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In ricordo di Federico Caffè

In ricordo di Federico Caffè
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11 Maggio 2012 - 08.46


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federico caff̬ 20120511di Silvia Pochini* РMicromega on-line

Nello sfondo incerto disegnato dalla crisi e dalle conseguenze della lunga egemonia liberista è ricorso il 25° anniversario della scomparsa, in circostanze rimaste sconosciute, di Federico Caffè. Ricordare Caffè costituisce l”occasione non solo di una commossa memoria per la sua vicenda umana, ma anche per riscoprire in questo nostro difficile presente l”attualità del suo pensiero, la lucidità del suo linguaggio, la coerenza del suo impegno civile.

Personaggio scomodo del secondo dopoguerra per la sua scelta coraggiosa di interpretare l”economia e il mestiere dell”economista dalla parte delle componenti più deboli ed emarginate della società italiana, è in fretta dimenticato all”indomani del 15 aprile 1987 quando abbandona senza traccia la sua casa e la sua vita. Al clamore della sua uscita di scena succede il silenzio, salvo rare e affettuose eccezioni [1], sull”economista che in modo tenace e coerente ha difeso nei dissestati anni settanta e fino al termine del suo percorso la presenza dello Stato in economia contro l”affermarsi invadente della filosofia neo-liberista.

In uno scenario di profonde trasformazioni politiche e sociali, la nuova dottrina insegue nel mito dell”efficienza del mercato l”idea di una “scienza economica naturale” foggiando una disciplina di astratto rigore formale fuori dalla storia e dalla società. Il percorso di allineamento che l”ambiente accademico e culturale italiano intraprende conduce ad una pressoché totale subordinazione dell”autonomia scientifica di ricerca alla supposta frontiera del sapere, di origine anglosassone, che modifica linguaggio, metodi e terapie in una scala gerarchica centrata sulla moneta e la salvaguardia del suo valore. Con questa scelta intere generazioni di giovani studiosi perdono la conoscenza di un approccio umanistico di comprensione della realtà che accomuna Caffè ad altri prestigiosi economisti del Novecento, capaci di guardare nelle pieghe del nostro paese facendo emergere le sue dolorose contraddizioni, consapevoli della responsabilità politica dell”azzardo delle soluzioni [2].

Di fronte ad una perdurante fiducia nel mercato, nonostante l”evidenza dei gravi problemi che affliggono i nostri giorni, al diffuso silenzio [3] che accompagna le scelte di un”Europa indifferente agli effetti dirompenti del disagio sociale e ai rischi di sopravvivenza democratica, ricordare Caffè significa riportare in superficie le ragioni di un”economia disegnata sull”uomo e il suo progresso civile.

Radicato in una profonda conoscenza del pensiero keynesiano e della sua valenza applicativa, l”interpretazione di Caffè poggia su due imprescindibili punti fermi. Il primo riguarda le priorità della politica economica connesse alla risoluzione dei mali prodotti dal sistema capitalistico di produzione, disoccupazione e iniquità distributiva. Garantire piena occupazione e ridistribuzione della ricchezza come obiettivi indiscutibili dei programmi di governo costituiscono per il riformista Caffè, come per Keynes, la condizione per assicurare la sopravvivenza nel tempo della libertà economica e sociale, il tramite per costruire la società possibile.

Il secondo caposaldo, strettamente collegato al precedente, è il riconoscimento del ruolo dell”intervento pubblico quale disegno consapevole del governo dell”economia. Caffè non ignora, né trascura le inefficienze e gli sprechi a cui l”azione dello Stato può dare luogo, anche se ricorda la necessità di un approfondimento oltre la contabilità delle cifre; ma è tenacemente convinto che l”azione di governo sia l”unico strumento, pur se da correggere e modificare nel fluire della storia, attraverso il quale è possibile conseguire il miglioramento civile della società. Fonda questo suo convincimento legando lo Stato, inteso come espressione della appartenenza comune, a tre funzioni essenziali: lo Stato creatore di occupazione e di formazione professionale, ovvero lo Stato “occupatore di ultima istanza”, quasi un contrappeso alla Banca Centrale e al suo ruolo di “prestatore di ultima istanza”; lo Stato garante del benessere e fornitore di servizi che dà forma istituzionale e contenuto ai diritti sociali; infine, sotteso alle due figure precedenti, lo Stato catalizzatore e veicolo dei valori fondanti la convivenza civile, solidarietà e partecipazione.

