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Addio al filosofo postmoderno

Il filosofo di origine polacca Zygmunt Bauman è morto a Leeds. Aveva 91 anni. Fu il grande teorico della società liquida. [Mary B. Tolusso]

Addio al filosofo postmoderno
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11 Gennaio 2017 - 19.35


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di Mary B. Tolusso

Liquid love, liquid life, liquid fear, in due parole: società liquida. Una teoria che ha fortemente caratterizzato l’ultimo quarto di secolo, immediatamente associata a Zygmunt Bauman, il filosofo polacco scomparso ieri [ndr: 9 gennaio 2017] a Leeds, nel Regno Unito.

Difficile sopravvalutare la portata e l’effetto del termine “liquido” applicato a una serie di aspetti cruciali della nostra vita, delle società occidentali e forse dell’intera umanità. La parola ha avuto e continua ad avere il merito di esprimere, in maniera sintetica, efficace e alla portata di tutti, non solo la situazione in cui ci troviamo, ma anche le linee di tendenza che la proiettano verso un futuro estremante incerto. Si potrebbe dire che anche quella di Bauman, secondo una determinata ottica, è stata una vita “liquida”.

Nato in Polonia da famiglia di origine ebraica, a 14 anni deve sfuggire alla persecuzione dei nazisti e riuscirà a mettersi in salvo in Unione Sovietica. Durante il soggiorno russo ha modo di familiarizzare con alcuni aspetti della dottrina e dell’ideologia marxista. Alla fine della seconda guerra mondiale riesce a rientrare in patria dove, a Varsavia, intraprende il percorso accademico. Si trasferirà poi in Inghilterra, dove ha sempre vissuto, insegnando all’Università di Leeds. Ma il suo impegno non si è certo limitato a una ricerca chiusa entro le mura degli specialismi. Liquido infatti non è uno stato, una condizione che contraddistingue l’attualità, ma indica anche il compito di attrezzare il pensiero a coglierne aspetti, profili, tratti per i quali non esistono strumenti disponibili e che quindi devono essere inventati e tradotti.

Bauman ha ripetutamente espresso, pubblicamente e frontalmente, una serie di giudizi fortemente critici non solo da un punto di vista sociologico, ma anche politico: «La libertà individuale può essere solo il prodotto di un impegno collettivo», scriveva in “La solitudine del cittadino globale”. Un ossimoro, questo, che è un altro tema sollevato e cavalcato dal grande sociologo. A fronte della progressiva globalizzazione Bauman coglie infatti una sempre maggiore insularizzazione dell’individuo, dell’uomo comune che si ritrova sempre più in difficoltà a orientarsi all’interno di uno spazio sociale, culturale e morale molto sfrangiato, mobile e instabile.

Al filosofo va indubbiamente il merito di aver focalizzato l’origine della morale in un atto che è sempre individuale. E tuttavia la comunicazione tra gli uomini rimane l’unica possibilità di pace. Concetto che ha sottolineato anche nel suo ultimo viaggio in Italia, pochi mesi fa ad Assisi, dove era intervenuto anche Papa Francesco. Insomma in una società globalizzata entra in crisi la comunità, e l’individuo, privo oramai di saldi legami sociali, non può che ritrovarsi in un costante antagonismo con gli altri. Siamo quindi di fronte a un soggettivismo in costante potenziamento il cui esito principale più temibile, consiste nell’indebolire i legami sociali. La sua grande visione politica della globalizzazione planetaria si coniugava nello specifico con una sua battaglia intellettuale nell’ambito delle migrazioni e dei profughi in cerca di asilo.

Ma Bauman si è speso molto anche a favore dello stato di Israele, senza lesinare critiche a una politica espansionistica che a suo giudizio avrebbe portato all’indebolimento della causa di Israele stesso. Quanto poi alla questione del terrorismo, secondo il filosofo: «Non si conduce devastando ulteriormente le città e i villaggi semidistrutti dell’Iraq o dell’Afghanistan, ma cancellando i debiti dei Paesi poveri, aprendo i nostri ricchi mercati ai prodotti di base di questi paesi, finanziando l’istruzione dei 115 milioni di bambini attualmente privi di qualsiasi accesso alla scuola e conquistando, deliberando e attuando altri provvedimenti simili». Se n’è andato uno studioso che ha avuto soprattutto il grande merito di tradurre le proprie analisi in narrazioni e metafore in grado di raggiungere i più, di incrociare gli studi sociologici con la dimensione della politica e della morale.

La sua “Modernità liquida” è diventata una metafora che ha invaso più strati del linguaggio odierno, evocando quelle dinamiche contemporanee (privatizzazioni, individualizzazione, flessibilità) che indicano una progressiva conquista della libertà da parte di ogni singolo individuo, ma che ha come prezzo il venire meno di punti di riferimento, di strumenti per orientarsi in un mondo globalizzato, sempre più libero e quindi sempre più rischioso.

(10 gennaio 2017)

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