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La guerra dei droni

'I droni e gli omicidi mirati sono legali o sono crimini sponsorizzati dallo Stato? Sono moralmente giustificati? Cosa dicono l''ONU e i fatti? [Chantal Meloni]'

La guerra dei droni
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13 Novembre 2013 - 00.02


ATF

di Chantal
Meloni
*  

  

Me ne sono già occupata su questo
blog esattamente un anno fa, ma il
tema dei droni e degli omicidi mirati non è mai stato caldo e dibattuto come ora. Sono legali o
sono crimini sponsorizzati dallo Stato? Sono utili o sono il male minore? Sono
moralmente giustificati?

Parlando da un punto di vista
strettamente giuridico (e lasciando quindi da parte considerazioni militari ed
etiche) gli omicidi mirati, tra cui quelli condotti tramite droni, sono solo
eccezionalmente giustificati dal diritto internazionale

Nella maggior
parte dei casi essi violano i diritti umani della popolazione civile ed
in molti casi integrano veri e propri crimini. 

Gli stati, ed in particolare gli
Stati Uniti, che stanno facendo un ricorso massiccio ai “targeted
killings”
nella loro “war on terror” non hanno chiarito gli standard legali
adottati per condurre tali operazioni, né hanno mostrato di adottare
sufficienti garanzie per proteggere i civili. A tali conclusioni è giunto l’esperto
incaricato dall’Onu
in materia di antiterrorismo e diritti umani, che il 25
ottobre scorso ha presentato il contenuto del suo recente rapporto
all’Assemblea Generale dell’Onu nell’ambito un interessantissimo panel
(che si può 
rivedere qui integralmente)
sul tema droni, composto di esperti giuristi.

Ma al di là degli aspetti
strettamente giuridici, tra i moltissimi articoli e film usciti
nell’ultimo periodo, ve ne sono due che hanno particolarmente catturato la mia
attenzione.

Il primo è un lungo articolo apparso
su
GQ della scorsa settimana
(ebbene sì GQ, anche i giornali fighetti fanno articoli tosti, a volte),
contenente le confessioni di un ex-soldato americano che ha combattuto
gli ultimi sei anni in Afghanistan, Iraq, Yemen, Pakistan e Somalia, senza
mai muoversi
dalla sua sedia e dal suo monitor dentro ad un buco di base
militare nel deserto del Nevada.

Si tratta chiaramente di un
operatore di droni, il suo nome: Brandon Bryant. Reclutato nel 2007, a soli 21
anni, dall’esercito statunitense per analizzare in diretta le immagini
registrate dai droni militari e così guidare le operazioni di guerra, ed in
particolare gli omicidi mirati di presunti terroristi, Brandon è stato uno dei
primissimi soldati americani a combattere questa guerra allo stesso tempo
virtuale e molto reale. Virtuale per chi tele-comanda gli aerei (i
droni) a circa 12.000 chilometri di distanza attraverso una sorta di joystick,
seduto davanti ad un monitor. Reale per chi contemporaneamente, a
migliaia di chilometri di distanza, muore, fatto saltare in aria da quel
missile sganciato da quel drone. In realtà, come ben traspare dalle parole di
Brandon, di virtuale non c’è nulla, neanche per chi combatte questa guerra da
lontano, che l’orrore provocato dall’uccidere qualcuno non è reso inferiore
dalla distanza.

Il secondo è un film, diretto da Robert
Greenwald
, che si intitola Unmanned: America’s drone wars. Il
film è appena uscito e per un periodo limitato sarà
visibile in streaming gratuitamente per
chi si registra. Personalmente non posso che consigliarvi fortemente di
approfittare, perché il documento merita davvero.

Peraltro anche qui è presente
Brandon, il soldato-operatore di droni “pentito” di cui sopra. La sua
testimonianza e denuncia, di un sistema che vuole apparire perfettamente
funzionante, chirurgico e pulito, e che in realtà si rivela essere barbaro e
impreciso quanto i mezzi di guerra convenzionali, è resa ancora più
forte in questo documentario, capace di veicolare molto anche a livello
emotivo.

In particolare si rimane basiti davanti alla storia di Tariq Aziz,
un ragazzo pachistano di 16 anni, ucciso da un drone americano in Waziristan
esattamente due anni fa (il 31 ottobre 2011), sulla base di notizie di
intelligence chiaramente sbagliate. Purtroppo la storia di Tareq è molto più
comune di quanto non vorremmo immaginare, perché le informazioni sulla
base delle quali viene decisa l’eliminazione del “presunto terrorista” non
sono sempre attendibili
e opportunamente verificate. Il punto è che – salvo
in circostanze eccezionali ove questo sia impossibile e vi sia un pericolo
imminente per la vita delle persone – il sospetto (terrorista/criminale,
comunque lo si voglia chiamare) deve essere catturato e l’eliminazione fisica
non dovrebbe avvenire se non nel contesto di operazioni belliche in corso (il
che non è il caso per la maggior parte degli attacchi americani).

Giusto per
dare un’idea dei numeri, quando fu congedato Brandon fu insignito di una sorta
di certificato che riportava i “successi” ottenuti nel corso
degli attacchi coi droni a cui aveva collaborato: “totale dei nemici uccisi:
1.626
”.  Lui stesso dice che a vedere quel numero gli è venuto da
vomitare.

 

* dal blog
su ilfattoquotidiano.it , 1 novembre
2013.


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Chantal Meloni è Ricercatrice e docente di Diritto penale
internazionale alla Statale
di Milano. Ha lavorare alla Corte Penale Internazionale, a Gaza presso il
Centro palestinese per i diritti umani. Si occupa di crimini di guerra e
violazioni dei diritti umani ovunque commessi. Ha scritto il libro ‘Command responsibility in international criminal law’,
sulla responsabilità dei vertici militari e politici per i crimini di guerra dei
loro subordinati. Vive tra Berlino e Milano.
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