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'Il ri-orientamento dell''Occidente'

'L''Europa a un bivio. Le scelte necessarie tra guerra e pace, passato e futuro.'

'Il ri-orientamento dell''Occidente'
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24 Maggio 2013 - 14.14


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di Pier Luigi Fagan

Un parziale elenco di fatti recenti: a) La Cina stabilisce rapporti di scambio bilaterale, con Corea, Giappone, Russia, Australia, India, Iran, bypassando il dollaro; anche per l’acquisto di energia; b) i BRICS si fanno la loro Banca Mondiale e minacciano di farsi anche un loro Fondo Monetario; c) gli USA varano una politica economica di re-industrializzazione, favorendo la ri-localizzazione delle manifatture de-localizzate e varano una politica geostrategica (quindi militare) totalmente centrata sull’Asia (pivot to Asia); d) per prima volta, a capo del WTO (anche considerando il GATT) viene eletto un sud americano, per la precisione un brasiliano, con la nuova maggioranza egemone dei BRICS. Da segnalare come l’ultimo round di trattative (Doha round) iniziato nel 2001 sia sostanzialmente bloccato da anni. La controversia su i sussidi USA alla produzione cotoniera (la DS 267), controversia promossa proprio dal Brasile, fa parte di questi agenti di blocco.

Insieme a molti altri fatti, tutto ciò disegna un quadro ben delineato. Si assiste ad una chiara contrazione delle condizioni di possibilità del continuo dominio espansivo degli interessi occidentali, dominio espansivo che ha caratterizzato l’intera modernità. Il riflesso di questa contrazione è prioritaria per tempi e dimensioni alla pur importante contrazione oggettiva delle risorse del pianeta che hanno ispirato il pensiero decrescista. Noi occidentali, tanto di destra che di sinistra, facciamo fatica a realizzare che non siamo più il mondo, ma solo una parte di mondo. Questo anche perché del capitalismo si è avuta una concezione inesatta, tanto in ambito liberale, quanto parzialmente in ambito marxista. Lo si è ritenuto un sistema isolato, dotato di sue ragioni interne, auto-consistente. Purtroppo, secoli e secoli di platonismo (idealismo) hanno avvelenato i pozzi delle nostre rappresentazioni che al di là delle dispute dialettiche tra destra e sinistra risalenti ad un ottocento lontano, fanno entrambe parte di un totale occidentale che ci accumuna in quanto “pensiero comune di civilizzazione”, da un ancor più “lontano”. Alcuni, hanno cominciato a capire che questo è un sistema aperto in senso termodinamico e da qui il concetto di limite delle risorse e quindi di decrescita. Ma ancora pochi hanno capito quanto il nostro sistema sia geneticamente dipendente dall’apertura anche in senso geografico ed economico-politico, un apertura agita con sistematica intenzione e potenza negli assetti coloniali, imperiali formali e informali o di semplice gerarchia nelle reciproche relazioni.

Dipendente, significa che tale apertura è parte del sistema e non è una evenienza, un epifenomeno accessorio, né una sua tarda manifestazione. Liberali di stampo anglosassone hanno proposto una interpretazione per la causa dell’Impero britannico assai curiosa. Gli anglo-britannici sarebbero stati degli “imperialisti per caso”, al limite, accettando anche una auto-diagnosi psicologica confinante con la volontà di potenza. Alcuni marxisti hanno letto l’imperialismo come manifestazione matura e necessaria della foga accumulatoria dei capitalisti. I primi rasentano il ridicolo e non vale neanche perdere spiccioli di tempo per confutarli, i secondi non leggono la necessità intrinseca e la leggono solo come necessità matura.

Ma come diavolo si sarebbe mai potuta manifestare la Rivoluzione industriale senza il cotone che notoriamente non cresce in Gran Bretagna? E laddove “cotone” ed altri coloniali significarono, primo consumo di massa, negozi, banche per il credito e sviluppo della finanza, attivazione del mercato di borsa, trasportatori, grossisti, fabbriche, rivoluzione meccanica su base prima artigianale e poi industriale, lavori per la rete viaria interna (strade, fiumi, ponti, argini etc.), esportatori, importatori, magazzinieri, portuali, marinai, soldati ed ufficiali, industria nautica e portuale, reti di collegamento costiero, cannoni, sviluppo scientifico della navigazione, miniere ed industria del ferro. Insomma tutta quel fenomeno interrelato di un Rivoluzione industriale à la Ashton che dalle merci -non locali- trae il suo stesso presupposto di possibilità. La condizione di possibilità senza il presupposto è il platonismo, l’Idea senza la sostanza.

Si stanno dunque velocemente contraendo le condizioni di possibilità esterne, ed altrettanto velocemente si dovranno riformulare la meccanica e la dinamica dell’intero sistema (il sistema economico-politico che in Occidente chiamiamo capitalismo, al quale corrisponde la forma politica della democrazia liberale) prima e più di quanto normalmente si pensi. Si può leggere tutta la faccenda degli anni ’80, detta neoliberale (finanziarizzazione, globalizzazione, privatizzazione, de-regolamentazione) come reazione a questa contrazione delle possibilità esterne. Le prime due mosse per cercare di bypassare, negandolo, tale restringimento; le seconde due come mosse per liberare condizioni interne visto che quelle esterne andavano problematizzandosi. Il nuovo imperialismo interno al sistema socio-capitalistico è il ripiegamento interno di un sistema che ha sempre maggiori difficoltà a procacciarsi le sue condizioni di replicazioni all’esterno, nel mondo.

Il prossimo negoziato USA-EU per la creazione di una super-area-di-libero-scambio è il riflesso di tutto ciò, ovvero creare una unione degli ex-competitori coloniali ed imperiali, per formare un nuovo soggetto unitario (difensivo-offensivo) vs il resto del mondo. Per questo, volenti o nolenti, uniranno in qualche modo l’Europa. Di ciò non è in predicato il “se”, ma il “come”. Il “quando” è già noto: ora. I negoziati infatti dovrebbero iniziare il mese prossimo e le recenti ed inusuali per un francese, dichiarazioni di Hollande relativamente ad un soggetto europeo unito politicamente, vanno nel senso di questa accelerazione.

“Letteralmente, orientarsi significa: determinare a partire da una certa regione del mondo (una delle quattro in cui suddividiamo l’orizzonte) le altre, in particolare l’oriente” [ I. Kant, Cosa significa orientarsi nel pensiero, Adelphi, Milano, 1996-2006 ]. L’abbraccio disperato dei conflittuali pezzi dell’Occidente per difendersi dalla minaccia del mondo che diviene plurale è il riflesso istintivo della paura che precede proprio quella fine di marginalità di cui si ha paura. Realizza la sua stessa profezia negativa. Ri-orientarsi invece significa una inevitabile e quanto mai salutare separazione degli occidenti. Guardare all’Asia, gli uni (gli USA) con ansia ed aggressività, gli altri (l’Europa) con apertura ed empatia. Per l’Europa, significa guardare ad Oriente, ovvero l’altra parte della grande zolla continentale sulla quale vivono le due grandi civilizzazioni del pianeta. Significa mettersi nelle condizioni di trovare un nuovo modo di stare al mondo, un modo nuovo nel mondo nuovo.

A seconda che lo sguardo europeo si volga impaurito all’estremo Occidente o curioso all’estremo Oriente si farà la scelta implicita tra guerra e pace, tra passato e futuro. Mai il decidere dove volgere lo sguardo fu così gravido di conseguenze.

Fonte: http://pierluigifagan.wordpress.com/2013/05/23/il-ri-orientamento-delloccidente/

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