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Lampedusa: non siamo preparati allo tsunami

'L''Alternativa c''è - Puntata numero 89. Appuntamento settimanale di approfondimento. Videoeditoriale di Giulietto Chiesa. '

Lampedusa: non siamo preparati allo tsunami
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8 Ottobre 2013 - 01.48


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di Giulietto Chiesa.

Lampedusa è il sintomo di una crisi mondiale. Già questo ci dice che la sua soluzione è più grande di noi, di questo paese, di questa Italia.
Ci dice anche che, fino ad ora, l”Italia è stata al di sotto di ogni decenza nell”affrontarla.

Ci sono due modi di vivere questa tragedia: uno è l”ipocrisia e la mala fede.
Coloro che ci portano al disastro (e molti di noi, anche) si strappano adesso il capelli, piangono, fingono solidarietà con le vittime, gridano vergogna ( ma a chi la gridano, essendo loro i primi responsabili?).

Uno spettacolo indecente davvero.

Il PD, per bocca di Epifani dice che “bisogna abrogare la legge Bossi-Fini”. Adesso? Ma il PD è stato al governo del 2006 al 2008 e non l”ha nemmeno toccata.
Napolitano invoca leggi per i profughi. Proprio lui che ha firmato nel 2009 la legge Maroni sul reato di clandestinità.

E poi, un paese che si fa guidare da gente come Bossi e Fini (cioè che sceglie plebei incolti e rapaci, oltre che incompetenti) cosa infine può aspettarsi se non tragedie?

L”altro modo di affrontare la situazione è quello di guardare in faccia la realtà. L”ondata migratoria è destinata ad aumentare. E” uno tsunami annunciato. Non ci sono dei o provvidenze che potranno fermarlo.
Gli economisti stupidi che sorreggono la baracca con le loro sgangherate ricette, ci ripetono da decenni che bisogna favorire il libero flusso di capitali.

Appunto: i capitali si sono mossi molto liberamente (tra le tasche dei padroni dell”Universo). Ma la conseguenza è che anche gli uomini si muovono: più lentamente, perché sono fatti di materia, non come i bit dei computer, ma si spostano, per vivere, per bere, per mangiare, per sognare perfino.

Dunque arriveranno altre centinaia di barconi, con decine di migliaio di disperati.

E noi avevamo come ministro della Repubblica un demente che pensa e pensa che ci vuole una legge per fermarli.

Pensate a che livello si collocano, lui e il presidente che ha firmato una legge sul reato di clandestinità!

Certo, l”Italia, da sola, non può farcela. ma potrebbe fare subito molte cose importanti. Potrebbe prepararsi allo tsunami.

Organizzativamente in primo luogo, perché non siamo preparati. Bisogna dirlo forte e chiaro.

Prepararsi significa molte cose. Ci vuole un piano d”emergenza e un piano strategico. Ci vuole un centro di comando composto da persone competenti e oneste, che siano messe in grado di rispettare il diritto sacrosanto di asilo, e di non permettere altre tragedie. Cioè bisogna predisporre misure di accoglienza. A questo non c”è alternativa se non vogliamo essere costretti a costruire cimiteri, o a scavare fosse comuni. Cioè ci vogliono mezzi. E persone qualificate.

Per esempio un esercito (sarebbe meglio tornare all”esercito di leva) che, invece di allenarsi a sparare sia messo in grado di svolgere funzioni estese di protezione civile.

E, per il piano strategico, ci vuole una chiara visione dell”azione politica da svolgere in campo internazionale. L”Italia di questi anni balbetta o è assente dalla scena. Non ha voce e, del resto, essendo un paese commissariato dalla Trojka, non si preoccupa di averla. Invece dovrebbe farsi sentire: è l”Europa, con i suoi cosiddetti principi universali che deve rispondere. E, se non lo fa, è l”Italia che deve prendere l”iniziativa e imporre una risposta collettiva. Molto di più che un “corridoio umanitario” di emergenza. Non basterebbe comunque. Ci vuole una politica!

E ci vuole il coraggio necessario per dire – e dirsi – come stanno le cose.
Siamo noi ricchi – e privilegiati – parte del problema. Lo abbiamo creato anche noi. E dunque dobbiamo mettere mano al portafogli. Non regalando motovedette alla Libia, perché fermi e ricacci indietro i disperati, ma cambiando la politica degli aiuti al cosiddetto terzo mondo. Non mandando truppe in Afghanistan e in Iraq, cioè cambiando la nostra politica estera: fuori dalla NATO, perché non abbiamo nemici; fuori dalla guerra. Questo è l”unico modo per contribuire alla soluzione del problema

Per questo ci vuole un”altra classe politica e un altro governo, italiano ed europeo.

E buona fortuna a tutti.

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