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Manning una donna? Motivo in più per firmare

'Manning ha commesso l''imperdonabile crimine di aver passato delle informazioni segrete al vero nemico N.1 del governo americano: il popolo americano.'

Manning una donna? Motivo in più per firmare
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26 Agosto 2013 - 15.16


ATF

di Patrick Boylan.

Il
21 agosto scorso, Bradley Manning, la talpa che ha rivelato
all”opinione pubblica statunitense e mondiale le atrocità commesse dalle
forze armate USA in Iraq e in Afghanistan, è stato condannato a 35 anni
di prigione. La Procura ne aveva chiesto 60 – anzi, in un primo momento
aveva formulato un capo d”accusa (Alto Tradimento) punibile con la pena
di morte o comunque l”ergastolo.


Dunque,
se tra qualche anno verrà concessa la buona condotta, Manning potrebbe
scontare solo un quinto della pena ed uscire dalla prigione nel 2021,
all”età di 34 anni, per poter iniziare una nuova vita. Nuova in tutti i
sensi: infatti, il giorno dopo la sentenza, Manning ha annunciato che da
tempo si sente donna, prenderà ormoni per cambiare sesso non appena
sarà libera, ma chiede sin da ora di essere chiamata Chelsea e che si
usino i pronomi femminili per designarla. E” ciò che farà questo
articolo d”ora in poi, seguendo l”esempio della voce “Bradley Manning”
in Wikipedia, cambiata il 23 agosto in “Chelsea Manning.” (Molti lettori
hanno protestato e la voce forse sarà ricambiata in futuro: in tal
caso, per vedere la pagina com”era dal 23 al 25 agosto, cliccare sulla
copia d”archivio o sulla sua traduzione italiana, la quale però, essendo automatica, rispetta poche volte le concordanze al femminile dell”originale.)


Sul
piano strettamente processuale, dunque, cӏ stata, da un lato, una
netta vittoria a favore della Manning, se si tiene conto dell”entità
della pena richiesta dalla Procura.


Dall”altro,
cӏ stata una plateale ingiustizia nei suoi confronti: 35 anni sono due
volte la pena più alta inflitta in passato per questo tipo di reato. E
tre volte la pena inflitta nel 1987 al marine dell”ambasciata USA a
Vienna, il quale passò ai Sovietici – cioè, ai nemici acerrimi degli
Stati Uniti d”allora – i nomi di tutti gli agenti CIA in Austria e le
planimetrie dell”ambasciata. Perché Chelsea Manning è stata punita assai
più severamente di quel marine? Perché – come ha spiegato il comico
americano
Stephen Colbert
– Manning ha commesso l”imperdonabile crimine di aver passato delle
informazioni segrete al vero nemico no. 1 del governo americano: il
popolo americano (nonché l”opinione pubblica mondiale).


Due
giorni dopo la sentenza, Amnesty International e l”associazione che
sostiene Manning hanno lanciato una petizione per chiedere un perdono
presidenziale, collocandola… sul sito della Casa Bianca. Il Presidente
Obama, infatti, ha da tempo aperto una pagina sul suo sito ufficiale
per consentire al pubblico di creare petizioni da sottoporre alla sua
attenzione. Peacelink invita i propri lettori, dunque, ad andare subito
sul sito di Obama (è in inglese) e a firmare la petizione per un
perdono presidenziale.


Ora, a questo punto si pongono due interrogativi.


Il
primo: visto l”intento del governo statunitense di fare del caso
Manning “un esempio” tale da scoraggiare qualsiasi militare o
funzionario USA dal fare rivelazioni in futuro, come mai il tribunale
militare ha evitato di infliggere i 60 anni di prigione richiesti dalla
Procura e ha rigettato d”ufficio le pene più severe richieste
inizialmente? In fondo, per inchiodare la Manning, il governo ha
imbastito il più grande processo, per fuga di notizie, di tutti i tempi;
in barba alla Costituzione, ha detenuto la soldatessa, senza udienza di
convalida, per oltre 1000 giorni così da poter preparare il processo
nei minimi dettagli (e forse anche per logorare l”imputata); ha
inventato persino un reato che non esisteva nel codice penale militare:
“Divulgazione indiscriminata” (Wanton Publication). E” possibile tutto questo gran da fare per soli 8 anni di prigionia (se verrà concessa la buona condotta)?


