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Ieri mi hanno sparato due volte

'Non importa quale sia la matrice di questi episodi. A seconda del vento politico, essi sembrano di volta il frutto opportuno o la con-causa d''un processo in corso'

Ieri mi hanno sparato due volte
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18 Giugno 2016 - 21.34


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di Leni Remedios.

BIRMINGHAM (Regno Unito) – Ieri mi hanno sparato due volte. Ed avverto
ancora il dolore al ventre dopo la coltellata.

Ed ancora continuano a spararmi ed accoltellarmi, oggi. Ed ancora
continueranno a farlo nei giorni a venire.

Ma ad ogni colpo risorgo. Più forte di prima.

Non è solo perché con Jo Cox ho in comune l’età anagrafica.

Non è solo perché con Jo Cox ho in comune il fatto di essere madre di due
figli piccoli.

Non è solo perché con Jo Cox ho in comune una visione del mondo che, pur
nelle differenze anche sostanziali, va al di l
à delle idee politiche.

Una visione del mondo per cui gli esseri umani sono visti in quanto tali, e
non come bandiere.

Oggi e domani speculeranno sulla morte di Jo. Qualcuno nutrirà sentimenti
di vendetta, qualcun’altro la userà come strumento di battaglia politica. Sta
già succedendo. E succederà ancora. Ma io risorgo ora e risorgerò sempre a
questi lutti. Sono sicura che se Mrs Cox potesse tornare indietro e dire la
sua, avrebbe parole di amore e compassione anche verso i perpetratori del suo
omicidio, chiunque essi siano e chiunque – se c’è – sia dietro questo delitto.
Perché questo è ciò a cui ha dedicato la sua vita e la sua carriera politica. Sia
che si tratti del gesto isolato di uno squilibrato, sia che si tratti di
qualcosa di più orchestrato o di entrambi – le indagini faranno il loro corso –
Jo Cox inviterebbe tutti a non indulgere in sentimenti di astio.

Scrive il marito Brendan Cox: “Avrebbe voluto vederci tutti uniti a lottare
contro quell’odio che l’ha uccisa. L’odio non ha credo, razza o religione.
L’odio è veleno”.

Tendo ad evitare termini come “non” e “contro”, perciò mi permetto di
introiettare le parole di Brendan Cox con una lieve modifica linguistica: uniti
tutti non per la lotta contro, ma per la promozione di. Promozione di valori
come solidarietà, la condivisione nelle lacrime e nelle risa, la giustizia
sociale, il riconoscimento del merito per tutti.

L’unica negazione che mi sento di sostenere con forza ora, introducendo se
vogliamo una nuova linea di riflessione dopo quanto è accaduto, è la seguente: no fear, non abbiamo paura.

Mentre si versano lacrime e parole di cordoglio, oggi apprendo che i
mercati hanno avuto un momento di slancio dopo l’esecuzione di questo omicidio.
L’amorale “zona franca” della nostra società – così l’ha definita
magistralmente Turi Comito – non sembra essere minimamente toccata nei
sentimenti che non ha. Intanto gli sciacalli mediatici piegano gli eventi verso
un disgustoso dibattito su Brexit sì Brexit no sbandierando il viso della
giovane MP mentre il suo cadavere è ancora caldo.

Il clima che si respira nel Regno Unito oggi dopo l’uccisione di Jo Cox è
il momento culminante di una generale tensione sociale nutrita con zelo da
molto tempo qui e riecheggiante il clima internazionale. Condita da episodi
terroristici sparsi qua e là, seguiti ogni volta da torsioni della legge verso
un maggior controllo sociale in nome della sicurezza.  

Una tensione montante che spinge le persone verso il sospetto reciproco e
l’autocensura. Non importa quale sia la matrice di questi episodi. A seconda
del vento politico del momento, essi sembrano di volta il frutto opportuno o la
con-causa di un processo in corso.

Secondo la logica corrente dovremmo tutti avere paura per qualcosa.

Continuo a pensare, nonostante tutte le contraddizioni, che la Gran
Bretagna sia un paese con un alto livello di civiltà, abituato più di altri ad
elaborare i naturali conflitti dovuti alle diversità culturali, religiose,
linguistiche per muoversi verso una coesistenza il più possibile pacifica se
non addirittura fruttuosa in ogni senso (Mrs Cox diceva nel suo primo discorso
in parlamento che l’immigrazione non ha fatto altro che migliorare la qualità
della vita nella sua circoscrizione elettorale).

Eppure il sentore che colgo è quello di semi di odio e paura disseminati dall’esterno
qua e là e pronti a germinare al momento più o meno giusto, all’insaputa della
vittima sacrificale di turno.

Le guerre non si fanno solo a colpi di bombe e droni nelle zone del mondo
lontane dai nostri salotti occidentali. Si fanno prima di tutto controllando
consenso e dissenso in casa nostra.

