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Altre tre osservazioni sull'Ucraina

I custodi della legalità westfaliana internazionale contro il caos imperiale e la Responsibility to Protect (R2P) e il Right to Intervene (R2I), sul filo della guerra. [Pagliani]

Altre tre osservazioni sull'Ucraina
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22 Marzo 2014 - 00.22


ATF

di Piero Pagliani.

Questa riflessione è il seguito
delle
«Sette osservazioni sulla crisi ucraina»


pubblicate lo scorso 4 marzo.

Ottava
osservazione.
È
in corso da più parti un tentativo di capire se la
crisi ucraina stia dimostrando la forza degli Usa o della Russia.

Incominciamo osservando che quasi
sempre i termini che vengono contrapposti non sono simmetrici
,
bensì del tipo “Usa vs Putin” o “Comunità
Internazionale vs Russia”.

Nel primo caso c’è una nazione
(considerata fiaccola della democrazia) che si contrappone a un
individuo (considerato una sorta di aggressivo autocrate),
mentre nel secondo caso c’è un ristretto club di nazioni
che si autodefinisce rappresentante di tutte le nazioni del mondo e
che si contrappone a un singolo Paese considerato “paria”
(se non fosse così potente, in questo momento sarebbe classificato
come “rogue state” senza tanti complimenti).

Questa retorica da guerra
(calda o fredda non fa qui differenza) ci vorrebbe far credere che
comunque la “forza della ragione” sta ad Occidente. Possiamo
dubitarne, ma non è questo il punto, perché nelle relazioni
internazionali durante i periodi di caos sistemico, l’idea
stessa di “ragione” è sfidata da quella, per l’appunto, di
“caos” nel quale concetti come “democrazia”, “diritto” e,
infine, “ragione” devono lasciare il posto al concetto principe
di “forza”.

Chi dimostra quindi più “forza”?
Obama o Putin? Gli Usa o la Russia?

Io francamente non lo so, perché in
questo momento sto osservando la parte centrale di una partita a
scacchi ben lontana dall’essere definita, le mosse e le contromosse
degli opponenti. La mia speranza è che questa partita finisca prima
di uno scacco matto, perché tale situazione potrebbe spingere
l’opponente in difficoltà a ribaltare la scacchiera con una
mossa, ovviamente, fuori dalle regole. Penso che ci siamo spiegati.

Per ora possiamo constatare che gli
Usa in Europa hanno catturato un pezzo molto importante, diciamo una
torre.

Questo di per sé indica che gli Usa
siano i più forti? Non penso che sia una conclusione così
immediata, anche se è evidente che essi sono da tempo passati
all’attacco. Lo hanno fatto nei Balcani, in Medioriente, in
Nord-Africa, in Sudan. E’ fuori di dubbio che in Ucraina la mossa
sia stata “brillante” ed estremamente destabilizzante: oltre
all’Europa, UE compresa, ha destabilizzato tutto il mondo, come
vedremo nell’ultima osservazione. Ma la superiorità presunta
dovrebbe essere analizzata attraverso vari parametri. Ne accenno
alcuni: A) I mezzi impiegati, B) La capacità di prevenire dirompenti
contromosse, C) Il significato strategico complessivo del risultato
della mossa localmente vincente.

Nona
osservazione
.
L’analisi dei mezzi impiegati dagli Usa in Ucraina è
complessa. Essi pertengono a ciò che viene chiamato “Soft
Power
”, o che potremmo meglio chiamare “Soft Power
2.0”. Infatti operazioni come queste non sono novità assolute.
Si pensi solo all’operazione “Valuable” con cui alla
fine degli anni Quaranta i servizi segreti statunitensi e inglesi,
col supporto di Grecia, Italia e Germania Occidentale, cercarono di
suscitare una guerriglia anticomunista in Albania. Il tentativo finì
in un disastro per almeno due motivi. Il primo è che i guerriglieri
albanesi infiltrati erano ideologicamente troppo reazionari
per ottenere la collaborazione della popolazione, che infatti rimase
indifferente. Occorre sottolineare che proprio su questo punto ci fu
una discussione tra i responsabili statunitensi e quelli inglesi che
si opponevano all’utilizzo di leader albanesi dichiaratamente
fascisti come invece pianificato dai primi. Il secondo fattore fu Kim
Philby, agente segreto inglese da sempre comunista e al servizio dei
sovietici, le cui informazioni permisero di intrappolare subito gli
anticomunisti infiltrati. Un’operazione simile fu anche quella
organizzata contro la Cuba castrista da John Kennedy in
collaborazione con la mafia cubana e finita anch’essa in un
disastro, alla Baia dei Porci.

