comune. Essa, a mio avviso, non solo è possibile all”interno dei confini tracciati dal linguaggio comune, ma è anche doverosa per l”intellettuale.
È necessario che la scuola insegni a pensare, fornisca gli strumenti per affinare il pensiero critico, che coltivi l”homo criticus e non solo quello faber o ludens. È l”istituzione scuola che dovrebbe, più di altre, sviluppare e allenare il pensiero critico e contrastare il potere dell”industria culturale, dal cinema alla pubblicità , che trasforma i bisogni sociali in bisogni individuali, che spinge, proponendo modelli di successo, gli individui, sin da bambini, alla ricerca sempre più spasmodica del lusso e del comfort, e a trasformare lo spreco in bisogno. L”industria culturale sente la necessità di forgiare l””uomo acritico” che preferisce ragionare per luoghi comuni, accettare dogmaticamente la distinzione manichea del bene contro il male, i facili stereotipi lanciati come slogan che semplificano il nostro modo di ragionare. In fondo, se ci pensiamo bene, è molto più facile, oltre che meno faticoso, pensare in maniera passiva, ragionare per stereotipi sulla base delle informazioni e delle nozioni di cui siamo già a conoscenza e che il mondo mediatico ci fornisce. Forse ha ragione Lippmann quando sostiene che è la struttura cognitiva stessa dell”uomo che lo spinge a vedere «ciò di cui la nostra mente è già piena al riguardo. Un atteggiamento di questo genere risparmia energie. Infatti il tentativo di vedere tutte le cose con freschezza e in dettaglio, invece che nella loro tipicità e generalità , è spossante; e quando si è molto occupati, è praticamente impossibile» (Lippmann 2004: 67).
Il mondo mediatico, dal quale traiamo buona parte della nostra conoscenza e dal quale impariamo a desiderare e sognare qualcosa, non stimola il pensiero critico, ma al contrario cerca di imbrigliarlo all”interno del progresso tecnologico e attraverso l”imposizione di bisogni. Facendo propri questi bisogni, accettando «volontariamente» questi desideri ed interiorizzandoli nell”io più profondo, l”uomo si mimetizza perfettamente nella società in cui vive e ne diviene un tutt”uno, un”unica dimensione direbbe Marcuse, per cui è difficile ipotizzare una sua presa di coscienza e un voler andar contro il sistema. Lo sviluppo del pensiero critico viene, spesso, stroncato dalla eccessiva esposizione ai media. L”essere umano sembra sempre più appiattirsi sulle posizioni della società , sulle posizioni che aiutano lo status quo a auto-perpetuarsi e rinforzarsi.
Non spetta solo alla scuola il gravoso compito di coltivare il pensiero critico, ma anche gli intellettuali dovrebbero stimolare il senso critico della ragione e immettere ogni tanto qualche granellino di sabbia negli ingranaggi ben oleati del sistema, anche sotto forma di provocazioni. L”intellettuale dovrebbe avere la forza morale e l”onestà intellettuale di dire alcune verità scomode e remare controcorrente, anche se questo implica sforzi e sacrifici (Bourdieu, 1991). Sforzi cognitivi e sacrifici di carriera. Pensare criticamente non solo stanca ma, a volte, è rischioso. L”autonomia ha un suo prezzo, che spesso paghi amaramente, ma nessun piacere è equiparabile al profumo di libertà .
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