Il
secondo interrogativo: l”annuncio della Manning del suo cambio di
genere non rischia di far venir meno il sostegno popolare di cui ha
goduto finora? Non avrebbe dovuto stare zitta per un po”, così da non
danneggiare la petizione per il suo perdono, visto che lei non potrà
iniziare il trattamento ormonale prima di uscire dalla prigione?


La
risposta più probabile al primo interrogativo – perché non è stata
inflitta la pena massima? – si chiama Edward Snowden. Cioè, è stato
Snowden, con ogni probabilità, l”imprevisto che, lo scorso giugno, ha
fatto deragliare i piani punitivi della Procura. Come si sa, infatti, la
talpa della NSA (Ente statunitense di spionaggio digitale) braccato
dalla CIA in tutto il mondo, è scappato in Russia dove vive tuttora con
un permesso di asilo temporaneo. Se la Russia ha potuto rifiutare di
riconsegnare Snowden agli Stati Uniti, è perché, in base ad una
normativa internazionale, egli non poteva essere riconsegnato ad un
paese dove, per reati simili, si rischia la pena di morte o comunque una
prigionia draconiana – e il processo Manning, almeno all”inizio,
sembrava dimostrare che gli Stati Uniti rientravano in quella categoria.
Ora, con la sentenza a sorpresa del 21 agosto, è venuta meno questa
scusa; la pena inflitta alla Manning – 8 anni con la buona condotta – è
ingiustamente severa ma non draconiana. Questo fatto consentirà agli
Stati Uniti, tra un anno, di tornare all”attacco e di richiedere
l”estradizione di Snowden al termine del suo asilo temporaneo. Poi nulla
vieta agli USA, una volta acciuffato Snowden, di rifiutare la buona
condotta alla Manning allo scadere dell”ottavo anno e di tenerla in
prigione per vendetta fino all”età di 61 anni.


Come si vede, Washington sta giocando una partita a scacchi su più tavoli.


Proprio
per questo motivo bisogna cogliere il momento favorevole – ora che gli
USA vogliono apparire non vendicativi – e chiedere subito il
perdono presidenziale. Obama potrebbe al limite rinunciare alla Manning pur di avere Snowden, il vero pericolo per i piani egemonici statunitensi.


Ora
il secondo interrogativo: verrà meno il sostegno popolare alla Manning
dopo il suo annuncio di cambio di genere? Non sarebbe stato più furbo da
parte sua tacere e non dichiararsi?


Il
tempo ce lo dirà. Ci saranno sicuramente molti sostenitori che
seguiranno l”esempio della psichiatra londinese Silvia Swinden, la quale
si è schierata il giorno stesso con un cartello che recita: “
Io sono Chelsea Manning”. Anche le CodePink
negli Stati Uniti si sono schierate subito con la Manning. Ma quanti
altri sostenitori, che in passato si facevano fotografare col cartello
“Io sono Bradley Manning”, vorranno ora alzare il cartello della Swinden
e dire di essere Chelsea?


Eppure,
ha argomentato la Swinden nel suo articolo su Pressenza, è un segno di
maturità saper accettare che i propri eroi siano anche degli esseri
umani e possono avere comportamenti che richiedono la nostra
comprensione. Manning ci chiede di superare gli steccati sessuali posti
dalla nostra società e di capire i suoi bisogni. Gandhi ha colpito la
moglie per aver rifiutato di pulire il WC (per lei un lavoro da
intoccabile), pur chiedendoci di credere nella sua dedizione alla
nonviolenza. Bertrand Russel, donnaiolo, chiedeva comprensione per un
comportamento in stridente contrasto con la sua sincera opposizione ad
ogni sfruttamento. Rita Atria, la diciassettenne siciliana che osò
denunciare la mafia locale a Paolo Borsellino e che disse a tutti di
“non arrendersi mai”, alla morte di questo si suicidò. Queste figure
sono meno eroiche per via delle loro contraddizioni? O semplicemente più
umane?  


Volere
che i propri eroi siano incensurabili sotto qualsiasi profilo,
liquidandoli poi come falsi al primo sgarro, è forse solo una scusa per
non riconoscere l”esistenza di persone migliori di noi, che potrebbero
comunque servirci da modello, pur con i loro difetti o il loro
anticonformismo.


