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'L''Occidente sulla strada sbagliata'

'Il più grande quotidiano economico tedesco rovescia tutte le idee USA per l''Ucraina, e indica una strada all''Europa per evitare la guerra. L''esempio di Brandt [con nota di P.Cabras]'

'L''Occidente sulla strada sbagliata'
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23 Agosto 2014 - 23.59


ATF

Nota introduttiva di Pino Cabras:

Gabor
Steingart, il direttore editoriale del più importante quotidiano economico
tedesco,Handelsblatt, nonché autore di svariati bestseller e notevoli
saggi di politica internazionale, in questo articolo offre forti argomenti in
favore di un”Europa che faccia il contrario di quanto fatto finora in Ucraina.

Naturalmente
nessun giornale italiano ha pubblicato sinora questo potente editoriale,
rivelatore di quanto le forzature antirusse imposte dagli USA alle classi
dirigenti tedesche ed europee tocchino i loro nervi scoperti e stiano
portandole a un bivio drammatico.

Il linguaggio
di Steingart è a tratti felpato, molto attento al pubblico cui si rivolge, che
sicuramente ricomprende tutta lӎlite. Ma ha frequenti guizzi in cui richiama ironicamente
la vera portata mondiale della partita ucraina, come quando invita ad avere Â«la
capacità di vedere il mondo attraverso gli occhi degli altri. Dovremmo
smetterla di accusare 143 milioni di russi di guardare al mondo in modo diverso
rispetto a John McCain».

Proponiamo
questo articolo (che Handelsblatt ha pubblicato in tedesco, inglese e
russo) all”attenzione dei nostri lettori raccomandandone, oltre alla lettura,
la massima diffusione.

*********************

Alla
luce degli avvenimenti in Ucraina, il governo e molti media sono passati dalla
modalità “equilibrato” alla modalità “agitato”. Lo spettro
delle opinioni è stato ridotto alla visuale di un fucile di precisione. La
politica dell”escalation non ha un obiettivo realistico e nuoce agli interessi
tedeschi.

di Gabor
Steingart
.

Düsseldorf –
Ogni guerra è accompagnata da una sorta di mobilitazione mentale: la febbre di
guerra. Nemmeno le persone intelligenti sono immuni da attacchi controllati di
questa febbre. «Questa guerra, in tutte le sue atrocità, è tuttora una cosa
grande e meravigliosa. Si tratta di una esperienza che vale la pena vivere»,
esultava Max Weber nel 1914 mentre le luci si spegnevano in Europa. Thomas Mann
sentiva un senso di «pulizia, liberazione, e di una grandissima speranza».

Persino quando
erano già in migliaia a giacere senza vita sui campi di battaglia belgi, la
febbre di guerra non si placava. Esattamente 100 anni fa, 93 pittori, scrittori
e scienziati composero l”«Appello al mondo della cultura». Max Liebermann,
Gerhart Hauptmann, Max Planck, Wilhelm Röntgen, e altri ancora, incoraggiavano
i loro connazionali a impegnarsi in crudeltà da infliggere al prossimo: «Senza
il militarismo tedesco, la cultura tedesca sarebbe stata spazzata via dalla
faccia della terra già molto tempo fa. Le forze armate tedesche e il popolo
tedesco sono una cosa sola. Questa consapevolezza rende 70 milioni di tedeschi
fratelli senza distinzioni di istruzione, di status, o di partito.»

Interrompiamo
il nostro stesso processo di pensiero: «La storia non si ripete!»

Ma possiamo
esserne così sicuri anche in questi giorni? Se si osservano gli eventi della
guerra in Crimea e nell”Ucraina orientale, i capi di Stato e di governo
dell”Occidente improvvisamente non hanno più domande e hanno tutte le risposte.
Il Congresso USA sta discutendo apertamente di dare armamenti all”Ucraina. L”ex
consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski raccomanda di armare
i cittadini laggiù per i combattimenti casa per casa e in strada. La
Cancelliera tedesca, come è sua abitudine, è molto meno esplicita ma non meno
inquietante: «Siamo pronti a prendere misure severe».

