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Zeidan e gli altri bugiardi di guerra dimenticati

'Pochi ricordano il 2011 di Ali Zeidan - il primo ministro libico recente «vittima» d''un sequestro lampo - poco prima della guerra NATO. Rinfreschiamo la memoria ai media'

Zeidan e gli altri bugiardi di guerra dimenticati
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14 Ottobre 2013 - 16.58


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di Marinella Correggia.

Pochi
sanno cosa fece nel 2011 Ali Zeidan, il primo ministro libico «vittima»
di un sequestro lampo nei giorni scorsi. 

I media e i loro giornalisti,
ma anche le Organizzazioni non governative e le commissioni Onu, adesso
riconoscono che la Libia ̬ allo sfascio e tutto Рanche il prezioso
petrolio –  Ã¨ in mano a bande armate e islamisti. Ma non rievocano il
periodo che precedette la guerra Nato
, conclusasi due anni fa dopo sette
mesi di bombe
.

Come
mai la memoria è occultata? Perché tutti questi soggetti dovrebbero
ammettere di aver detto o comunque diffuso le menzogne che, per mezzo
della guerra Nato, sono la causa del caos violento di oggi.



 

Scrivono
e dicono i media che il premier è stato sequestrato da «uno dei tanti
gruppi che esercitano il potere nel paese, diviso fra sfere di influenza
di diverse formazioni di ex ribelli e da rivalità per il controllo del
monopolio della forza fra ministero dell”Interno e quello della Difesa».
E spiegano il sequestro come una ritorsione – istigata da siti
estremisti – per la cattura a Tripoli, compiuta dalle forze
statunitensi, del sospetto affiliato di al Qaeda Abu Anas al Liby
considerato fra gli ideatori degli attacchi ad ambasciate Usa nel
lontano 1998.



 



Zeidan e i suoi «seimila morti» finti che han sfasciato un paese



Il primo ministro Ali Zeidan è tuttora indicato dai media come  Â«oppositore storico» di Gheddafi, «esule per trent”anni».



Ma
diciamo qualcosa in più. Il 3 marzo 2011, Ali Zeidan si camuffa da Ong
per i diritti umani e spara urbi et orbi una menzogna circostanziata la
quale perfeziona le precedenti invenzioni dei «ribelli rivoluzionari
libici» riecheggiate da tutti i media. Dà così una bella mano alle scuse
della Nato per la guerra in nome della «responsabilità di proteggere».
Quel giorno dunque Zeidan, come ricorda Michel Collon nel libro Libye, Otan et mediamensonges (2011)
parla da Parigi come portavoce della Lega libica per i diritti umani e
denuncia: in due settimane dall”inizio della «rivoluzione» il 17
febbraio, la «repressione di Gheddafi» ha fatto seimila vittime. Tremila
a Tripoli, duemila a Bengasi, mille altrove. E” tutto falso. E Zeidan,
che diventa subito dopo portavoce del Cnt (Consiglio nazionale di
transizione) di Bengasi, l”organismo di reggenza creato dagli oppositori
armati al governo libico, lo sa.



 

Pare
sia stata fondamentale l”influenza dell”attuale primo ministro libico
sul governo francese nel 2011: Sarkò va alla guerra anche grazie a lui.
Che poche settimane dopo, il 23 marzo, la guerra Nato avviata da tre
giorni, dice: «Nei futuri accordi petroliferi ci ricorderemo di chi ci
ha aiutati»
. Evviva la sincerità. Se vogliamo individuare una tripletta
di responsabili libici principali dell”attuale tragedia del paese
nordafricano, a Zeidan possiamo aggiungere tal Syed Sanouka e tal
Suleiman Bouchuiguir
.



 

Ecco
Sanouka. Febbraio 2011, a pochissimi giorni dall”inizio della rivolta,
questo oppositore, fingendosi membro della Corte penale internazionale
(Cpi), lancia alla satellitare saudita Al Arabiya la famosa
cifra: «Gheddafi ha ucciso diecimila persone». Il relativo twitter della
tivù fa il giro del mondo. Il giorno dopo la Cpi smentisce di aver
minimamente a che fare con il Sanouka, ma i media non lo dicono
.