Saltano agli occhi diverse cose.
Innanzitutto la presenza dell’Unione Sovietica, la contrapposizione
ideologica dovuta alla guerra fredda e la forte presa anche in
Occidente degli ideali socialisti e comunisti non permettevano quelle
smaccate campagne di propaganda preparatoria e d’accompagnamento a
cui oggi siamo abituati, mentre costringevano a coprire accuratamente
tali tipi di operazione, tanto che una volta che si capiva che erano
fallite, i responsabili politici occidentali ci tiravano velocemente
una riga sopra secretando tutto e lanciando i rivoltosi al loro
(tragico) destino. Oggi, al contrario, possiamo sentire un pezzo
grosso dell’amministrazione Obama che rivendica sfacciatamente
l’appoggio finanziario degli Stati Uniti agli eversori ucraini,
mentre quello logistico e militare viene dato per scontato e non si
fanno soverchi sforzi per negarlo.

Una grande differenza quindi tra il
Soft Power 1.0 e quello 2.0. Estremamente più elaborato il
secondo, esso si giova, in Occidente, anche della virtuale
scomparsa di ogni forma di opposizione politica e ideologica al
capitalismo
e al suo centro di raccordo internazionale, cioè gli
Usa.

Eppure, come ho già cercato di
argomentare, proprio qui si nota una certa debolezza nella mossa
ucraina, ed essa riguarda la necessità di aver dovuto affidare le
piazze a forze neonaziste inquadrate militarmente, non riuscendo
l’Occidente ad esercitare quella composita attrazione ideologica,
comportamentale, valoriale, economica e sociale, sulla classe media
ma anche salariata, che invece si era vista in azione in varie
occasioni, ad esempio durante la “Primavera di Praga” o nel
movimento
Solidarność
in Polonia, persino nel
movimento di Piazza Tienanmen a Pechino o in quello di Teheran Nord
in Iran, o anche durante la “
Glasnost”
di Mikhail Gorbaciov nella stessa Unione Sovietica (e si dovrebbe
cercare di capire come la Russia di Putin e la Cina da Jiang Zemin in
poi abbiano risposto alle spinte della classe media e come lo stia
facendo oggi l’Iran). Un discorso analogo credo si possa applicare
alla “primavera” egiziana mentre è particolare il
mix
di sovversione eterodiretta e di tensioni sociali

nell’America Bolivariana la quale finora ha fortunatamente
dimostrato grande capacità di tenuta e di reazione.

In Ucraina quel tipo di attrazione
non si è vista, o la si è vista molto mediata da urgenze d’altro
tipo derivanti da fratture di carattere storico,
linguistico-culturale e anche religioso. Quali esigenze sociali
avrebbero infatti richiesto di preferire la Tymo?enko a Janukovyč,
perfettamente intercambiabili in quanto a corruzione e incapacità?
In base a ciò non riesco a condividere fino in fondo
analisi come quella di Lorenzo Adorni
pubblicata sul blog di Aldo Giannuli, che a mio avviso mette in campo
un fattore reale, cioè il
grande
potere culturale
degli
Stati Uniti, ma in un luogo e in un momento errati, dove cioè la
dimensione finanziaria, logistica e militare del
Soft
Power
ha avuto un ruolo
maggiore e decisivo rispetto a quella culturale-sociale, così come è
avvenuto in Libia, anche se su scala diversa, e così come sta
succedendo in Siria.

Decima
osservazione
. L’analisi del significato strategico
complessivo della mossa ucraina e delle contromosse ci porta a
diversi ordini di considerazioni.

Il primo riguarda le modalità di
conduzione dei conflitti moderni. Il fatto che non ci sia una
esplicita e conclamata contrapposizione militare tra le grandi
potenze non significa che non siamo già molto in là con quella che
possiamo considerare la
prima
fase della III Guerra Mondiale
.
Lo svolgimento dei conflitti in questa fase era stato previsto per
tempo dagli strateghi della
Rand
Corporation
1:

«Le
modalità della guerra dell’ultimo quarto del XX secolo potrebbero
finire per somigliare a quelle del Rinascimento italiano o degli
inizi del XVII secolo, prima dell’emergere di eserciti nazionali e
di guerre più organizzate – con conflitti armati continui e
sporadici, privi di chiari confini temporali e spaziali, intrapresi a
diversi livelli da un’ampia schiera di forze nazionali e
subnazionali
»

(Brian M. Jenkins, “New modes of conflict”,
1983, p. 17).

Giovanni Arrighi, circa un decennio
dopo, motivava un tale «riemergere di forme di politica militare
proprie della prima età moderna in un mondo ultramoderno o
postmoderno
» come un segnale del caos prodotto dalla crisi
sistemica
. Ma un segnale di tipo particolare:

«È
come se il moderno
sistema di dominio, dopo essersi esteso spazialmente e funzionalmente
fin dove possibile, non abbia altro luogo dove andare se non “in
avanti”, verso un sistema di dominio completamente nuovo, o
“all’indietro”, verso modelli di formazione dello stato o di
conduzione della guerra propri della prima età moderna o addirittura
premoderna
»

(Giovanni Arrighi, “Il
lungo XX
secolo denaro, potere e le origini del nostro tempo
”,
Il Saggiatore, 1996, pp. 112-113).