Il giornalismo
tedesco è passato dalla modalità “equilibrato” alla modalità
“agitato” nel giro di poche settimane. Lo spettro delle opinioni è
stato ridotto al campo visivo di un fucile di precisione.

I quotidiani
che credevamo fossero fatti in tutto e per tutto di pensieri e idee, ora
marciano allo stesso passo con i politici nei loro appelli per sanzioni contro
il presidente russo Putin. Anche i titoli tradiscono una tensione aggressiva,
la stessa che di solito caratterizza gli ultrà quando fanno il tifo per le loro
rispettive squadre.

Il Tagesspiegel:
“Basta parole!” Il FAZ: “Mostrare la forza”. La Süddeutsche
Zeitung
: “Ora o mai più” Lo Spiegel tuona: “Finiamola
con la vigliaccheria”: «Ecco l”intrico di menzogne, propaganda e inganni
di Putin. Il relitto del volo MH 17 è anche il frutto di una diplomazia
sfracellata».

La politica
occidentale e i media tedeschi sono d”accordo.

Ogni stringa
riflessiva delle accuse finisce allo stesso modo: senza che ci sia il tempo, le
accuse e le contro-accuse si attorcigliano a tal punto che i fatti risultano
quasi completamente oscurati.

Chi ha
ingannato per primo?

È iniziato
tutto con l”invasione russa della Crimea oppure è stato prima l”Occidente a
promuovere la prima destabilizzazione dell”Ucraina? La Russia vuole espandersi
a Ovest o è la NATO che intende allargarsi verso Est? O forse le due potenze
mondiali si incontrano alla stessa porta nel bel mezzo della notte, guidate da
intenzioni molto simili verso un terzo indifeso che adesso paga il prezzo del
risultante intralcio con le prime fasi di una guerra civile?

Se a questo
punto state ancora aspettando una risposta che dica di chi è la colpa, potreste
anche semplicemente smettere di leggere. Non vi mancherà nulla. Non stiamo mica
cercando di portare alla luce questa verità nascosta. Noi non sappiamo come è
iniziata. Né sappiamo come finirà. E siamo seduti proprio qui, in mezzo a tutto
questo. Almeno Peter Sloterdijk ha poche parole di consolazione per noi:
«Vivere nel mondo significa vivere in mezzo all”incertezza»

Il nostro scopo
è quello di spazzare via una parte della schiuma che si è formata sulle bocche
di chi discute, per togliere di bocca le parole sia di chi stuzzica sia di chi
è stuzzicato, e mettervi invece nuove parole. Una parola entrata in disuso
negli ultimi tempi è questa: realismo.

Le politiche di
escalation dimostrano che all”Europa manca gravemente un obiettivo realistico.

È una cosa
diversa negli USA. Minacce e posture bellicose sono semplicemente parte dei
preparativi elettorali. Quando Hillary Clinton paragona Putin a Hitler, lo fa
solo per attrarre il voto repubblicano, cioè le persone che non possiedono un
passaporto. Per molti di loro, Hitler è l”unico straniero che conoscono, onde
per cui Adolf Putin risulta una figura immaginaria molto gradita per una
campagna elettorale. A questo proposito, la Clinton e Obama hanno un obiettivo
realistico: fare appello al popolo, per vincere le elezioni, per conquistare
un”altra presidenza democratica.

Angela Merkel
può difficilmente chiedere queste attenuanti per sé. La geografia obbliga ogni
Cancelliere tedesco ad essere un po” più serio. Come vicini di casa della
Russia, in qualità di membri della comunità europea cui siamo vincolati dal
destino, come destinatari di energia e fornitori di ogni ben di dio, noi
tedeschi abbiamo un evidente interesse vitale ad avere stabilità e a
comunicare. Noi non possiamo permetterci di guardare alla Russia attraverso gli
occhi del Tea Party americano.

