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'La Libia non c''è più, ormai si è somalizzata'

'Per capire l''evolversi della crisi libica: un''intervista ad Angelo Del Boca, storico del colonialismo italiano e massimo esperto internazionale della Libia.'

'La Libia non c''è più, ormai si è somalizzata'
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12 Ottobre 2013 - 01.45


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Intervista di Tommaso Di Francesco ad Angelo del Boca.

Per capire l”evolversi della crisi libica
abbiamo intervistato Angelo Del Boca, storico del colonialismo italiano e
massimo esperto internazionale della Libia.

Come giudica il sequestro da parte delle milizie armate del primo ministro libico Ali Zeidan, poi liberato?È
uno scontro di potere. Fa parte del caos nel quale la Libia è caduta
dopo la guerra della Nato che ha deposto nel sangue Gheddafi. Non sono
assolutamente sorpreso del sequestro. L”anno scorso, quando doveva
diventare premier Anwar Fekini, figura di spicco dell”opposizione in
esilio (e nipote di Mohammed Fekini protagonista della rivolta contro
l”occupazioneitaliana) ho cercato di dissuaderlo. Era restio ai miei
suggerimenti, ma recentemente mi ha ringraziato dicendomi: «Mi hai
salvato la vita».

Che cosa è accaduto in Libia dall”uccisione di Gheddafi, nell”ottobre 2011, a oggi?È
accaduto il fenomeno della proliferazione delle milizie armate. Da
stime dell”intelligence statunitense sono più di 500 e temibilissime. La
stessa Casa bianca, che fornì l”aviazione a questi insorti, se n”è
accorta dolorosamente l”11 settembre 2011 quando i jihadisti hanno
attaccato il consolato Usa di Bengasi assassinando l”ambasciatore
americano Chris Stevens e tre alti funzionari statunitensi. Tra le
milizie è fortissimo il peso dei jihadisti. Così, dopo la cattura nei
giorni scorsi da parte di forze speciali americane del presunto
esponente di Al Qaeda, Abu Anas-Al Lybi, molto in vista nel sommovimento
libico, è scattata la «risposta» delle milizie più islamiste. Che manda
a dire – credibilmente – a Washington: avete fatto un arresto
arbitrario, contro la nostra sovranità. Il giorno prima Zeidan aveva
smentito ogni avallo di Tripoli all”operazione. Ma il segretario di
stato Usa John Kerry lo ha clamorosamente smentito poche ore dopo,
rivelando che il governo libico era stato consenziente. Mi piace
ricordare un elemento che può far capire la commistione tra milizie e
governo in Libia. Ali Zeidan, professore universitario magnificato da
tutto l”Occidente è un uomo stranamente ricchissimo e solo un mese fa ha
regalato un miliardo di dollari alle milizie di Misurata, considerate
quelle più forti e radicali.

Si può dire che la crisi in
corso in Libia è, in qualche modo, anche una crisi italiana, che cioè
chiama in causa le nostre responsabilità poltiche?
Certamente.
Mi spiego meglio. In questi giorni ho cercato ripetutamente di mettermi
in contatto con il presidente Enrico Letta per consigliarlo. Perché
Letta ha commesso in questo periodo un gravissimo errore: ha dato la
disponibilità dell”Italia al presidente americano Obama che gli ha
chiesto, per la vicinanza e la storia, di coinvolgersi ancora di più
nella crisi libica. Come? Rimettendo in piedi esercito e polizia,
ricostituendo le istituzioni e, soprattutto, «disarmando le milizie». Ma
dire di sì a questa «disarmante» e sconcertante richiesta vorrebbe dire
prepararsi di fatto alla terza invasione militare italiana della Libia.
Perché, sempre secondo l”intelligence Usa, le più di 500 milizie
corrispondono a circa 30mila uomini armati fino ai denti, con cannoni e
carri armati. Un vero e proprio esercito agguerrito. Con un incessante e
massiccio traffico di armi verso la destabilizzazione di aree decisive
come Siria, Sinai (Egitto), nord-Mali, Tunisia e Algeria. Ma, come se
non bastasse, ci sono altre due questioni, perfino più gravi, che in
queste ore chiamano in causa l”Italia. In primo luogo il fatto che gli
Stati uniti, di fronte alla situazione libica, hanno deciso di inviare
forze speciali – già subito più di 200 marine – nella base di Sigonella.
Perché su questa decisione il governo Letta-Alfano tace? Dovrebbe
invece prendere posizione, perché l”intenzione statunitense è l”apertura
di fatto di un fronte in Libia di guerra «coperta». Bisogna ringraziare
i Paesi della Nato e gli stessi Stati uniti che con la guerra del 2011
hanno trasformato la Libia nella nuova Somalia del 1993-1994, quando
venne abbandonata da truppe americane e italiane, dopo l”avventura
bellica anche allora venduta come «umanitaria». Insomma, la Libia che
abbiamo conosciuto non esiste più, si è «somalizzata», con l”aggravante
che è una «Somalia» dall”altra parte delle nostre sponde mediterranee. E
invece il presidente Letta vuole tornarci «per disarmare».

E c”è anche il massacro di Lampedusa…Sì,
perché c”è l”altra drammatica vicenda dei migranti in fuga dalla grande
Africa dell”interno, da miseria, fame, da guerre attivate per interessi
occidentali su gigantesche ricchezze minerarie e fonti di energia.
Proprio due giorni fa, in piena sintonia criminale con il massacro di
Lampedusa, e con l”avvallo del governo italiano, lo stato maggiore
italiano della Guardia di Finanza e della Guardia costiera nazionale ha
firmato «un accordo con le autorità libiche» (quali?) per il
pattugliamento congiunto dei porti della Libia. Viene da chiedere: con
quali milizie, con quali leader jihadisti abbiamo firmato questo
incredibile patto, a chi abbiamo promesso denaro italiano per fermare
militarmente i disperati che fuggono con le bagnarole nel Mediterraneo?

 

 

 

 

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