 

Ed
ecco Suleiman Bouchuiguir. Il 21 febbraio, settanta «organizzazioni non
governative» indirizzano ai disponibilissimi segretario Onu Ban ki
Moon
, presidente Usa Obama e ministra europea degli Esteri Ashton
l”unica petizione ascoltata – chissà perché – nella storia delle
relazioni internazionali (http://www.unwatch.org/site/apps/nlnet/content2.aspx?c=bdKKISNqEmG&b=1330815&ct=9135143).
Il tutto è promosso da Suleiman Bouchuiguir della Lega libica per i
diritti umani, dall”organizzazione Usa UN Watch e dal National Endowment
for Democracy (Ned), che non sono affatto Ong. Senza produrre uno
straccio di prova, la petizione sostiene che il governo libico stia
commettendo «crimini contro la vita» (citando la Dichiarazione
universale dei diritti umani) e «crimini contro l”umanità» (come
definiti dalla Corte penale internazionale); chiede un”azione
internazionale contro la Libia, «usando tutte le misure possibili» sulla
base della cosiddetta «responsabilità di proteggere», una formula
inventata dall”Onu anni prima. La lettera è commovente: senza alcuna
prova, parla di elicotteri e cecchini contro i manifestanti, artiglieria
e killer che sparano, donne e bambini che per salvarsi si gettano dai
ponti. Suleiman Bouchuiguir ottiene di far espellere la Jamahiriya
libica dal Consiglio Onu per i diritti umani. Ovviamente dopo la guerra
Nato Suleiman diventa ambasciatore.



Intanto
il sito para-Ong One World è il primo a ospitare la bufala delle «fosse
comuni» in riva al mare
. Corredata da un video assurdo. 



Anche in Italia questi appelli di Ong ottengono un seguito prestigioso, da parte di figure stimate e Ong note.



 

Mesi
dopo, risulterà che i morti in Libia prima dell”intervento Nato sono
stati al massimo trecento, e su entrambi i fronti (fra loro anche
diversi africani subsahariani vittime di atti di feroce razzismo). Così
sostiene in giugno anche Amnesty International. Che però in febbraio
aveva aiutato la catastrofe con dichiarazioni tipo «la situazione è
difficile da monitorare per due ragioni: la prima è che c”è una grande
censura, la seconda è che le fonti di Amnesty International che sono sul posto
(corsivo nostro) possono avere riscontri soprattutto dagli ospedali
principali, ma a un certo punto la situazione è talmente degenerata che
non si è più riusciti a contare quante salme arrivavano negli obitori,
perché le famiglie le hanno seppellite in fretta e furia».



 

Una
domanda che ci facciamo sempre anche rispetto alla Siria: perché Ong
internazionali, organismi Onu e media non fanno attenzione alle loro
«fonti sul posto»? Sapendo che rapporti e dichiarazioni degli umanitari
vengono strumentalizzate dai belligeranti?



E perché nessuno rimprovera mai niente a chi contribuisce, per dolo o per colpa, a scatenare guerre?



 



Il Dipartimento di Stato, i media e le Ong non fanno mai autocritica



E perché nessuno ammette i propri errori?



Al
capitolo Libia, il rapporto annuale del Dipartimento di Stato
pubblicato lo scorso giugno offre un quadro desolante della situazione
interna del paese: «In Libia la mancanza di sicurezza in seguito alla rivoluzione del 2001
(corsivo nostro) ha offerto spazio di manovra ai terroristi». E” più
che evidente che la guerra condotta anche dagli Usa abbia provocato
questa situazione. Ma il Dipartimento non può ammettere: «abbiamo
sbagliato in modo criminale, dovremmo pagare».



Né
ammettono «abbiamo sbagliato» le Ong che nel 2011 chiesero alla famosa
«comunità internazionale» interventi per «fermare il genocidio».  Hanno
fiducia nella smemoratezza collettiva
.



