Come riformare il sistema radiotelevisivo, ORA | Megachip
Top

Come riformare il sistema radiotelevisivo, ORA

Note e principi fondamentali per una legge di riforma del sistema radiotelevisivo in Italia. Proposta di discussione a cura di ALTERNATIVA.

Come riformare il sistema radiotelevisivo, ORA
Preroll

Redazione Modifica articolo

16 Novembre 2013 - 23.59


ATF

Note e principi
fondamentali per una legge di riforma del sistema radiotelevisivo in Italia

(proposta di discussione a cura del laboratorio
politico culturale internazionale ALTERNATIVA*,
novembre 2013).

Noi riteniamo che la “comunicazione”,
cioè l’insieme del flusso comunicativo e informativo destinato ai cittadini,
sia un’attività di primario interesse pubblico.

La comunicazione oggi, in tutte le sue
forme ed i suoi contenuti, in maniera evidente ed incontestabile, incide in
modo sostanziale su tutti gli aspetti della vita collettiva, sull’idea che il
cittadino si forma della società in cui vive, dei rapporti sociali in cui è
collocato, sul suo tenore intellettuale e morale, sull’informazione di cui può
disporre, sulle scelte di vita e di consumo. Il suo aspetto economico, quindi
non può essere predominante.

La comunicazione include anche l’insieme degli strumenti tecnologici attraverso i quali si realizza il diritto di ogni cittadino
a esprimersi; a ricevere e a diffondere informazioni, idee, opinioni; a essere
libero di scegliere tra opzioni interpretative diverse; a essere in grado di
capire quando lo si inganna e quando gli si sottrae una parte più o meno grande
del sapere a cui ha diritto.

L’articolo 21 della Costituzione Italiana,
che definisce correttamente l’esercizio del diritto fondamentale di
informazione e di espressione,
si riferisce tuttavia ad un’epoca in cui il sistema mainstream,
con le attuali caratteristiche, non si era ancora formato
. La materia è, nel frattempo, divenuta eccezionalmente più
grande, complessa e tale da influenzare in modo decisivo l’intera vita politica
di un paese. L’esercizio di quei diritti, e di molti altri, tutti connessi con
gli sviluppi delle tecnologie, è reso oggi assai più critico di quanto non
fosse al momento della stesura di quel testo.

Il cosiddetto “villaggio globale”,
lungi dal favorire l’esercizio di quei diritti, ha provocato una
vasta regressione, una mutazione antropologica di proporzioni mai viste e tutt’ora assai
poco comprese perfino nella ristretta cerchia intellettuale dove le tecnologie
della
information-communication
technology
sono utilizzate.

S’impone dunque una radicale revisione di tutti i concetti fondamentali in materia.

Il Parlamento Europeo, nella sua
direttiva 65/2007 sui servizi di comunicazione audiovisuale dimostra di avere
avuto presenti queste necessità, laddove sottolinea l’importanza delle
iniziative volte a far crescere l’”alfabetizzazione mediatica” delle popolazioni.
Tuttavia quella risoluzione ebbe il grave difetto di privilegiare le esigenze internazionali
della globalizzazione, cioè i suoi aspetti industrial-commerciali. Da qui l’attenzione
pressoché esclusiva, in quelle pagine, all’obiettivo di far “convergere” tutti
i possibili aspetti della
interoperabilità
dei sistemi
.

Quest’ultima caratteristica non può e
non deve confondersi con la
“convergenza”
dei contenuti
.

Un tale approccio è profondamente
deviante e inaccettabile. La convergenza di contenuti (ben altra cosa rispetto
alla convergenza dei sistemi operativi) riduce la libertà di scelta del
“consumatore di comunicazione” e la sua possibilità di accedere a diverse fonti di idee.

La stessa idea di “consumatore della comunicazione” è del tutto fuorviante, poiché presenta il cittadino di una società democratica sotto la veste unidirezionale di consumatore, mentre è evidente che esso dev’essere – oltre che consumatore – “creatore di comunicazione”.

Altro concetto decisamente ingannevole
è l’idea, contenuta in quella risoluzione, secondo cui
il pluralismo proprietario delle piattaforme di
comunicazione assicurerebbe il pluralismo dei contenuti.
L’esperienza italiana (e non solo essa), ha palesemente
dimostrato l’esatto contrario di una tale affermazione. Il pluralismo proprietario
e la competizione tra operatori – nemmeno se si tratta di competizione tra operatori
pubblici e privati – non è affatto in grado, da solo, di garantire il
pluralismo dei contenuti.

Va affermato dunque, anche per tutto
questo insieme di fattori, che la “comunicazione” è oggi divenuta il luogo
essenziale, superiore per importanza formativa ad ogni altro, incluse la
famiglia e la scuola, per la formazione culturale, intellettuale e morale di
una

nazione. Ne consegue che il suo uso
non può essere lasciato al caso, o in balia di interessi

privati ristretti. L’uso di tutti i sistemi audiovisivi deve essere
definito con leggi e regolamenti che siano rigorosamente coerenti con il loro
primario carattere di interesse pubblico
.
Valgono in proposito gli articoli 41,42,43 della Costituzione italiana che
regola e delimita l’esercizio della proprietà privata.

L’uso dei servizi di comunicazione
audiovisiva concerne tutti i cittadini e tutti i gruppi sociali. Tutti ne hanno
diritto, sia soggetti pubblici che soggetti privati, sia che essi abbiano come
obiettivo fini di lucro o fini sociali. Poiché le quantità di tempo e di spazio
elettronico non sono infinite, si pone dunque il problema di stabilire con
quali regole democratiche
distribuire
l’esercizio di tali diritti.