Ogni errore
inizia con un errore nel pensiero. E stiamo facendo questo errore, se crediamo
che solo le altre parti si avvantaggino delle nostre relazioni economiche e
perciò solo loro debbano soffrire quando queste relazioni si interrompono. Se i
legami economici erano stati mantenuti per una reciproca convenienza, il loro
aggravamento porterà a perdite reciproche. Punizione e auto-punizione sono la
stessa cosa, in questo caso.

Anche l”idea
che la pressione economica e l”isolamento politico mettano la Russia in
ginocchio non è stata davvero meditata fino in fondo. Perfino nell”ipotesi che
potessimo avere successo: cosa ci porterebbe di buono il mettere la Russia in
ginocchio? Come puoi voler vivere insieme nella casa europea con un popolo
umiliato la cui leadership eletta viene trattata come un paria e i cui
cittadini potresti doverli sostenere nel prossimo inverno.

Naturalmente,
l”attuale situazione richiede una forte presa di posizione, ma soprattutto una
forte presa di posizione contro noi stessi. I tedeschi non hanno né voluto né
causato questa realtà, ma nondimeno ora questa è la nostra realtà. Considerate
solo quel che Willy Brandt dovette ascoltare quando il suo destino di sindaco
di Berlino lo pose all”ombra del Muro. Quali sanzioni e quali punizioni gli
furono suggerite. Ma decise di saltare a pie” pari questa sagra degli
indignati. Non ha mai dato un solo giro di vite alla volontà di rappresaglia.

Quando gli è
stato conferito il Premio Nobel per la Pace ha messo in luce quel che gli
capitava intorno nei giorni frenetici in cui il muro fu costruito: «C”è ancora
un altro aspetto, quello dell”impotenza mascherata da verbosità: nell”assumere
posizioni giuridiche che non possono diventare una realtà e nel pianificare
contromisure per situazioni contingenti che sono sempre diverse da quelle a
portata di mano. Nei momenti critici fummo lasciati soli con i nostri mezzi; i
parolai non avevano nulla da offrire».

I parolai sono
tornati e il loro quartier generale si trova a Washington DC. Ma nessuno ci
costringe a piegarci ai loro ordini. Il seguire questa guida – sebbene in un
modo furbesco e in qualche modo riluttante come nel caso di Merkel – non
protegge il popolo tedesco, ma semmai lo mette in pericolo. Questo fatto resta
un fatto, anche se non fossero stati gli americani ma i russi ad essere
responsabili del danno originale in Crimea e in Ucraina orientale.

Willy Brandt
decise in modo chiaramente differente da quello scelto dalla Merkel al giorno
d”oggi, e ciò avvenne durante una situazione indubbiamente più acuta. Come
ricorda, si era svegliato la mattina del 13 Agosto 1961 «ben desto e
insensibile al tempo stesso». Era fermo ad Hannover per una sosta durante un
viaggio quando ricevette segnalazioni da Berlino sul fatto che si stavano
realizzando dei lavori di costruzione di un vasto muro che separava la città.
Era una domenica mattina e l”umiliazione difficilmente avrebbe potuto essere
più grande per un sindaco in carica.

I sovietici
glielo presentarono come un fatto compiuto. Gli americani non lo avevano
informato, anche se probabilmente avevano ricevuto alcune informazioni da
Mosca. Brandt ricorda che una “rabbia impotente” si era impadronita
di lui. Ma cosa fece? Trattenne i suoi sentimenti di impotenza e palesò il suo
grande talento di uomo politico ancorato alla realtà, che più tardi lo avrebbe
portato a essere per un certo tempo Cancelliere e infine anche Premio Nobel per
la Pace.

Con la
consulenza di Egon Bahr, accettò la nuova situazione, sapendo che nessuna dose
di indignazione proveniente dal resto del mondo avrebbe abbattuto di nuovo quel
muro ancora per un bel po”. Addirittura ordinò alla Polizia di Berlino
Ovest di utilizzare manganelli e idranti contro i manifestanti vicino al muro
in modo che non si scivolasse dalla catastrofe della divisione verso la
catastrofe ancora più grande della guerra. Si adoperò per il paradosso che Bahr
espresse più tardi come segue: «Abbiamo riconosciuto lo Status Quo al fine di
cambiarlo».

