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di Mazzetta.
Per
anni gli americani hanno bombardato in Pakistan con i droni con il
consenso e la collaborazione d’Islamabad, un accordo che i due governi
hanno negato strenuamente nonostante l’evidenza, ora dimostrato dai documenti ottenuti e pubblicati dal Washington Post.
I file ottenuti al Washington Post, che l’amministrazione americana non
ha voluto commentare, ma dei quali non ha negato l’autenticità hanno
un’utilità relativa, ma comunque robusta, visto che serviranno a mettere
fine a una pantomima che dura ormai dal 2007 nonostante l’evidenza.
Sono inoltre una racccolta di materiali che aiuta a sciogliere ogni pur
modesto dubbio sui circa 3.000 omicidi più o meno mirati
compiuti dagli americani in Pakistan in poco meno di sei anni.
Ora i
governi dei due paesi dovranno abbandonare la posizione di comodo che
hanno conservato a lungo a difesa del programma e dovranno in qualche
modo rispondere a queste rivelazioni.
I
file servono anche a confermare la bontà del lavoro svolto da diverse
organizzazioni che negli Stati Uniti come in Pakistan hanno tracciato gli
attacchi, corrispondono i luoghi, corrisponde persino il totale delle
vittime, peccato solo che alla voce civili uccisi i documenti del
Pentagono portino sempre e invariabilmente zero.
La politica americana
comprende anche la temeraria affermazione secondo la quale tra i 3.000
uccisi dai droni in Pakistan non ci sono vittime civili. Il lavoro delle
organizzazioni sopra ricordate situa invece sopra l’80% la percentuale
di vittime per le quali non è possibile confermare la qualifica di
combattenti, che per gli standard adottati dagli americani in questo
macabro conteggio significa semplicemente uomini in età adatta al
combattimento.
I
memo confermano anche l’evoluzione del numero e della qualità dei
bombardamenti registrata dagli osservatori, con il picco nel 2010 al
quale non è seguita comunque una flessione tale da indicare un cambio
nella politica degli omicidi mirati. […]
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(Pubblicato anche in Giornalettismo)
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