Tali regole devono avere alla loro
base, per tutti i concorrenti, il
rispetto del carattere pubblico delle attività d’impresa. Lo Stato è tenuto a difendere l’interesse pubblico poiché
è suo compito e dovere quello di salvaguardare il diritto all’informazione,
alla libertà di espressione, il diritto a una comunicazione che rispetti la
verità e la decenza, insieme ai valori della pace, dell’uguaglianza e della
solidarietà tra individui e tra popoli.

E’ giunto il momento di impugnare
questi temi e di portarli al centro del dibattito politico. Lo schieramento
democratico, i sindacati, i partiti di sinistra e quelli che non sono più di
sinistra ma ancora usano questa etichetta, hanno tutti una grave responsabilità
per avere permesso, senza opporre resistenza alcuna, a Berlusconi di scorrazzare
liberamente nei pascoli dell’etere. Ma occorre non dimenticare che Berlusconi è
stato soltanto l’interprete e il co-autore di una tragedia più vasta, che si è consumata
in tutti i paesi occidentali e che, in Italia, ha stravolto, pressoché senza resistenza
, il servizio pubblico.

Esso è, in Italia, divenuto un
monopolio privato. La lottizzazione tra partiti, sempre più impregnata di
inciucio, ha fatto il resto e ha offerto la copertura istituzionale
all’appropriazione privata di un bene pubblico
essenziale.

Ora non è più il tempo delle mezze
misure, ora è il tempo del cambiamento radicale.

Esso deve riguardare, insieme alla
RAI, tutte le istituzioni preposte, a cominciare  dall’Autorità di garanzia per le
telecomunicazioni, anch’essa divenuta sede per le pratiche lottizzatrici più
indecorose. La connivenza trasversale denominata RaI-Set è il luogo di origine
della corruzione delle coscienze degli stessi operatori della comunicazione in
tutte le loro componenti professionali. Un cambiamento è indispensabile anche
per liberare giornalisti, autori, attori, tecnici, dalla costrizione del ricatto.

Occorre dunque ribadire fin dai primi
passi che
tutte le frequenze radio e
televisive sono pubbliche
e che lo Stato
deve indicare per legge le norme per una loro ripartizione secondo nuove regole
democratiche. A cominciare dalla completa trasparenza dei criteri secondo cui
tale ripartizione dovrà essere effettuata. Si dovrà prevedere una fase intermedia
di gestione, in tempi certi, perché le necessarie modifiche legislative siano approntate.
L’assegnazione delle frequenze dovrà avere un carattere temporale limitato (da
definire) e dovrà essere periodicamente sottoposta a valutazione della rispondenza
tra impegni contrattuali assunti con lo stato e loro concreta realizzazione.

Il criterio generale cui attenersi
dovrà essere quello della tripartizione:
un terzo deve restare a disposizione del Servizio Pubblico
Nazionale.
Eliminando, tra l’altro, l’assurda
norma secondo cui l’azionista di riferimento del Servizio Pubblico è il
Ministero dell’Economia. Altra dimostrazione palese, questa, e del carattere
distorto e anacronistico del ruolo che si è inteso dare al sistema della
comunicazione.

Un altro terzo dovrebbe essere
assegnato in gestione alla società civile
in tutte le sue molteplici forme: università, regioni, comuni,
centri culturali, organizzazioni sindacali e di categoria, ecc.

Questi due primi terzi dovranno essere
finanziati con denaro pubblico e privato e contenere i messaggi pubblicitari in
dimensioni rigorosamente delimitate. Dovrà essere eliminato il
product placement come una delle forme più insidiose di manipolazione consumistica
del cittadino.

L’ultimo terzo sarà messo a
disposizione del settore privato
,
senza limitazione pubblicitaria.

Dovrà essere stabilito in linea di
principio che il Servizio Pubblico dovrà avere una
totale indipendenza rispetto ai partiti e al
Governo
. Sia nazionale che locale.

L’autorità completa in materia deve
passare attraverso un
Consiglio Nazionale Audiovisivo
(CNA), eletto a suffragio universale dai cittadini italiani
. Analoghi Consigli Regionali Audiovisivi dovranno essere
istituiti per la gestione del Servizio Pubblico a livelli locali.

La Commissione Parlamentare di
Vigilanza dev’essere abolita.
Le
nomine degli organismi di gestione del Servizio Pubblico saranno prerogativa
del CNA, che sceglierà in completa trasparenza pubblica in base a criteri di
indipendenza e di professionalità certificati da appositi concorsi. Una volta
definite le nomine, gli operatori dell’informazione dovranno essere mesi al
riparo da pressioni e forme di corruttela. Sarà prerogativa del CNA anche la
nomina dell’intera composizione dell’Autorità di garanzia per le
telecomunicazioni.

La legge Gasparri dev’essere
abrogata.
Le norme del conflitto d’interessi
dovranno essere definite senza ambiguità, come parte integrale della riforma.

Tutta questa materia dovrà essere
discussa in un Tavolo Tecnico aperto, dove si confronteranno esperti, gruppi
parlamentari, rappresentanti della società civile. Non si discute infatti
soltanto di misure tecniche, ma di un radicale cambio della politica della comunicazione
in questo paese, e delle idee e delle soluzioni che questo paese dovrà portare
sui tavoli europei.

Lo
stesso Tavolo Tecnico, dovrà darsi tempi chiari per la conclusione dei suoi
lavori.

ALTERNATIVA, novembre 2013.

*Si è svolto il 14 novembre alla Camera il Tavolo Tecnico tra associazioni e capigruppo in Vigilanza per discutere un testo legislativo sulla base della piattaforma in 5 punti elaborata dal Movimento di cittadini. <br<Questa è la piattaforma di discussione di Alternativa.

[GotoHome_Torna alla Home Page]

Native

Articoli correlati