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«Chirac e Kohl aiutarono Eltsin con fondi neri»

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1 Ottobre 2009 - 13.22


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kasyanovdi Giulietto Chiesa – «La Stampa».

 

Stanno per uscire, in Russia, le memorie di un signore che, nella vulgata popolare (e non soltanto) era chiamato “mister 2%” in ricordo della percentuale che, come primo ministro di Russia (maggio 2000-febbraio 2004) , sembra percepisse in occasione di ogni affare di stato.

Per questo vanno prese con le pinze.

Ma anche con questa limitazione cautelativa, promettono sfracelli.

Trattasi di Mikhail Kasianov, tornato recentemente alla ribalta, nel 2006, come potenziale antagonista di Valdimir Putin. Ma sconfitto, insieme a Garry Kasparov prima ancora di avere potuto partecipare a elezioni da cui fu escluso senza complimenti dalle sagaci mosse del Cremlino.

 

I giornalisti russi, immemori del meno recente passato, sono partiti alla caccia di sensazioni, intervistando gli autori (il libro è scritto a quattro mani, insieme a Evghenij Kiseliov, giornalista principe dell”epoca) circa i rapporti tra Kasianov e Putin, che lo promosse premier e poi lo cacciò in malo modo.

 

eltsinbribery

In realtà il libro sembra meritare più attenzione nelle sue pagine che si potrebbero definire “storiche”, tanto appaiono ormai lontane ai russi. Riguardano infatti il 1996, quando Boris Eltsin “doveva” a tutti i costi essere rieletto presidente della Russia, altrimenti – si temeva – sarebbero tornati i comunisti.

 

Il problema era – racconta Kasianov – che Eltsin, nei sondaggi,  “arrivava a stento al 2%”.  Lui stesso, allora – è sempre Kasianov che racconta – “si rivolse personalmente in cerca di aiuto a due leader occidentali”: al presidente Jacques Chirac e al cancelliere Helmut Kohl.

 

Datemi soldi in emergenza, disse, perché se non pago le pensioni e gli stipendi ai militari entro il Primo Maggio, come ho promesso, qui può succedere di tutto. E Kasianov, che allora era vice ministro delle finanze, fu mandato in missione segretissima a Parigi, per contrattare le modalità del “prestito”. Che non si capisce se  fu esattamente tale o se fu proprio un regalo, per “evitare il ritorno dei comunisti in Russia”.

 

Quanto diedero Chirac e Kohl a Boris Eltsin, sottobanco, per fargli vincere le elezioni? Kasianov si scusa con l”intervistatore: “Cerchi di capire, sono passati tredici anni!” Ma poi la memoria gli torna, nonostante gli anni:  “Ci si mise d”accordo per una cifra all”incirca di 3-5 miliardi di dollari”. E ripartiti come, se lo ricorda, signor Kasianov? “A occhio e croce direi che la Germania diede tre miliardi e mezzo e la Francia un miliardo e mezzo”.

 

Quando, se, e da chi, e in che modo, quel debito fu ripagato dalla Russia non viene rivelato, ma sappiamo che furono i francesi e i tedeschi, senza saperlo, non i russi – che lo sanno solo adesso – a mantenere al potere Boris Eltsin.

 

Così il primo presidente democratico della Russia democratica, poté mantenere la promessa di pagare entro il primo maggio, salari e stipendi dei dipendenti pubblici russi che erano rimasti senza un kopeko da diversi mesi. E porre le basi per una rielezione truffaldina che fu poi celebrata da tutti i media occidentali come il segno che la Russia era uscita finalmente dai secoli bui ed entrata nell”Occidente a vele spiegate.

 

Kasianov – che racconta di essere stato a Parigi, in assoluta segretezza, per alcune settimane, senza nemmeno un interprete che lo aiutasse a tradurre i documenti – fu poi premiato personalmente  da un Vladimir Putin che lo aveva avuto in eredità, tutto compreso, dalla famiglia Eltsin, e divenne premier di Russia nel maggio del 2000.

 

Per restarvi fino al 2004, quando i servizi segreti russi consegnarono – pare – a Putin le registrazioni di una sua conversazione con Boris Nemtsov, allora governatore di Nizhnij Novgorod, e potente uomo degli oligarchi, che faceva presagire una manovra per togliere la poltrona da sotto Vladimir Putin per farci sedere sopra, temporaneamente, lo stesso Kasianov.

 

Un complottino dentro un complotto, si direbbe, che Kasianov, con una punta di orgoglio, nemmeno sconfessa. Si limita a dire che, quando Putin lo licenziò, non ne disse i motivi.

 

Ma le sue “giovani memorie” (Kasianov ha soltanto 52 anni) ci hanno comunque restituito un pezzo di storia della Russia contemporanea che noi, quando eravamo corrispondenti per «La Stampa» da Mosca, potemmo soltanto in parte intravvedere. E di questo dovremmo essergli grati.

 

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