Da Gaza, sette mesi dopo - Intervista a Vittorio Arrigoni | Megachip
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Da Gaza, sette mesi dopo - Intervista a Vittorio Arrigoni

Da Gaza, sette mesi dopo - Intervista a Vittorio Arrigoni
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18 Aprile 2011 - 09.55


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handalaarrigonida cometa-online.it.

Vi proponiamo in esclusiva l”intervista di Roberto Morrione a Vittorio Arrigoni pubblicata nel novembre 2009 sul secondo numero di Cometa in cui Vittorio racconta le condizioni della popolazione civile a Gaza e fornisce una lettura politica della vicenda israelo-palestinese.

A cinque mesi dalla fine dell”occupazione militare israeliana, qual è oggi la reale situazione in cui vive la popolazione civile a Gaza?

A mesi di distanza dalla fine dell”offensiva israeliana denominata “Piombo Fuso”, la Striscia di Gaza appare ancora stuprata, come l”epicentro di un violento terremoto appena scatenatosi. Nulla è mutato dal 18 gennaio, data ultima dei bombardamenti, le ferite aperte sono ben visibili tutt”oggi: la Striscia continua in buona parte a essere ridotta ad una selva di macerie. I tanto ventilati progetti di ricostruzione rimangono tali, sulla carta. Non si è fatto altro che distribuire qualche manciata di dollari per ammucchiare le macerie da un angolo all”altro. Il perdurante blocco dei confini terrestri, marittimi e aerei attuato da Tel Aviv ha impedito che molti aiuti potessero raggiungere Gaza: secondo un rapporto dell”Ufficio dell”Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha), il bando sull”importazione di materiali di costruzione, su pezzi di ricambio per i macchinari e sulle transazioni finanziarie non ha consentito i lavori di ricostruzione per quasi nessuno dei progetti pianificati.
Durante l”ultimo massacro 21 000 edifici civili sono stati distrutti o danneggiati dai bombardamenti, 57 centri medici, 51 edifici e 59 scuole Onu, 1.500 fabbriche e negozi, 20 reti idrico/fognarie e impianti elettrici, per un danno totale complessivo pari a circa 1,9 miliardi di dollari. 100 mila palestinesi si sono ritrovati da un giorno all”altro senzatetto e molti sono costretti a vivere in tendopoli a Zaitoun come ad Abed Rabbo. Visitando questi luoghi spettrali spogliati di edifici dalle furia delle bombe, si assiste ad una scena di assoluta drammaticità che riporta alla mente la Nakba, la catastrofe palestinese del ”48, quando in seguito alla pulizia etnica operata da Israele, centinaia di migliaia di palestinesi furono cacciati dalle loro terre e dovettero ricominciare una nuova vita in tende disposte in campi profughi. Senza speranza allora di riavere indietro la propria abitazione, senza speranza nemmeno oggi.Vige ancora il divieto di importare cemento e altri materiali edili per ricostruire le case. Neppure i tubi e i pezzi di ricambio per il ripristino della rete idrica e fognaria ottengono il lasciapassare israeliano, costringendo oltre 250.000 persone a vivere senza acqua corrente, mentre più del 40% della popolazione è priva di energia elettrica per via del blocco di cavi elettrici.
Israele dice di bloccare il cemento perché i palestinesi ci costruirebbero i tunnel a Rafah. I tunnel che rappresentano l”unica valvola di sfogo per procurarsi viveri e beni primari per la popolazione imprigionata da più di due anni nella morsa dell”assedio. Tel Aviv impedisce l”arrivo del ferro perché i gruppi armati ci forgerebbero i famigerati “razzi” artigianali Qassam. Israele impedisce perfino l”arrivo del vetro e non so perché, quale scusa accampi. Fatto sta che visitando i principali ospedali lungo la Striscia, posizionandosi dinnanzi alle facciate degli edifici, si vedono sulle finestre sventrate dalle esplosioni, ancora stesi, dei teli di nylon.

Gli israeliani nel corso del conflitto hanno usato armi non convenzionali e proibite. Molti organismi internazionali hanno chiamato questo, crimine di guerra. Oggi è più chiaro il bilancio di tutto questo in termini di vite umane e di sofferenze e lei ritiene che vi siano possibilità di portarne prove e testimonianze davanti alla giustizia internazionale?