Ripeto, in Gran Bretagna come altrove, dovremmo tutti aver paura di
qualcosa. In strada dovremmo aver paura dell’instabile di turno che si mette a
sparacchiare in nome di un Allah prestato al Califfo o in nome di una
fantomatica purezza razziale.

Nelle università dovremmo stare attenti a non esporci troppo in opinioni
non allineate con l’establishment, in barba alla sbandierata “libertà di parola
ed espressione”, per non rischiare di essere indagati
come “amici dei terroristi”
. Problema non solo inglese: succede anche in
Italia, come nel caso della studentessa condannata per aver raccontato i NoTav nella sua tesi di laurea.

Per lo stesso motivo, come giornalisti e parlamentari, nel caso avessimo
opinioni non in linea con la visione corrente, dovremmo aspettarci da un
momento all’altro un’ispezione da parte del ministero dell’interno, con
relativo sequestro di documenti, perché è stato deciso che “in casi di
emergenza” – per motivi di sicurezza – il ministero può agire in questo senso
senza nulla osta dei giudici; un’emergenza che non si capisce bene da chi venga
stabilita e secondo quali criteri.

Come corrispondente news e promotrice di valori di pace e condivisione
sociale da ieri dovrei avere paura per la mia stessa sorte.

Insomma dovremmo tutti farci zitti, morderci le labbra, non esporci troppo.

Stretti fra la paura verso l’uomo della strada o verso le azioni di una
classe politica fin troppo zelante nel sopprimere il dissenso.

Sono molte anche le cose che non ho in comune con Jo Cox. Non era certo una
radicale nel suo percorso politico: non voleva definirsi una ‘blairite’ ma allo
stesso tempo criticava anche duramente il capo del suo partito, Jeremy Corbyn,
molto più a sinistra e con il quale – 
oltre alle iniziali – condivideva poco altro. Sull’intervento in Siria
aveva una posizione non chiara: parlava del conflitto usando i termini del
mainstream, ovvero ‘guerra civile’ e ‘regime’ riferendosi ad Assad. Ma al
momento del voto sui bombardamenti scelse di astenersi, pronunciandosi a favore
di una risoluzione politico-diplomatica. E fu sempre a fianco dei profughi, a
favore di una maggiore accoglienza di questi ultimi da parte del Regno Unito.

Ripeto, qualunque sia il movente dietro a questa vicenda, essa risulta
cinicamente comoda a molti, in primis
i mercati. Ed a chi preme per creare un clima di paura, strumento primario per
una manipolazione di massa.

Io non ho paura. È l’unico “non” che mi sento di pronunciare. Risorgo dopo
questa ennesima morte per pronunciare il mio sì ai valori di solidarietà e di
giustizia sociale, depurando il più possibile il linguaggio dall’odio e dal
risentimento. Per invitare tutti a non ritirarsi, a non mordersi le labbra, a
non autocensurarsi. In Gran Bretagna come altrove. Ora più che mai.

Postilla

In seguito a
diversi commenti degli utenti l’autrice trova doveroso precisare un punto:

Molti riportano erroneamente come Jo Cox fosse
un’attivista votata al pacifismo e contraria agli interventi militari in zone di
guerra come la Siria, posizione che l’avvicinerebbe al suo leader di partito
Jeremy Corbyn.  Come ho gi
à
menzionato nell’articolo, tale informazione
è erronea: Jo Cox era favorevole ad una maggiore accoglienza ed
integrazione sia di migranti che di profughi ma, per quanto si astenne al
momento del voto sui bombardamenti,  era
favorevole ad un intervento militare di qualche tipo in Siria – distaccandosi
anche in questo da Jeremy Corbyn – e criticò sia Obama che il premier David
Cameron per non aver fatto abbastanza. Faceva parte del gruppo parlamentare
Friends of Syria ed a suggello delle sue posizioni, parte del denaro ricavato
dal crowfunding dopo la sua morte andrà a finanziare il gruppo paramilitare de
“Gli elmetti bianchi”, la cui forte ambiguità è stata provata da più fonti,
come si evince anche da un servizio di Pandora TV. La sua attività in buona
fede a favore dei diritti umani ne faceva suo malgrado uno strumento utile alla
dinamica che vuole i paesi occidentali in veste sia di distruttori di altri
paesi che di amorevoli soccorritori dei profughi che ne seguono.

Questo va ribadito per amor di chiarezza.

Tuttavia, nello
scorrere i commenti che hanno seguito questa dolorosa vicenda, colgo una
sensazione strisciante e sento imperativo ribadire come tutto ciò non debba
dare adito a pericolose supposizioni, da parte di alcuni,  per cui la sua morte possa essere considerata
meno seriamente.

Qualsiasi sia la
parte politica coinvolta, la condanna di delitti così efferati deve essere
chiara, che si tratti di una vittima di un’azione isolata come anche di una
resa di conti fra fazioni.

Nel ricordarci,
come già detto, che grazie al clima di tensione sociale in cui siamo immersi, ognuno
di noi – per i motivi più disparati – può diventare target di qualche azione
criminosa o repressiva.

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