La
scelta di Chelsea Manning di dar voce alla sessualità che sente dentro
di lei, in barba alle convenzioni e anche ai ragionamenti
opportunistici, è dunque un atto di coraggio che va rispettato, anche
ammirato, che non intacca minimamente il valore del gesto che compì
quattro anni fa, pubblicando i dossier sull”Iraq e sull”Afghanistan.
Semmai costituisce una ragione in più per firmare la petizione a favore
del perdono di Obama.


Infatti,
ci sono ben tre motivi per voler firmare la petizione: 1. il motivo
etico, 2. il motivo interessato, 3. il motivo politico-istituzionale.  



1. Il motivo etico


Chiunque
abbia letto le dichiarazioni della Manning al suo processo, è rimasto
colpito dall”onestà rigorosa di questa giovane – l”onestà che, nel 2009,
l”ha spinta a denunciare le atrocità commesse dalle forze armate
statunitensi prima ai suoi superiori e poi, ignorata, al New York Times e
al Washington Post e, solamente dopo il rifiuto di questi giornali, al
sito Wikileaks di Julian Assange. Anzi, è stata un”ulteriore prova
della sua rettitudine morale, aver ammesso, al suo processo, di non aver
provato tutti i canali (ad esempio, non aveva interpellato la
Commissione Forze Armate del parlamento) prima di andare su Wikileaks e
quindi di essere stata effettivamente sleale con l”istituzione per la
quale lavorava. Dare ragione al proprio avversario nella misura in cui
egli possa averla, non è di tutti – e la dichiarazione di Manning va
letta come indice della sua integrità, non come abiura e solo in
sottordine come rito per ottenere una riduzione della pena.


Il
candore di questa soldatessa ha lasciato a bocca aperta persino il
Procuratore Capo che più volte durante il processo, ascoltando la
Manning, ha abbozzato un sorriso e uno sguardo di ammirazione, subito
nascosti dietro le sue carte.


Il
21 agosto, quando Manning è uscita dall”udienza che le ha inflitto fino
a 35 anni di carcere, ha trovato fuori dall”aula i suoi sostenitori,
chi furibondo, chi in lacrime. Lei no. “Era serena, sorridente,” ha
raccontato poi il suo avvocato; “Anzi, è stata lei a tirare su i suoi
sostenitori dicendo ”Va bene così, non vi buttate giù, avete fatto il
possibile, niente lacrime, un sorriso per favore, questo è solo uno
stadio della mia vita che prepara ad altri, vedrete.””


Eppure
al processo, facendo la sua dichiarazione spontanea di ammissione delle
proprie colpe, la voce le tremava. Chiedeva scusa perché era corretto
chiederla, viste alcune (comprensibili) sue manchevolezze. Ma
sicuramente le bruciava pronunciare quelle parole, mentre le passavano
davanti agli occhi le facce beffarde dei soldati assassini da lei
denunciati e mai incriminati; le facce beffarde dei suoi superiori, mai
processati per omissioni di atti di ufficio nell”ignorare quei crimini
di guerra; le facce beffarde dei vari Bush-Cheney-Rumsfeldt che hanno
venduto la guerra in Iraq, mentendo spudoratamente, e che hanno
sacrificato migliaia di soldati americani e milioni di iracheni per
cercare di impossessarsi illegalmente del petrolio di quel paese,
ricorrendo, nel tentativo, persino alle armi chimiche, usate per
sterminare intere città come Fallujah. Oggi questi criminali di guerra
vivono liberi e protetti e, anzi, incrementano le loro già vaste fortune
vendendo libri che vantano le loro imprese belliche.


Ammettere i propri torti (minori) davanti a tanta protervia delittuosa doveva richiedere sforzi immani.  Eppure
Chelsea ce l”ha fatta – e senza rinnegare la sostanza delle denunce che
fece quattro anni fa. L”ha fatto perché era la cosa giusta: lo stesso
motivo che la spinse ad agire nel 2009 e che l”ha spinta a dichiarare
oggi la sua sessualità. Seguiamo, dunque il suo esempio.  Firmiamo la
petizione per il suo
perdono presidenziale perché è la cosa giusta.



