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L’utopia come alibi per non provarci neppure

Dire che le idee sono utopie per ridurne l’eventuale importanza è cosa puerile, propria di chi ha perduto la voglia di cambiare il mondo. Modesta proposta sulle pensioni

L’utopia come alibi per non provarci neppure
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2 Febbraio 2018 - 23.34


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di Paolo Pagliai.

 

L’Utopia è tutto meno che un difetto. E non mi riferisco alle idee campate in aria, ma a quelle la cui realizzazione – malgrado siano buone e giuste – sembra difficile, quasi impossibile.

Malgrado, o forse proprio perché sono buone e giuste.

Allora io vorrei buttare, su questo foglio virtuale, un pugno di idee che mi sembrano urgenti e che, dal mio umilissimo punto di vista, potrebbero cambiare un po’ le cose. Soltanto un po’, ma neanche così poco come qualcuno vorrebbe o potrebbe credere. Le voglio condividere col mio amico Antonio Ingroia con il quale sento un’affinità speciale rispetto alla politica e all’impegno che comporta.

Prima di tutto, la questione scottante e urgente delle pensioni. Sono figlio di un operaio, faccio il professore universitario, dirigo un’università, ho amici imprenditori, alcuni di loro sono molto capaci e, per questo, molto ricchi, altri sono ugualmente ricchi a dispetto delle proprie incapacità.

Tutti guadagniamo cifre diverse, chi molto, chi poco e chi né tanto né poco; alcuni di noi hanno l’opportunità di cambiare il proprio presente e pianificare, con molto anticipo, il futuro proprio e della propria famiglia, altri non possono neanche immaginare come sarà la propria situazione economica tra un paio di mesi.

Va bene, lo sappiamo: viviamo in un sistema così, lo chiamano meritocratico o liberale, ma con il merito e la libertà non ha niente a che vedere. Si dice che lo stipendio vada d’accordo alla responsabilità. Può anche darsi. Così ti spiegano perché un muratore guadagna meno di un ingegnere. Giustificano gli squilibri. “Se la casa crolla, l’ingegnere e quello che paga.”

Il sospetto è che questi discorsi vogliano soltanto nascondere una montagna di privilegi e ingiustizie, ma se lo dici o semplicemente lo paventi, sei visto subito con sospetto. Alla fine lo accetti. La casa, il muratore, l’ingegnere, il crollo, la responsabilità, lo stipendio. Va tutto bene. Accetti tutto senza “se” e senza “ma”.

Ma.

A dire il vero, un “ma” ci sarebbe anche. Quando quell’ingegnere e quel muratore appenderanno gli arnesi a un chiodo, quando avranno settant’anni e si dedicheranno ai nipotini, insegnando loro tutto ciò che quando erano genitori avevano proibito ai propri figli, quando staranno su quella panchina, seduti, al parco, leggendo il giornale e dando da mangiare ai piccioni, quell’ingegnere e quel muratore avranno le stesse responsabilità e varranno – professionalmente e civilmente – esattamente lo stesso.

E allora, perché dovrebbero percepire pensioni diverse? Qualcuno potrebbe rispondere: perché, durante la propria vita lavorativa, hanno versato contributi diversi. Ma mi domando io: se è vero come è vero che quei contributi servivano e servono a mantenere il sistema pensionistico di coloro che erano (e sono) già in pensione, e se per entrambi – fatte le dovute proporzioni – quei contributi hanno rappresentato uno sforzo percentualmente equivalente, perché non dovrebbero – adesso che, di fronte alla società, valgono assolutamente lo stesso – percepire la stessa pensione?

Se l’ingegnere sarà stato bravo e accorto, avrà messo certo da parte molti più soldi di quelli risparmiati dal povero muratore, e – dunque – quello che chiamano “status” sarebbe più che salvaguardato; mentre il muratore, dopo decenni di sacrifici per sé e per la propria famiglia, potrebbe finalmente godersi una vecchiaia tranquilla e piena di soddisfazioni. Dunque, la prima idea per cambiare concretamente il mondo è: tutti coloro che ne abbiano diritto, senza distinzioni, percepiranno la stessa pensione.

Inutile che vi mettiate a fare i conti, adesso, sarebbe assolutamente inutile. Vi basti sapere che, nel nostro Paese, in Italia, la pensione di un operaio che ha lavorato 36 anni può arrivare ai 1.330 Euro al mese, mentre c’è un signore – un manager – che ne prende – sempre al mese – più di 90.000.

Bene, cambiamo registro e mettiamo mano al mondo: da domani, si somma tutto e si divide in parti uguali. Come buoni fratelli…

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