Il secondo ordine di considerazioni
riguarda l’ampiezza dell’urto destabilizzante della mossa
ucraina
e quindi delle contromosse strategiche complessive.

Il primo e più immediato impatto si
ha in Europa, questo è evidente. E in Europa in prima linea c’è
la Germania sulla quale gli esiti della mossa ucraina sono abbastanza
differenziati e non uniformi. Ne parlerò in un articolo sull’Europa
che spero di pubblicare tra pochi giorni, ma in linea di massima la
mossa statunitense ribadisce che ogni politica ad Est dell’Europa è
subordinata alle ragioni strategiche degli Usa, per quanto caotiche
possano essere: “Fuck the EU!”.

Ma gli effetti di destabilizzazione
non finiscono in Europa. Se dal nostro continente ci spostiamo in
Asia, vediamo che la crisi ucraina ha messo sotto impasse
l’India.

In linea con gli storici legami tra
questo Paese e la Russia (Unione Sovietica) il consigliere della
sicurezza nazionale, Shivshankar Menon, ha parlato di «
interessi
legittimi
» della Russia,
pur nel contesto di «
altri
interessi
»
da negoziare, con l’auspicio di «
una
soluzione soddisfacente per tutti
».
Tuttavia l’imbarazzo del governo è confermato da un atteggiamento
che è stato paragonato a quello dello struzzo «
con
la testa ben ficcata nella sabbia in attesa che la crisi a Kiev si
possa chissà come dissolvere
»2.

Le preoccupazioni in India sono
tante. Tra aprile e maggio ci saranno le elezioni politiche.
Tutto fa pensare
che il vincitore sarà il
Bharatiya
Janata Party
, o BJP,
il partito nazionalista indù, a meno di sorprese dovute a una “terza
forza” emergente tra questo partito e quello del Congresso. Il
rischio è che a formare il nuovo governo sia chiamato
Narendra
Modi
, un estremista
ritenuto responsabile politico del
pogrom
antimusulmano
che nel
2002 provocò nel Gujarat l’uccisione di circa 2.000 persone,
uomini, donne e bambini, tra violenze letteralmente inenarrabili.
Cattive relazioni diplomatiche con gli Usa sguarnirebbero l’India
di fronte ai probabili attacchi terroristici controllati
dall’
Inter-Services
Intelligence
(ISI)
pakistano, che sono aspettati come messaggio di “benvenuto” ad un
probabile governo nazionalista indù a Delhi. Non solo, le capacità
di eversione dimostrate in Ucraina dagli Stati Uniti spaventano
l’India nella cui federazione sono presenti aree di conflitto di
diverso tipo, dallo Stato di J
ammu
e
Kashmir
nel Nordovest, alle inquiete “Sette Sorelle” del Nordest
(
Arunachal
Pradesh, Assam, Manipur, Meghalaya, Nagaland, Tripura e Mizoram).

In definitiva, la crisi ucraina potrebbe introdurre un cuneo negli
storici rapporti di alleanza tra India e Russia.

Dal
canto suo la
Cina,
contraria a sanzioni contro la Russia e al contempo possibilista nei
confronti del nuovo governo installatosi a Kiev, sembra voler
utilizzare la crisi per proporsi in un
ruolo
globale di “moderatore”
.
Con ciò dimostrerebbe al mondo per l’ennesima volta che la Cina
risolve i conflitti mentre gli Usa li alimentano e potrebbe negoziare
un allentamento della pressione di contenimento decisa da Obama
(preannunciata dal famoso “
Pivot
to East Asia
”
della Clinton). Infine si noti che le preoccupazioni indiane per il
Kashmir e le Sette Sorelle sono replicate da quelle cinesi per lo
Xinjiang
e il Tibet.

Ma
ciò vuol dire che come reazione complessiva all’ennesima
dimostrazione del
Soft
Power

2.0 da parte degli Usa, i rapporti tra Russia, India e Cina, pur
tenendo distinti i propri specifici interessi e le manovre per
difenderli, si potrebbero alla fine stringere ancor di più in quanto
custodi della
legalità
westfaliana internazionale

contro il caos imperiale e la
Responsibility
to Protect
(R2P) e il
Right to Intervene
(
R2I)
ad usum
Delphini
.

Una
politica che potrebbe attrarre la grande maggioranza degli Stati del
mondo isolando, paradossalmente, la sedicente “comunità
internazionale”.

Piero
Pagliani

NOTE:

1.
La Rand Corporation è un prestigioso think tank al servizio delle forze armate
statunitensi, dove sono passati ben trentadue premi Nobel. Almeno la
metà dei suoi studi sono coperti da segreto. A dire: è meglio
smetterla con la giustificazione consolatoria che gli Stati Uniti
“non capiscono”, “sbagliano” o “sono ingenui”. Nessun
impero ha mai sofferto di questi difetti.

2.
K.P. Nayar su “
The Telegraph”,
India.

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