Dal 1948 sino oggi, Israele ha ignorato radicalmente il diritto internazionale e ha esercitato la sua sovranità in modo assolutamente arbitrario, tanto da arrivare a trasgredire ben 74 risoluzioni Onu (da maggio 1951 ad agosto 2004) senza che nessuna sanzione gli fosse mai inflitta.
È bene ricordare il sostegno all”illegalità israeliana degli Stati Uniti, che in sede di Consiglio di Sicurezza hanno coperto i crimini israeliani in decine di votazioni con il loro diritto di veto, di fatto smantellando l”Onu nella sua funzione di custode della pace e della sicurezza a livello internazionale.
Contando anche su un”ampia complicità di stati europei, Israele può tranquillamente ignorare il diritto internazionale perché è, come gli Stati Uniti, legibus soluta, al di sopra della legge.
Nel 2002 Ariel Sharon rischiò di subire un processo all”Aja presso il Tribunale per i Crimini di Guerra, per i fatti del 1982, quando i campi profughi di Sabra e Shatila si fecero teatro di un feroce massacro, migliaia di civili palestinesi furono fatti a pezzi dalle truppe falangiste libanesi spalleggiate dall”esercito israeliano che allora era sotto il comando di Sharon.
Tuttavia quel processo per crimini di guerra non ebbe mai luogo, a causa della morte del principale accusatore di Sharon, Elie Hobeika.
Hobeika, responsabile diretto di quella carneficina, aveva annunciato di voler fare piena luce sui fatti, prima di esplodere su un”autobomba giusto pochi giorni prima del processo. Eliminato l”incauto testimone, tutte le accuse a Sharon caddero.
Oggi un gruppo di avvocati rappresentanti di alcuni cittadini norvegesi di origine palestinese hanno depositato una denuncia per “crimini di guerra”e “attacco terroristico su vasta scala” ai danni dell”ex-primo ministro israeliano Ehud Olmert, l”ex-ministro degli Esteri Tzipi Livni, l”ex-ministro della Difesa Ehud Barak e sette ufficiali dell”esercito israeliano, per le loro responsabilità nell”operazione “Piombo fuso” contro la Striscia di Gaza.
Beh, visti i precedenti consiglierei loro di girare per le strade di Oslo a bordo di un carro armato…

Dopo quei 22 giorni di guerra, cosa ha riscontrato nel profondo dell”anima e dei comportamenti della popolazione civile e in particolare dei bambini?

C”è molto sconforto nel constatare che più passa il tempo più la situazione si aggrava, le famiglie si impoveriscono e l”unica certezza per il domani è che l”illegale assedio israeliano non attenuerà la sua morsa mortale che sta soffocando una popolazione di un milione e mezzo di persone.
I bambini sono le vittime dell”assedio, così come erano i principali obbiettivi durante i 22 giorni di bombardamenti isrealiani: 430 di loro sono stati uccisi e 1.855 sono rimasti feriti. A queste vittime innocenti e incoscienti ho deciso di devolvere i proventi del mio libro “Gaza Restiamo Umani”.
A Gaza, dove si registra la più alta densità di minorenni, elevatissimi sono i tassi di malnutrizione (un bambino su 10 è affetto da deperimento) e anemia (uno su 2 è affetto da anemia, 1 su 3 da ritardi nella crescita e il 75% soffre di carenze di vitamina A). La maggioranza dei bambini muore nel primo mese di vita per la mancanza di medicinali, attrezzature e assistenza appropriata.
Quest”anno Israele ha addirittura vietato l”ingresso nella Striscia dei libri di testo per le scuole elementari.

Qual è oggi la reale rappresentatività popolare di Hamas: questo movimento è uscito indebolito o più forte dallo scontro armato con Israele?

Non ritengo che Hamas sia stato indebolito dopo l”offensiva contro i civili di Gaza. Semmai è stata lodata da più parti per la sua capacità organizzativa, nel mantenere l”ordine in una situazione di assoluta emergenza al limite dell”anarchia negli ospedali e per le strade, dove si assisteva a veri e propri assalti ai forni di folle disperate in cerca di un tozzo di pane.
Semmai Hamas perde consensi oggi, con la sua dissennata campagna di limitazione delle libertà individuali in favore di una progressiva “islamizzazione” dei costumi all”interno dellaStriscia.
Un provvedimento emanato dal giudice della Corte Suprema Abdel Rauf al-Halabi, ha infatti imposto il velo alle avvocatesse in udienza e all”apertura delle scuole molte studentesse sono state respinte all”ingresso dei licei perché indossavano jeans o non avevano il capo coperto con l”hijab.
Hamas ha dichirato che queste nuove direttive non sono emanazioni dirette del suo esecutivo, ma è chiaro il colore politico della Corte Suprema e di quei presidi integralisti.

C”è ancora una possibilità di dialogo o di alleanza fra Hamas e il governo di Abu Mazen e su quali basi?

La possibilità c”è e sta tutta nella mani dei leader della due fazioni, che si facciano più lungimiranti e la facciano finita di arroccarsi sulle proprie divergenti posizioni. Che diano ascolto a ciò che la stragrande maggioranza dei palestinesi chiede, vale a dire unità nazionale.
Purtroppo non si vede un Mandela palestinese.

Come vede il ruolo della nuova amministrazione americana e in particolare del presidente Obama in una prospettiva di dialogo e di pace?

