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Nicaragua. Il "Gran Canal" un disastro prevedibile?

Il titanico progetto del canale interoceanico, le sue criticità e le crescenti proteste. [Roberto Meloni]

Nicaragua. Il "Gran Canal" un disastro prevedibile?
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13 Maggio 2015 - 09.18


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di Roberto Meloni

Settantadue. È questo il numero di tentativi di costruire un Canale Interoceanico in Nicaragua, terra di rivoluzione, terremoti, laghi e vulcani. Settantadue fra quelli con una concreta ipotesi di fattibilità e quelli meno seri. Tutti, tranne due, nati e promossi da potenze straniere.

L’ultimo di questi è promosso e portato avanti da un’impresa cinese, la HKND Group del tutto nuova nel mestiere di costruzione di grandi opere. Il governo di Daniel Ortega ha comunque deciso di affidarsi alla super potenza cinese per portare avanti il maestoso (almeno per grandezza) progetto del canale interoceanico che dividerebbe in due il paese, tagliandolo a metà.

Come a metà verrebbe tagliato anche il più grande bacino d’acqua del Centro America, il lago Cocibolca, il secondo lago più grande dell’intera America Latina.

Le premesse riassunte in queste poche righe racchiudono solo alcune delle criticità di un disastro che sembra fin troppo prevedibile. L’intero paese è in subbuglio ormai da mesi per la questione del “Gran Canal”. Durante i mesi trascorsi in Nicaragua e viaggiando per il paese, non potevo non ricercare informazioni fra la gente del paese, e ascoltare le loro opinioni riguardo il canale.

Un paese che ha un tasso di migrazione altissimo, soprattutto verso il confinante e ricco Costa Rica, non può d’altronde permettersi di sottovalutare un’imponente opera che racchiude in se denaro, corruzione, devastazione dell’ambiente, ma anche sviluppo. O sarebbe meglio dire ipotetico sviluppo.

Quello sviluppo tanto promesso dai governi che si sono succeduti dalla giorno della vittoria della rivoluzione, quell’ormai lontano 19 luglio 1979, e mai arrivato fino in fondo. Quella promessa di estirpare la povertà dal paese, ancora pienamente ascrivibile al mero sogno, all’utopia.

Incontro Don Miguel, un compañero sandinista sulla sessantina, nel mio viaggio verso San Juan del Norte, uno sperduto paesino che si affaccia sul Mar dei Caraibi. Parliamo del progetto del Canale perché non posso lasciarmi sfuggire l’opinione di un sandinista che fa parte dell’assemblea nazionale del partito.

“Il contratto con l’impresa cinese prevede che il 5% degli introiti del canale saranno per noi, per il paese! Questo 5% significherebbe il doppio dell’attuale PIL del Nicaragua. Solo così il paese può svilupparsi e non dipendere più dagli altri”. Don Miguel però, dopo qualche birra di troppo per la festa di San Juan, mi racconta che ormai il governo non prende affatto in considerazione le decisioni dell’assemblea del partito Sandinista di cui lui stesso fa parte. Il progetto del Gran Canal è stato presentato loro come l’unica reale occasione di sviluppo del paese, ma anche Don Miguel, in fondo, non è così convinto.

“Non c’è stato tempo neanche di proporre delle alternative” mi dice amareggiato. Lui non riesce ad immaginare il paese percorso da un lato all’altro da enormi navi da cargo, che squarterebbero il lago e distruggerebbero vegetazione e fauna. Le regioni dell’est del Nicaragua, per esempio, sono quasi completamente disabitate e i piccoli villaggi lungo il percorso del canale verrebbero distrutti, quando non fisicamente, almeno economicamente, perché non sarebbe più possibile coltivare i terreni limitrofi o da far pascolare agli animali.

L’intera riserva indio-maiz, l’enorme polmone verde del paese, sarebbe devastata dal canale; i fiumi e il gran lago minacciati di una devastazione pressoché totale.

Le questioni da affrontare sono varie. Per cercare di rendere l’idea dell’imponente opera, ma soprattutto della sua probabile potenza devastatrice dal punto di vista ambientale, è importante sottolineare un dato: dei 105 kilometri necessari per attraversare il Lago Cocibolca da parte a parte lungo il percorso previsto per l’attraversamento navale, solo 15 chilometri hanno profondità adeguata (la così detta fosa de San Ramón). Questo richiederebbe dunque un imponente dragaggio della quasi intera rotta del canale (considerato che i fiumi andrebbero certamente dragati). Centinaia di milioni di tonnellate di terra sarebbero dunque da rimuovere, provocando non pochi problemi ambientali.

Alle ragioni dettate dall’evidenza si affiancano però inoltre i pochissimi studi scientifici sulla profondità del lago: tanto il governo quanto l’impresa HKND hanno infatti cercato di ostacolare in tutti i modi gli studi scientifici approfonditi a riguardo. Questa aventura canalera prevede un’estensione del canale di 278 chilometri totali, per 250 metri di larghezza. Mettendo un attimo da parte la mancanza di esperienza dell’impresa incaricata del progetto, è comunque importante segnalare la mancanza di altre opere primarie nel paese. Le autostrade sono inesistenti, mentre strade fatiscenti sono la realtà di un paese che pare si voglia affidare ad una grande opera per motivi non ancora chiari.

Inoltre la questione dello sviluppo del paese passa certamente dalle promesse di lavoro per un numero non meglio definito di autoctoni. Moltissimi fra studiosi e intellettuali, oltre che gruppi di persone che si stanno opponendo al canale, presumono che dietro questa impresa incaricata del progetto ci sia la Repubblica Popolare Cinese, vera fautrice delle trattative col governo sandinista.

Sono in molti a far notare che le imprese cinesi non hanno certamente portato nuovo lavoro durante la costruzione di qualsivoglia opera tanto in Africa (dove la Cina ha investito tantissimo) come negli altri paesi del continente Latinoamericano. Ingegneri e professionisti inviati direttamente dalla madre-Cina non lascerebbero spazio alle giovani menti nicaraguensi durante la costruzione dell’intera opera. C’è inoltre molto di che dubitare anche sul numero di operai locali eventualmente adoperati per la costruzione dell’opera. Se a questo aggiungiamo le pochissime informazioni pubbliche sull’impresa HKND, sembrerebbe che il vecchio e tanto odiato interventismo statunitense sia stato sostituito da una nuova forma di interventismo, che però ha cambiato bandiera e lingua.

Da quella chiacchierata con Don Miguel sono ormai passati molti mesi, ma nel frattempo c’è anche stata molta presa di consapevolezza da parte di tante persone in Nicaragua su questa titanica opera. I lavori della costruzione del canale sono ufficialmente iniziati lo scorso dicembre, ma da mesi addietro ormai il paese vive una nuova resistenza. Tanti sono i villaggi che hanno iniziato a protestare e manifestare contro la decisione presa dal governo del comandante Ortega. Oggi il Nicaragua sembra essere tornato a svegliare i vecchi animi rivoluzionari che hanno affrontato dittature, guerre civili e tanta, tanta povertà. Anime resistenti che pare non si arrenderanno all’espropriazione delle loro case e delle loro terre. Anime resistenti, nulla di meno, tanto di più.

(13 maggio 2015)

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Infografica: Wan Jing, director Ejecutivo HK Nicaragua Canal © [url”La Prensa”]http://www.laprensa.com.ni/[/url]

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