Il corpo di Priebke, e il nostro | Megachip
Top

Il corpo di Priebke, e il nostro

L’italica vigliacca inconsistenza rileva dal fatto che abbiamo seppellito i nostri genocidi, fino a convincerci che, in fondo, siamo “brava gente”, da sempre.

Il corpo di Priebke, e il nostro
Preroll

Redazione Modifica articolo

21 Ottobre 2013 - 13.24


ATF

di Alessandro Cisilin.

Lo abbiamo pensato d”istinto in tanti, ammettiamolo. Del destino e delle polemiche sul corpo di Priebke non ci importa nulla, al punto da farci reagire quasi indifferenti ai moti di rabbia esplosi ad Albano Laziale e altrove, e perfino a guardare con interesse ai richiami di settori reazionari del mondo ecclesiastico e politico al concetto universale ed egualitario della carità cristiana e a quello, correlato, di un unico supremo Giudice.

Ma se si esce da ideologie e teologie, la verità è che siamo fuori strada. In antropologia è lapalissiano: se c”è una cosa che accomuna tutte le civiltà del mondo è proprio il fatto che i funerali sono il rito più importante, perché è l”idea dei defunti e del nostro stesso destino ultimo a definire l’idea e i gangli della nostra esistenza, e questo vale anche mentre pensiamo di non averne alcuna.

La verità è che è falso che siamo tutti uguali dinanzi alla morte, e a saperlo benissimo è la stessa Chiesa che, con precetti ed esiti variabili, ha da sempre calibrato le sue esequie per stabilire gerarchie ed esclusioni. Stavolta ha escluso il gerarca, e non è irrilevante.

In quel “tutti eguali” invece esprimiamo e alimentiamo, più o meno consapevolmente, non la carità ma l’indifferenza e l’oblio, che non ci fanno più distinguere tra carnefici e vittime, tra sfruttatori e oppressi, tra interessi privati e bene pubblico, forse anche tra destra e sinistra.

La cosa più seccante che si legge in questi giorni nei social network è qualche battuta sui “tedeschi”, per natura “dominanti e oppressori”, oggi nella finanza come ieri con le armi. Niente di più falso. La forza della Germania odierna trae anzitutto proprio dal fatto di aver chinato la testa e preso lezione dalla memoria. L’italica vigliacca inconsistenza – morale prima ancora che economica – rileva specularmente dal fatto che abbiamo seppellito i nostri genocidi, fino a convincerci che, in fondo, siamo “brava gente”, e lo siamo sempre stati. In altre parole abbiamo azzerato quel “Giudice” che, comunque lo chiamiamo (chi scrive qui è ateo), non è altro che la nostra coscienza collettiva.

Nessuno in questi anni ha toccato Erich Priebke. E anzi abbiamo messo denari in procedimento che gli ha concesso i domiciliari e in un servizio di polizia che lo controllava e proteggeva mentre faceva le passeggiatine ulteriormente concessegli.

Questo è civiltà, l’oblio è invece colpevolmente incivile. Il tema non è un cadavere, siamo noi. Il più grande potere è la sopravvivenza al defunto, diceva Elias Canetti. Se vogliamo sopravvivere, è stavolta il caso di rivendicarlo quel potere, anche con rabbia. Sia allora un po’ più lieve la terra per le vittime del boia. E sia pesantissima l’aria per chi oramai lo mette, in fondo in fondo, sullo stesso piano di coloro che l’hanno combattuto.

[GotoHome_Torna alla Home Page]

Native

Articoli correlati