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da infoaut.org.
Giuliano Poletti ha trovato finalmente la priorità su cui il
Ministro del lavoro del paese con uno dei più alti tassi di
disoccupazione d”Europa dovrebbe concentrarsi. Durante un incontro “sul
futuro dei giovani” organizzato dalla regione Toscana ha dichiarato,
udite, udite, che gli studenti italiani fanno troppe vacanze: “un mese di vacanza va bene, ma non c”è obbligo di farne tre” ha dichiarato ad una folla in visibilio.
Potrebbe
sembrare l”ennesima boutade di un classe politica che non smette mai di
ascrivere la crisi a una questione di giovani pigri e bamboccioni
troppo choosy per cogliere le innumerevoli opportunità che si
presentono loro come frutti maturi. D”altra parte, poi, è davvero troppo
pretendere, da parte di un ministro che prende fior di quattrini e fa
la lezioncina ai giovani, di sapere che il tempo di presenza in classe
nelle scuole secondarie italiane è tra i più alti d”Europa con 990 ore di presenza obbligatoria l”anno a fronte di una media UE di 882 ore… Ma, l”avevamo già segnalato, il sottosegretariato alla supercazzola è sempre l”ufficio più importante di ogni ministero del governo renziano.
Poletti,
comunque, ha le idee chiare di cosa fare dei mesi sottratti all”ozio
giovanile: “magari, uno potrebbe essere passato a fare formazione”.
Insomma, diciamo noi, magari leggere un libro, addirittura formarsi una
coscienza critica e autonoma al di fuori dei programmi scolastici può
essere formativo e complementare all”attività didattica. Ma, suvvia, non
è tempo di fare gli schizzinosi, la competizione è spietata non è certo
il momento di leggere libri con tutte le skills da acquisire che ci sono.
Ma
il ministro chiarisce subito a che tipo di formazione estiva si
riferisce, quella che dice di aver riservato ai suoi pargoli: “i miei
figli d”estate sono sempre andati al magazzino della frutta a spostare
le casse”. En passant, è sempre impressionante constatare che i
rampolli del paese del nepotismo da giovani sono tutti a scaricare
frutta ma poi, chissà come, si ritrovano anche loro a comandare.
Comunque, il succo del discorso papà jobs act lo chiarisce lui stesso:
“Dobbiamo affrontare questa questione culturale ed educativa del
rapporto dei ragazzi con il mondo del lavoro, e non spostarlo sempre più
avanti”.
Cerchiamo di fare qualche considerazione, perché in queste poche parole si condensa una parte non indifferente del progetto di sviluppo economico che Matteo Renzi sta portando avanti a suon di verybello.
Soprassedendo, per pure ragioni igieniche, su quale credibilità possa avere il faccendiere delle cooperative italiane e delle cene con Mafia Capitale
quanto a questioni educative, dire che, nel paese dove chi ha una
laurea si ritrova a lavorare nei call center, il problema è che i
giovani non sono abbastanza formati è un”affermazione che rasenta il
demenziale. Si potrebbe anche far notare che tra stage gratuiti, diplomi
interminabili e contratti a progetto il problema non è certo di evitare
di spostare il rapporto tra giovani e il mondo del lavoro “sempre più
avanti” ma piuttosto di avvicinare il rapporto tra “i ragazzi” e un
qualsiasi stipendio dignitoso.
Ma queste incongruenze non sono certo delle grossolane disattenzioni perché nell”espressione “fare formazione” si
cela la formula magica che il progetto renziano riserva ai giovani. È
il ministro della scuola Giannini a chiarire più tardi nel pomeriggio
cosa rappresentano le metaforiche cassette della frutta del ministro
Poletti: nel DDL della “Buona scuola” sono già previsti stage, non
pagati ça va sans dire, durante il periodo estivo.
Diventano chiare le linee di tendenza della crescita nell”era renziana: delle forme di accumulazione
che si baseranno sempre di più su operazioni puramente estrattive, su
gigantesche macchine di lavoro gratuito e sulla devastazione dei
territori. È in questo che l”Expo di Milano, con i suoi 17”000 volontari e le sue cattedrali nel deserto, rappresenta un vero modello per il futuro.
La
questione “culturale ed educativa” che vuole affrontare il ministro
Poletti è quella di scollare attività lavorativa e retribuzione
attraverso l”escamotage di un”eterna formazione che allunga
interminabili quanto inutili curriculum.
È il paradosso solo
apparente di un paese in cui la disoccupazione la fa da padrona ma che
ha fretta di mettere i suoi giovani a lavorare: perché la verità è che
in Italia non manca il lavoro ma la volontà di pagarlo.
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