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Il caso Priebke e le regole della guerra

'Perchè la giustificazione che, a quel tempo, valse per Tibbets (l''uomo che sganciò l''atomica su Hiroshima) non dovrebbe valere anche per Priebke? [Massimo Fini]'

Il caso Priebke e le regole della guerra
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27 Ottobre 2013 - 14.15


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di Massimo Fini.

Paul Tibbets è il pilota che sgancio” l”atomica su Hiroshima. Nel 1985 un giornalista del The Columbus Dispatch,
Mike Harden, lo intervistò e, alla luce delle spaventose conseguenze
di quella Bomba, gli chiese: «Lo rifarebbe oggi?». «Certo» rispose «Sono
stato educato alla disciplina. Ai miei tempi se uno riceveva un ordine
da chi ne aveva l”autorità, obbediva». Non capisco perchè quello che, a
quel tempo, valeva per Paul Tibbets non dovesse valere anche per Erich
Priebke. Perchè gli americani la guerra l”hanno vinta e i tedeschi
persa?

Nel
1947 fu processato Kappler, le ferite del secondo conflitto mondiale
erano molto più sanguinanti di quanto possano essere oggi, ma proprio
perchè si era ancora vicinissimi alla guerra se ne conoscevano le leggi.
E infatti Kappler, il diretto superiore di Priebke, non fu condannato
per la rappresaglia in sè, che era ammessa e legittimata dalla
Convenzione di Ginevra, ma perchè in un macabro eccesso di zelo fece
fucilare cinque persone in più di quanto previsto.

Quando gli Alleati
occuparono la Germania, i francesi emisero bandi di rappresaglia nella
proporzione di 20 a uno, i russi di 50 a uno e gli americani, sempre
grandiosi, di 200 a uno. Ma poichè la Germania era rasa al suolo e non
ci fu nessuna resistenza partigiana mancò l”occasione di applicarli.

Tibbets
in un”altra occasione, intervistato da un giovane giornalista
televisivo, disse: «Posso raccontarle quello che ho fatto, ma dubito che
noi due riusciremo a comunicare. Lei è troppo giovane. Lei non può
capire».

Non si può capire in tempo di pace ciò che è avvenuto in
tempo di guerra. Perchè sono due dimensioni incommensurabili, in cui
vigono regole completamente diverse. Ciò che è lecito in guerra,
uccidere, è assolutamente proibito in pace. Per questo, in tutti i tempi
e presso tutte le culture, il passaggio dalla pace alla guerra è sempre
stato segnato da rigorosi riti di demarcazione. In epoca moderna dalla
dichiarazione di guerra. Negli ultimi decenni queste sane abitudini si
sono perse.

Oggi la guerra si fa, con cattiva coscienza e perciò non la
si dichiara.

Si preferisce chiamarla ”missione di pace”, ”operazione di
peacekeeping”, ”intervento umanitario”. Con cio” ingenerando non solo
una grande confusione ma spazzando via quel poco di ”ius belli” che
aveva sempre regolato le guerre (per esempio nel trattamento dei
prigioneri di cui, non essendoci più una guerra dichiarata, si può fare
carne di porco, vedi Guantanamo).

Quando parliamo di crimini commessi
durante l”ultima guerra mondiale (che naturalmente ci furono come
dimostra la sacrosanta condanna di Kappler o la strage di Cefalonia dove
i tedeschi uccisero i soldati italiani loro prigionieri) dobbiamo fare
lo sforzo di riferirci al contesto in cui avvennero.

Se Priebke si fosse
rifiutato di obbedire a Kappler sarebbe stato un eroe. Ma non era Salvo
D”Acquisto, non era un eroe. Era un uomo dallo spessore intellettuale e
morale di un domestico che vestiva un”uniforme da soldato.

E vorrei
proprio vedere fra coloro, giornalisti, opinionisti, conduttori
televisivi, che oggi fanno tanto i muscolari e le ”anime belle” chi, nel
1944, avrebbe osato resistere a un ordine che veniva direttamente da
Adolf Hitler.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 26 ottobre 2013

Tratto da: http://www.massimofini.it/articoli/il-caso-priebke-e-le-regole-della-guerra.

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