Così alla “forza contaminante del denaro” che l”invito ad arricchirsi del mercato genera con l”affermazione individualistica del progetto neo-liberista, Caffè contrappone la forza della socialità, la rifondazione morale della società nell”appartenenza condivisa ad uno Stato che riconosce nel lavoro la dignità dell”uomo, che assicura pari opportunità di formazione e avanzamento.

Alla fine degli anni ottanta l”idea di intervento pubblico delineata da Caffè è già un”eresia. Oggi i vincoli dell”Europa chiudono la sua adozione come via percorribile, mentre i problemi si allargano in spirali che non prospettano vie di uscita e segnano la nostra quotidianità in modo doloroso lungo un processo di abbattimento progressivo delle maggiori conquiste civili e democratiche del Novecento. In questa oscurità inquieta le analisi tenaci, il linguaggio appassionato di Caffè risuonano come un forte stimolo a riflettere se troppo facilmente si è accantonato lo Stato come strumento di governo dell”economia; se, in particolare, non trovando altro espediente di correzione dell”organismo collettivo che la sua apertura al mercato, non si sia di fatto, come temeva Caffè, “gettato il bambino, insieme all”acqua sporca”.

In tal senso la sua lettura agganciata al concreto svolgersi della realtà economica mostra le incongruenze di una scelta che, di fronte al potere degli interessi costituiti, affida all”operare del meccanismo del mercato la produzione e distribuzione della ricchezza ignorando i suoi vistosi fallimenti in termini di disoccupazione e iniquità; ed in nome dell”affermazione individualistica trascura di considerare la perdita dei valori di civiltà dimenticando che proprio all”interno del mercato si nasconde il motore di corruzione e spreco che corrode il tessuto dell”organismo pubblico e della società nel suo insieme.

Il suo messaggio invita, oggi come ieri, a resistere alla seduzione ingannevole della magia del mercato. Spesso i grandi profeti inascoltati al loro tempo divengono illuminanti maestri di una posterità che diviene più accorta nell”operare della storia.

10 maggio 2012

* Professore a contratto presso la Facoltà di Economia dell”Università di Pisa.

NOTE

[1] Ne sono un esempio alcune raccolte, spesso curate da economisti ex allievi, quali: “La solitudine del riformista”, a cura di .N Acocella e M.Franzini, Bollati Boringhieri, 1990; “Scritti Quotidiani”, a cura di R. Carlini, Manifesto Libri, 2007. In successione sono usciti due volumi che ripropongono larga parte dell”opera di Caffé curati entrambi da Giuseppe Amari e Nicoletta Rocchi: “Federico Caffè. Un economista per gli uomini comuni”, Ediesse, 2007, “Federico Caffè. Un economista per il nostro tempo”, Ediesse, 2009.

[2] Se tutta la vasta bibliografia di Caffè è manifestazione di questo approccio, particolarmente significative sono le pagine di “Teorie e problemi di politica sociale”, Laterza, 1970 e di “Un”economia in ritardo”, Boringhieri 1976, i saggi raccolti in “In difesa del Welfare State”, Rosenberg &Sellier, 1986. Su questo piano l”interpretazione umanistica di Caffè trova un accostamento ideale nelle analisi lucide di Giorgio Fuà, quali, per limitarsi agli ultimi lavori, “Occupazione e capacità produttive: la realtà italiana”, Il Mulino, 1976 e “La crescita economica. Le insidie delle cifre” Il Mulino, 1993.

[3] Tra le iniziative intraprese recentemente occorre segnalare l”appello promosso dalla CGL a cui ha aderito un folto gruppo di economisti.

Fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/in-ricordo-di-federico-caffe/

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