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Come si spiega il consenso russo per Putin

'I russi sono innamorati di Putin. Non tutti, certo, ma una enorme maggioranza. L''ultimo sondaggio: una popolarità al 76%. Perché? [Fiammetta Cucurnia] '

Come si spiega il consenso russo per Putin
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12 Aprile 2014 - 01.05


ATF

di
Fiammetta Cucurnia
.

Con
video in coda all’articolo.

Pare
che i russi siano proprio innamorati di
Vladimir
Putin
. Non
tutti, certo, ma una enorme maggioranza. L”ultimo sondaggio
dell”istituto
Vciom-Levada
considerato il più affidabile del Paese, accredita al leader del
Cremlino un indice di popolarità del 76 per cento (per la precisione
il 75,7). Sì dirà che il dato è falsato dai fatti della Crimea, ma
nel maggio del 2012 era il 68,8 per cento a sostenere Putin, e
mediamente negli ultimi 13 anni questo dato si è mantenuto sempre
più o meno stabile, un po” sopra al 60 per cento.

In
questi giorni, poi, come mai prima, arrivano molte telefonate di
amici russi che proprio non riescono a spiegarsi l”atteggiamento dei
Paesi Occidentali verso il loro leader e, dunque, semplificando,
verso di loro. Chi pensa che sia facile dare una spiegazione
convincente, sbaglia di grosso. Perché
per
spiegare ci vogliono le parole, e le parole hanno un significato
molto diverso quando le dici a Roma o a Mosca
.

Democrazia?
Per i russi normali, soprattutto nella periferia del Paese, spesso è
una parolaccia.
La
nuova borghesia
?
Sulle rive della Moscova la parola suona dispregiativa. La prepotenza
del regime contro un оligarca
democratico
come
Khodorkovskij
che voleva sfidare Putin alle urne? Per moltissimi sotto le mura del
Cremlino è il minimo sindacale di un atto di giustizia contro i
tanti oligarchi arricchiti e non sazi di soldi e di potere.
Ucraina,
Crimea,
prezzo
del gas

una continua commedia degli equivoci che rende impossibile capirsi. E
tutto comincia nei «terribili» Anni Novanta.

La
notte del
25
dicembre 1991

i russi non riuscirono a dormire. Il giorno prima erano cittadini di
un Paese, l”
Unione
Sovietica;
da quel momento, non lo erano più. Fu uno shock. Milioni di persone
di nazionalità russa si ritrovarono, abbandonati dalla Madrepatria,
cittadini di Paesi che non li volevano e che spesso, come è accaduto
nelle Repubbliche baltiche, negavano loro i diritti minimi della
cittadinanza. Ma non c”era tempo, né forza per occuparsene.

Presto
le cose cominciarono ad andare peggio di quanto mai si sarebbe potuto
immaginare. Arrivò la politica del Fondo monetario e degli Harvard
Boys, introdotta dal governo di
Boris
Eltsin
:
Liberalizzazione
e
privatizzazione.
Fu chiamata «terapia shock». Uno shock sullo shock. La promessa era
che alla fine del tunnel ci sarebbe stato un Paese finalmente libero,
democratico e benestante. I russi si fidavano, erano pronti ai
sacrifici. Pensavano che l”Occidente, essendo stato capace di offrire
benessere, democrazia e giustizia a casa propria, lo avrebbe fatto
anche da loro.
La
fiducia crollò lentamente, ma inesorabilmente, sotto i colpi della
realtà
.

Sotto
gli occhi impotenti della gente, per il bene del Paese, le
aziende
cominciarono ad essere
vendute
per un
prezzo vicino allo zero,tra l”1,5 e il 2 per cento del loro valore
.
In tutto, lo Stato realizzò dall”operazione circa il 10 per cento
del valore effettivo, beni mobili e immobili inclusi. Alle persone
normali fu dato un pezzo di carta, si chiamava
voucher,
che era l”equivalente della quota a cui avevano diritto. Valevano
10mila rubli.

Natalja
Fjodorovna
,
l”anziana mamma di una mia cara amica, fu la prima a pronunciare
quella che credevo fosse una battuta: «
muzhiki
prodadut za butilku»
,
gli uomini lo venderanno per una bottiglia. Ci volle poco a capire
che non era una boutade. I voucher si vendevano agli angoli delle
strade per una vodka, tremila rubli.

Come
scrive
Naomi
Klein
nel
suo
Shock
Economy
,
«nel 1998, oltre l”80% delle aziende agricole erano in bancarotta, e
circa 70mila fabbriche statali avevano chiuso i battenti, generando
un”epidemia di disoccupazione». E «74 milioni di russi vivevano
sotto la soglia di povertà, secondo la Banca mondiale». Lavoro non
ce n”era nel modo più assoluto. I ragazzi sognavano di fuggire e
chiedevano i computer, le pensioni arrivavano in ritardo, gli
stipendi non arrivavano più, medici, insegnanti, professori, chi
poteva cercava un lavoretto all”estero.

Le
file nei negozi erano scomparse, come i soldi per comprare
.
Ovunque fiorivano tetri negozietti temporanei dove
si
pagava direttamente in dollari
.
Gli ospedali non davano più neanche le lenzuola. La
criminalità
fioriva, al punto che era diventato rischioso girare di notte anche
in una città come Mosca. Nel frattempo, tutti i soldi della Russia
erano passati nella tasche di pochi intraprendenti, che diventarono
miliardari e potenti, i cosiddetti
oligarchi.

A
proposito di Khodorkhovskij, quando fu arrestato, nel 2003, era il
padrone della
Yukos,
il terzo colosso petrolifero del Paese, e l”aveva acquistata
partecipando ad un”asta, sebbene fosse stato proprietario della banca
Menatep
che quell”asta aveva gestito. In pratica, come spiegò poi il
responsabile del programma di privatizzazione
Alfred
Kokh
,
aveva comprato la Yukos con i soldi della Yukos. Ottenne il 77 per
cento delle azioni con
309
milioni di dollari
.
E poiché
il
valore reale si aggirava intorno ai 30 miliardi
,
entrò direttamente a far parte degli uomini più ricchi del mondo
(
Forbes).
Così la vedono i russi. Che hanno ritrovato un po” di fiducia il
giorno in cui è arrivato Putin e ha ripreso in mano, nel bene e nel
male, il Paese. Questo dice Natalia Fjodorovna, che ha avuto una vita
lunga e difficile, e partorì il suo primo figlio su un treno mentre
fuggiva non sapeva dove coi nazisti alle calcagna. Ogni russo ha una
storia incredibile da raccontare, una storia che – proprio come ha
dimostrato
Emmanuel
Carrère

con
Limonov
– vale un romanzo. Loro sì che possono spiegarci perché non si è
ancora formata una vera borghesia in Russia. Ma per favore, almeno a
Mosca, non chiamatela così.

Tratto
da
Il
Venerdì di Repubblica
,
11 aprile 2014.

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La canzone agiografica su Vladimir Vladimirovic Putin ([i]VVP[/i], stessa sigla russa per PIL) diffusa prima delle ultime elezioni presidenziali:
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