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di Gian Paolo Calchi Novati.
Per motivi oscuri il Congo è preso spesso come termine di riferimento
negativo per giudizi offensivi. Un classico è «baluba» usato come
insulto da chi non sa nulla del popolo o regno luba (il prefisso «ba» o
«wa» serve a qualificare il plurale di un etnonimo nelle lingue bantu).
Si spiega forse anche così l”accanimento contro il ministro Cécile
Kyenge, originaria appunto del Congo. E poco importa che la denigrazione
risulti particolarmente fuori luogo perché, come documenta anche un
importante libro sulla storia del Congo uscito di recente in francese
(David Van Reybrouck, Congo, une histoire, Actes Sud), il Congo, a cominciare dal fiume che porta questo nome, appartiene all”eccellenza dell”Africa.
L”interfaccia con il Nord
Nelle sue varie conformazioni territoriali, statali o di bacino
commerciale il Congo è stato uno dei poli attraverso cui nelle varie
epoche l”Africa ha partecipato al sistema globale, sia pure come oggetto
più che come soggetto. L”Africa, a differenza anche di paesi come Cina e
India, non ha mai capeggiato un”economia-mondo. Con questi limiti, il
Congo è stato al centro degli eventi dall”inizio dei rapporti fra Africa
ed Europa con le imprese marittime dei portoghesi e poi nei secoli
della tratta e finalmente con l”avvio della spartizione del continente
nero.
Il primo vescovo nero consacrato a Roma nel Cinquecento veniva dal
Congo: Henrique, figlio del re Affonso I. Gli storici della tratta
valutano che un terzo di tutti gli schiavi trasportati nelle Americhe (4
milioni su 12) erano originari della regione congolese. Il possedimento
personale di Leopoldo II aprì la «corsa» all”Africa e divenne il teatro
delle peggiori rapine del colonialismo speculativo. Anche
nell”indipendenza il Congo ha scontato la maledizione di essere il cuore
malato dell”Africa. L”«anno dell”Africa» ha registrato la sua crisi più
grave nel Congo. Nella fase della «rinascenza» negli anni Novanta il
processo di democratizzazione o più semplicemente di cambio si è
inceppato nel Congo con la cosiddetta prima guerra mondiale per il
Congo, coinvolgendo sui due fronti una mezza dozzina di Stati.
L”Onu ha inaugurato le operazioni di pace nel Terzo mondo per far fronte
alla secessione del Katanga nel 1960: Dag Hammarskjöld e Patrice
Lumumba, i due attori principali di una trama finita in tragedia, non
erano fatti per intendersi e sarebbero morti a pochi mesi di distanza
l”uno dall”altro, vittime dirette o indirette di una congiura su scala
internazionale in cui l”Occidente toccò il fondo dell”ignominia. Ancora
oggi l”Onu è presente nel Congo con una missione che per il numero degli
effettivi impiegati non ha pari nel mondo ma senza venire a capo della
lotta senza quartiere che suscitano le ricchezze di questo vero e
proprio «scandalo geologico».
La «tenebra» che ispirò il genio narrativo di Joseph Conrad non era
tanto nel Congo profondo quanto nello sguardo e nelle ossessioni dei
suoi visitatori bianchi. Quando le atrocità commesse da Leopoldo II, che
personalmente non ha mai messo piede nel suo Congo ma che contava su
funzionari ligi alle sue direttive, non poterono più essere ignorate per
le denunce di tanti missionari e del diplomatico-giornalista Roger
Casement, alla cui vita sfortunata ha dedicato un libro Varga Llosa (Il
sogno del celta), autori del calibro di Mark Twain, Arthur Conan Doyle e
dello stesso Conrad diedero voce all”indignazione del mondo che
«sapeva». Per calmare lo scandalo, Leopoldo II fu espropriato dal suo
stesso governo ma, come dimostra Van Reybrouck, i belgi, anche se
sostituirono il rigore ai capricci, non si dimostrarono tanto migliori
di un sovrano avido e megalomane. La prova finale fu il passaggio delle
consegne fra il Belgio e il governo indipendente il 30 giugno 1960. I
preparativi – dalla «tavola rotonda» fra governo e partiti nazionalisti
alle prime elezioni e all”ammainabandiera – durarono in tutto sei mesi.
Al discorso di re Baldovino che sembrava scritto ai tempi della
Conferenza di Berlino il capo del governo Lumumba, un nazionalista più
che un rivoluzionario, rispose con una filippica che non si era mai
sentita in simili cerimonie.
L”invenzione della cleptocrazia
Dopo il tradimento di Tshombe furono poste le premesse per la
«restaurazione». Il Congo non poteva sfuggire al controllo dell”alta
finanza. Tutto era pronto per il lungo «regno» di Mobutu: è stata
coniata la voce «cleptocrazia» per definire un regime che, fra violenze,
retorica dell”autenticità e corruzione, sfuggiva ai parametri della
scienza politica. Quando fu necessario, gli Stati Uniti lasciarono
cadere il Faraone d”Africa prima della Francia. Alle miserie non c”è mai
fine. Malgrado le due elezioni del 2006 e del 2011 la legittimità di
Kabila figlio, la stabilità del governo e la stessa integrità dello
Stato sono ancora in bilico. Il Congo è una realtà in larga parte non
avverata. Ci sarebbe bisogno invece del suo peso per bilanciare nella
politica africana il duopolio conflittuale di Nigeria e Sud Africa, che
non riescono a riempire il vuoto che dalle indipendenze degli anni
Sessanta si è aperto in mezzo al continente.
I detrattori nostrani dei neri sarebbero sorpresi se leggessero questa
pagina quasi conclusiva del libro dello storico belga già citato: «A
Kinshasa (la capitale del Congo) sta crescendo una generazione per la
quale gli europei sono più esotici dei cinesi. Esiste di nuovo un Congo
di bambini che non hanno ancora mai visto un bianco nella realtà ,
proprio come alla fine dell”Ottocento». L”arroganza di chi è cresciuto
al riparo della modernità coloniale potrebbe essere il segno che quel
mondo così gratificante non esiste più mentre nessuno in Italia e forse
in tutta Europa ha un”idea di quale politica adottare. Non per niente,
ci sono anche illustri intellettuali che, senza saperlo, nutrono le
stesse paure di Calderoli.
Fonte: Il manifesto, 15 ottobre 2013.
Tratto da: http://www.eddyburg.it/2013/10/un-paese-ostaggio-delle-politiche.html.
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