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Io scrivo per quelli che non possono leggermi

Eduardo Galeano: un ricordo di Raúl Zibechi. [Comune-info]

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14 Aprile 2015 - 20.45


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di Raúl Zibechi

Chi ascolta i battiti del cuore di sotto (1), ne accoglie i dolori, ne condivide le risate e il pianto. Chi si sforza per comprenderli senza interpretarli, per accettarli senza giudicarli. Ecco chi può guadagnare un posto nei cuori di sotto. Eduardo Galeano ha percorso le più diverse geografie latinoamericane sui treni, a dorso di mulo e a piedi, spostandosi con gli stessi mezzi di quelli di sotto. Non cercava di mimetizzarsi, cercava qualcosa in più: voleva sentire sulla pelle il sentire degli altri e delle altre per farli vivere nei suoi testi, per aiutarli a uscire dall’anonimato.

È stato un uomo semplice, Eduardo. Legato alla gente comune, ai nessuno, agli oppressi. Il suo è stato un impegno con la gente in carne e ossa, con uomini e donne che vivono e che soffrono; molto più profondo dell’adesione a ideologie che possono sempre essere distorte secondo gli interessi del momento. I dolori (di quelli, ndt) di sotto, ci ha insegnato Galeano, non possono essere oggetto di negoziati, né rappresentati e nemmeno spiegati dal migliore degli scrittori. Lo stesso vale per le loro speranze.

Tra i molti insegnamenti di Eduardo Galeano, bisogna recuperare il puntiglioso attaccamento alla verità. Le verità, però, le trovava lontano dal mondano rumore dei media, negli occhi affamati di una bambina indigena, nei piedi lacerati dei contadini, nel candido sorriso delle venditrici, lì dove quelli che sono stati ridotti a nessuno (2) dicono le loro verità di ogni giorno, senza testimoni.

Non ha avuto mai la minima esitazione ad accusare i responsabili della povertà e della fame. Come in quelle cronache sulla crisi dell’industria uruguayana, quando appena ventenne era caporedattore del settimanale Marcha, tra i primi e i maggiori esponenti della stampa critica e impegnata. In quelle cronache denunciava i potenti con nomi, cognomi e proprietà. Senza giri di parole. Perché, come gli piaceva dire, “i media fanno le parole puttane”.

Sono stati i suoi reportage sulle lotte e le resistenze di quelli sotto a lasciare un’impronta nuova e indelebile. Come quello che intitolò: “Dalla ribellione in avanti”, nel marzo del 1964, raccontando la seconda marcia “cañera” (dei lavoratori della canna da zucchero). Lo sguardo di Galeano si soffermava sugli oltre novanta bambini che vi prendevano parte, su donna Marculina Piñeiro, tanto vecchia che aveva dimenticato la sua età, per la quale Galeano pareva provare una speciale ammirazione. “Volevano vincerci con la fame. Però con la fame, che avevamo da perdere. Siamo abituati, noi”, gli disse la donna, madre e nipote di lavoratori della canna.

La penna di Galeano dava forma alla vita quotidiana dei diseredati ma non si accontentava di ritrarre il dolore. Si affannava a dipingere – di colori vivaci – la dignità dei suoi passi, la rabbia capace di sopravvivere alla repressione e alle torture. Sempre e in ognuno dei suoi articoli, in primo luogo compariva la gente che incarnava le sofferenze e le resistenze. Forse perché era ossessionato dall’indifferenza dei più a quello che considerava “uno stile di vita” il cui guscio dobbiamo distruggere. Era proprio per questo che scriveva i suoi articoli.

Tra i molti tributi che ha ricevuto in vita, c’è quello del maestro della scuoletta zapatista José Luis Solís López che ha adottato Galeano come pseudonimo. È molto probabile che il maestro non si riferisse allo scrittore. In ogni caso, Eduardo e lo zapatismo, si sono conosciuti e riconosciuti subito. Come se per tutta la vita si fossero attesi. Non li ha fatti incontrare un programma né una piattaforma di rivendicazioni bensì l’etica del restare in basso e a sinistra.

Eduardo Galeano è stato a La Realidad nell’agosto del 1996. Ha partecipato a uno dei tavoli dell’Incontro Intercontinentale per l’Umanità e contro il Neoliberismo. Parlò poco, fu chiaro e disse molto. In quei giorni, e in molti altri giorni ancora, seminò Galeani, contagiò Galeani, che adesso camminano Galeani, inalberando la degna e Galeana rabbia. I nessuno di sempre lo portano nei loro cuori.

NOTE

(1) Per i lettori di “Comune” non dovrebbero certo essere necessarie note esplicative sui concetti di abajo e los de abajo o los de arriba, utilizzati da molti anni in modo corrente da Zibechi, dagli zapatisti e dallo stesso Galeano. Non possiamo tuttavia non riprendere in questa occasione la definizione che dà la misura della grandezza e della semplicità del linguaggio di Eduardo Galeano: “Io scrivo per quelli che non possono leggermi. Los de abajo, quelli che aspettano da secoli alla coda della storia, non sanno leggere o non hanno con cosa farlo”.

(2) Nel testo in spagnolo Zibechi usa qui, come anche nel titolo originale, “ninguneados”, cioè persone fatte diventare nessuno. Nella traduzione abbiamo scelto I “nessuno”, los nadie, per esigenze di impaginazione e perché, in accordo con l’autore, ci è sembrato potesse presentare, pur sacrificando la precisione del concetto, con la stessa o maggiore efficacia in italiano il senso dell’articolo.

(14 aprile 2015)

Traduzione per [b][url”Comune-info”]http://comune-info.net/[/url] di Marco Calabria[/b].

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