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Taxisti Vs Uberpop: raccontano una battaglia, non spiegano la guerra

'Quando l''uomo della lobby che ha studiato comunicazione incontra l’uomo che ha ragione ma non ha studiato comunicazione, l’uomo che ha ragione è un uomo morto.'

Taxisti Vs Uberpop: raccontano una battaglia, non spiegano la guerra
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9 Aprile 2015 - 14.59


ATF

di Deanna Pala.


Ai media piace dare risalto alla
contrapposizione tra due fronti della battaglia, un po’ meno capire le
cause della battaglia, quasi per nulla spiegare che quella battaglia è
solo una delle tante manifestazioni di una guerra.


È il caso della contrapposizione taxisti vs conducenti Uberpop.
L’accusa rivolta ai conducenti del servizio Uber è di concorrenza
sleale. Il servizio consisterebbe in teoria in un noleggio di auto con
conducente (come tale obbligato a ritornare al proprio deposito conclusa
la corsa) ma di fatto è quello di un taxi (che può invece rimane a
girare in città) ma con prezzi nettamente inferiori a quelli del taxi.

I conducenti Uberpop non hanno licenze ma una semplice registrazione
nell’archivio Uberpop, usano la loro auto di proprietà e vengono
abilitati dall’azienda a seguito di un colloquio (e un controllo della
fedina penale). 

Niente da obiettare, è una concorrenza piuttosto sleale. 

Eppure intorno alla categoria dei taxisti non si è sviluppato alcun
sentimento di solidarietà da parte dei cittadini. Il cittadino è prima
di tutto consumatore e il servizio Uberpop costa meno del taxi, in più
con un semplice clic sull’app ha il conducente sotto casa. 

D’altronde la
categoria dei taxisti non era quella presa come simbolo della
resistenza al cambiamento delle liberalizzazioni di epoca montiana (ora
renziana)? Quelle liberalizzazioni che avrebbero dovuto far crescere PIL e occupazione? 

La propaganda
fece il suo (dis)onesto lavoro, h24, festivi compresi e con alta
produttività. 

Gli appelli nei giornali al grido “Fate presto!” erano
continui e tutti indirizzati a richiedere con urgenza l’avvio delle
liberalizzazioni indispensabili per liberare l’economia dai lacci e
lacciuoli (poco dopo saremmo entrati in deflazione). 

Dopo toccò ai vigili
di Roma, simbolo delle eccessive tutele a scapito del solito scudo
umano del liberismo: il cittadino/consumatore. 

In quel caso era
impellente una riforma del pubblico impiego mentre quella del mercato
del lavoro  era già iniziata dalle prede più facili: i lavoratori del
settore privato. Anni prima era stato il turno dei dipendenti dei “carrozzoni”
come Alitalia. 

Risultato di tutto questo? 

Minori servizi, minore
occupazione, meno Stato, salari più bassi ma soprattutto un sentimento
che accomuna tutti quelli che lavorano: nessuno sia senta più al sicuro.
 

Se non ti senti più al sicuro sarai disposto ad accettare qualsiasi
condizione di lavoro e di salario
.


In TV un giornalista intervista un conducente Uberpop: ha 64 anni, la
crisi gli ha fatto chiudere il bar, ha venduto il locale e paga a rate
le tasse residue. Non ha la pensione. Gli è rimasta l’auto che, ben
lucidata, è diventata ora il suo mezzo di produzione. Non ha altre
alternative. In studio, invece, il conduttore intervista il taxista del
fronte opposto, il quale frastornato dalle accuse di conservatorismo e
di inefficienza mosse dalla manager Uberpop (quando l’uomo della
lobby che ha studiato comunicazione incontra l’uomo che ha la ragione
dalla sua ma non ha studiato comunicazione, l’uomo che ha ragione è un
uomo morto
) e inconsapevole che sia lui che il conducente Uberpop
sono vittime della lucida e lungimirante strategia dell’austerità.  

Ma
il taxista non sa questo, così come non sa che uno Stato con la sua
moneta e un’adeguata spesa a deficit può, se vuole, far lavorare
dignitosamente tutti senza inutili sofferenze e guerre. 

Il giornalista
accanto a lui racconta la battaglia tra i due fronti ma non la guerra.

 
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