2. Il motivo interessato


Ma
c”è un altro motivo, più egoista, per firmarla: se noi non difendiamo
chi ci difende a proprie spese, finiremo col non avere più chi ci
difende. Scoraggeremo dal fare gesti eroici in futuro le persone che
potrebbero un domani essere i vari Manning, Assange, Snowden.


E
scoraggeremo non solo questi paladini delle grandi cause: se non
sosteniamo chi si arrischia per noi, non avremo neppure chi ci difende
nella vita quotidiana. Un esempio: a Ferragosto un
pilota di Ryanair
è stato licenziato perché ha fatto la talpa, denunciando sui giornali i
risparmi sulla sicurezza della Ryanair da lui giudicati pericolosi. I
suoi superiori non hanno voluto ascoltarlo e quindi si era rivolto ad un
tg britannico. Anche questo pilota – un Chelsea Manning dell”aviazione –
merita il nostro sostegno. Perché se lasciamo indifesi chi fa denunce,
mandiamo il messaggio ai piloti di tutte le linee aeree che è meglio
stare zitti quando le loro aziende attuano risparmi pericolosi. Mandiamo
il messaggio che conviene stare zitti anche a tutti i ferrovieri, che
spesso notano, anche loro, scelte aziendali pericolose per i
passeggeri… e la lista non finisce qui. Una società in cui tutti
guardano da un”altra parte sarà senz”altro una società più tranquilla,
ma non più sicura. Anzi.



3. Il motivo politico-istituzionale


Infine,
Manning va sostenuta anche per un motivo politico-istituzionale. La
sentenza va contestata perché va contestato l”uso politico che si è
fatto della Giustizia. Infatti, nel chiedere al tribunale di emettere
una sentenza severa, non in base alle leggi soltanto, ma “per dare un
esempio” a chi potrebbe voler fare denunce in futuro, la Procura ha
cercato di trasformare il tribunale in uno strumento di repressione
politica. Questo uso della Giustizia va fermato.


Per
convincersi della dilagante politicizzazione della Giustizia negli
Stati Uniti, almeno in certi settori, basta esaminare le decisioni dei
tribunali sulle questioni che riguardano la guerra in Iraq: i
condizionamenti politici saltano agli occhi.  L”ultima in ordine di
tempo è l”incredibile vicenda degli iracheni torturati nella prigione di
Abu Ghraib. Hanno intentato una causa di risarcimento danni contro
l”agenzia americana che ha fornito gli aguzzini all”esercito USA. Lo
scorso giugno il tribunale della Virginia (sede competente perché sede
dell”agenzia) ha
rigettato la loro causa
dicendo che l”agenzia godeva dell”immunità per via di una recente
decisione della Corte Suprema e, comunque, aveva agito fuori dagli USA e
quindi non era perseguibile.


Ma
la storia non finisce qui. Ora l”agenzia responsabile delle torture, la
CACI International, sta facendo causa, a sua volta, contro le vittime
delle torture che hanno osato trascinarla davanti al tribunale.  Sta
chiedendo loro il risarcimento totale delle spese processuali che
l”agenzia ha dovuto affrontare – $15,500, cifra astronomica per gente
che guadagna una media di $42 al mese. (Vedi il reportage RT in
inglese o la traduzione approssimativa Google in italiano.)
 Se la CACI International otterrà il risarcimento che pretende, le
vittime delle sue torture saranno straziate una seconda volta e gettate
sul lastrico. Contro questa infamia, un sito di attivisti americani sta
lanciando una petizione chiedendo all”agenzia di ritirare la causa, a
pena di subire una campagna pubblicitaria negativa (che potrebbe
risultare dannosa per i suoi futuri contratti governativi). Perciò chi
firma la petizione per Chelsea Manning potrebbe anche voler firmare
questa petizione.


Due petizioni, dunque, per una giustizia equa, indipendente dai condizionamenti politici.



Note: Petizione di perdono presidenziale per Manning: http://wh.gov/lgG58


Petizione per i torturati di Abu Ghraib: http://action.sumofus.org/a/caci-abu-ghraib/2/4/?akid=2078.1128344.kMZGQP&rd=1&sub=fwd&t=2

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