Male. Faccio qualche esempio.
Obama lo ricordiamo a gennaio, mentre le bombe israeliane dilaniavano i civili, si mostrava al mondo sorridente e beato giocare a golf alle Hawaii con famigiola appresso. O ancora prima, in campagna elettorale quando definì Gerusalemme come “capitale inscindibile dello stato ebraico”. Una affermazione doppiamente illegale, perché secondo le leggi internazionali Gerusalemme deve essere capitale di due stati, e Israele non è uno stato ebraico.
Bush durante la sua presidenza era riuscito in maniera minimale a limitare l”espansione delle colonie israeliane sul territorio palestinese, ventilando la minaccia di un ridimensionamento degli aiuti economici donati a Israele.
A Netanyahu Obama ha assicurato sanzioni solo simboliche contro la sue mire coloniali.
Soprattutto, mentre il lodevole lavorio di Luisa Morgantini da vice presidente del Parlamento ha consentito di portare a Gaza decine di europarlamentari, compresi esponenti delle Lega Nord, la destra più becera e populista d”Europa, né Obama né Mitchell, si sono degnati di farci visita.
Come si può cambiare una situazione se neanche la si vuole conoscere direttamente?

E qual è il ruolo specifico dell”Europa?

Qui a Gaza gira il ritornello “Israele distrugge, l”Europa paga”. Va così da decenni. Sono un bene gli aiuti che arrivano tramite la cooperazione internazionale finanziata dalla comunità europea, ma qui non siamo vittime di un terremoto o di uno tsunami.
La catastrofe è innaturale e si chiama occupazione israeliana. Si risolve politicamente e non con gli aiuti umanitari. Penso che i tempi siano maturi perché il boicottaggio di Israele coinvolga il mondo politico.

Il governo israeliano è andato decisamente ancora più a destra, ma c”è pur sempre in Israele un”opposizione democratica e anche una sinistra pacifista. Si avverte a Gaza qualche dialettica in questo senso e ci sono collegamenti con i movimenti pacifisti d”Israele?

Quando parla di opposizione intende gli Unit Arab List o i comunisti del Hadas entrambi con quattro miseri seggi alla Knesset?
Governo e opposizione si alternano senza che nulla muti in meglio per la popolazione palestinese. Emblematica è la posizione dei laburisti: al governo precedentemente con Tzipi Lvni e oggi ancora insediati al governo con Benjamin Netanyahy e la sua ammucchiata di ultra-nazionalisti, razzisti e fascisti. I governi vanno e vengono, ma il laburista Ehud Barak rimane Ministro della difesa a vita, sia esso il governo di destra o di sinistra, fascista o comunista, laico o teocratico.
Lo stato palestinese? Mai. Più che di democrazia, in Israele si dovrebbe parlare di “etnocrazia”, così come definisce il suo stato il parlamentare israeliano Ahmed Tibi.
Dal momento che Israele si definisce uno stato ebraico, gli ebrei godono di diritti speciali di cui non godono i non-ebrei. In uno stato che si definisce ebraico non c”è posto per i palestinesi, i cosiddetti arabi-israeliani, che sono circa un quinto della popolazione e subiscono numerose discriminazioni sancite per legge (basti pensare che la proprietà palestinese non è riconosciuta come proprietà privata e può essere confiscata). Dunque, si può parlare di vera e propria apartheid, come ha rimarcato recentemente Desmond Tutu.
Israele va costruendo strade ”solo ebraiche”, ampie, scorrevoli, ben illuminate. Se un palestinese viene fermato mentre le percorre viene multato e si vede confiscata l”auto. La giornalista israeliana Shulamit Aloni è stata testimone di uno di queste confische.
Purtroppo, essendo Gaza assediata, pacifisti e attivisti israeliani non hanno l”autorizzazione per venire a trovarci. Il loro apporto è prezioso, sebbene siano mosche bianche.

Personalmente è irrimediabilmente deluso e pessimista sul futuro del popolo palestinese o ha ancora una speranza?

La speranza sta tutta nella grande umiltà e dignità con cui questo popolo affronta da più di sessant”anni il peso della sua sofferenza.
Senza capitolare e consegnare all”oppressore la propria resa. Per me vivere a Gaza è una quotidiana lezione di vita.

Quando e come potrà uscire da Gaza, magari per fare ritorno alla sua famiglia in Italia?

La via ideale per ritornare in Italia sarebbe la stessa da cui sono venuto: via mare. Purtroppo le ultime imbarcazioni del Free Gaza Movement sono state soggette ad attacchi di pirateria dalla marina israeliana, e non sono sbarcate al porto di Gaza city. Dovrò quindi provare a uscire come un palestinese qualsiasi, mettendomi pazientemente in fila a Rafa, sperando che il valico di questa immensa prigione si apra brevemente permettendomi l”evasione.

 

Fonte: www.cometa-online.it.

 

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