E
nella connivenza dei media. Gli stessi giornalisti che due anni e mezzo
fa bevevano notizie false e osannavano all”intervento di
Parigi/Londra/Washington, presto seguite dalla stessa Italia, adesso
scrivono cose come «il quadro desolante della situazione nel paese che
l”America, trascinata dalla Francia di Sarkozy, aveva voluto salvare
dalla dittatura di Gheddafi gettandolo nel caos più totale» e «la
complessità della realtà mediorientale dove gruppi estremisti islamici
sono riusciti a impossessarsi delle primavere arabe».



Nessun accenno critico alle loro narrazioni precedenti riguardo alla Libia e a quelle ancora attuali rispetto alla Siria.



Come scrive il generale Jean nel libro La guerra umanitaria:
«Le democrazie belligeranti possono  combattere soltanto contro nemici
che siano dipinti come incarnazione del male assoluto e per brevi
periodi di tempo (così si spiegano i tentativi di accelerare con raid a
Bab Azizya non inquadrabili come misure per proteggere avversari dalla
repressione)».



 



I morti di Lampedusa, risultato della guerra



Mentre
una seconda tragedia a Lampedusa indigna il mondo, risulta che il
barcone affondato giorni fa facendo centinaia di vittime avesse uno
scafista tunisino
, Khaled Ben Salem. Insieme all”unico altro arabo a
bordo, egli faceva parte dell”organizzazione libica che gestisce il
traffico di esseri umani dalle coste libiche a quelle italiane.
Raccontano i sopravvissuti che i cinquecento eritrei, prima della
traversata, erano «prigionieri in un capannone nelle campagne libiche» e
poi sono stati trasferiti fino alla spiaggia vicino a Misurata, la
«rivoluzionaria città martire di Gheddafi» (secondo le parole, due anni
fa, di certi esponenti della sinistra europea. Eppure Misurata era la
città dei più ricchi, e le sue milizie si sono rivelate le più carogne
durante e dopo la guerra, tanto da aver compiuto un genocidio,
deportando o uccidendo i libici neri della vicina Tawergha, come
sibialiria
ha più volte scritto.)



Come
mai nessuno ha indagato sul ruolo giocato dagli scafisti libici a
fianco dei cosiddetti rivoluzionari e della Nato? Nel dopoguerra, gli
scafisti lavorano molto meglio.



 



Gruppi armati. Del governo



Un
rapporto del solito Consiglio dei diritti umani dell”Onu e dell”Unsmil
(missione dell”Onu in Libia) sui casi di tortura e morte nelle carceri
della nuova Libia, pur non potendo negare l”evidenza cerca di scusare
l”attuale governo di Tripoli: afferma dunque che le violenze riguardano
soprattutto le strutture gestite dalle milizie armate e diminuiscono
quando qualcuno degli ottomila prigionieri di guerra (senza processo)
passa in carceri governative.



 

L”Onu,
non potendo/volendo riconoscere di aver collaborato al madornale errore
di questa guerra, nega l”evidenza: ovvero che i gruppi armati sono
organici a questa o quella parte del governo. La stessa agenzia Ansa
(che nel 2011 beveva avidamente le fosse comuni e altro) traccia una
rivelatrice mappa dei gruppi principali. La riportiamo. «Forza scudo
libica, gruppo organizzato militarmente ai comandi del ministero della
difesa».  Â«Brigata dei martiri di Abu Salim: ex jihadisti, garantiscono
protezione a scuole e ospedali» (?). «Battaglioni martiri di Rafallah
Shahati: mille componenti, si sono occupati della sicurezza durante le
elezioni».  Â«Brigate dei martiri del 17 febbraio: finanziato dal
ministero della difesa, conta su 3.500 militanti impegnati in compiti di
sicurezza».  Â«Brigata al Qaqa: ufficialmente sotto l”autorità del
ministero della difesa, garantisce la sicurezza dall”apparato
ministeriale».  Â«Brigata al Sawaiq: sotto la guida del ministro della
difesa, garantisce la sicurezza ai leader politici».  Â«Brigata Sadun al
Suwaili: ha guidato l”assalto finale durante la guerra civile. Si occupa
della sicurezza degli edifici governativi».  Â«Consiglio militare
rivoluzionario al Zintan: si è occupato della detenzione del figlio di
Gheddafi, Saif al Islam».

Fonte: http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=2034.

 

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