E sono riusciti
a compiere questo cambiamento. Brandt e Bahr fecero gli interessi specifici
della popolazione di Berlino Ovest per la quale erano al momento responsabili
(da giugno 1962 in poi questa comprendeva chi scrive) nella misura della loro
politica.

A Bonn
negoziarono le agevolazioni per Berlino, una sovvenzione esentasse dell”otto
per cento sui salari e sull”imposta sul reddito. In gergo fu chiamato il
“premio per la paura”. Negoziarono inoltre un trattato sui permessi
di viaggio con Berlino Est che rese il muro nuovamente permeabile appena due
anni dopo la sua edificazione. Tra il Natale 1963 e il Capodanno 1964, 700mila
abitanti di Berlino visitarono i loro parenti nella parte orientale della
città. Ogni lacrima di gioia si trasformò in un voto per Brandt poco tempo
dopo.

Gli elettori si
resero conto che qui c”era qualcuno che voleva influire sul modo in cui
vivevano ogni giorno, non solo generare un titolo di giornale per la mattina
dopo. In una situazione quasi del tutto senza speranza, quest”uomo della SPD
combatté per i valori occidentali – in questo caso i valori della libertà di
movimento – senza megafoni, senza sanzioni, senza la minaccia della violenza.
L”élite di Washington cominciò a sentire parole che non erano mai state sentite
prima in politica: Compassione. Cambiamento attraverso il riavvicinamento. Dialogo.
Riconciliazione di interessi. E questo nel bel mezzo della Guerra Fredda, quando
si pensava che le potenze mondiali si sarebbero attaccate reciprocamente con il
veleno, quando il testo della trama conteneva solo minacce e proteste;impostare
ultimatum, applicare blocchi navali, condurre delle guerre per procura, questo
è il modo in cui si pensava che la guerra fredda dovesse essere messa in atto.

Una politica
estera tedesca che si impegnava per la riconciliazione – all”inizio solo la
politica estera di Berlino – non solo appariva coraggiosa ma anche assai
strana.

Gli americani –
Kennedy, Johnson, e poi Nixon – andarono dietro ai tedeschi; questo diede il
via a un processo che è senza precedenti nella storia di nazioni nemiche.
Infine, ci fu un incontro a Helsinki, finalizzato a fissare le regole.
All”Unione Sovietica era garantita la«non ingerenza nei suoi affari interni» che
riempì di soddisfazione il capo del partito Leonid Brezhnev e fece ribollire
invece il sangue di Franz Josef Strauss. In cambio, la direzione del partito
comunista di Mosca doveva garantire all”Occidente (e quindi alle sue società
civili) Â«il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali,
compresa quella di pensiero, coscienza, religione o credo».

In questo modo
la “non interferenza” fu acquistata attraverso il
“coinvolgimento”. Il comunismo aveva ricevuto una garanzia eterna per
il suo territorio, ma all”interno dei suoi confini i diritti umani universali
improvvisamente cominciarono a fermentare. Joachim Gauck ricorda: Â«La
parola che ha consentito alla mia generazione di andare avanti era Helsinki».

Non è troppo
tardi per il duo Merkel/Steinmeier usare i concetti e le idee di quel tempo. È
senza senso limitarsi ad assecondare un Obama del tutto privo di idee
strategiche. Tutti possono notare come lui e Putin stiano guidando come in un
sogno direttamente verso un cartello con scritto: Vicolo Cieco.

«Il test per la
politica non è il modo in cui qualcosa comincia, ma come va a finire», così ha
sentenziato Henry Kissinger, anch”egli un vincitore del premio Nobel per la
pace. Dopo l”occupazione della Crimea da parte della Russia ha dichiarato: dovremmo
volere la riconciliazione, non il dominio. Demonizzare Putin non è una
politica. E un alibi per la sua mancanza. Da qui il consiglio di condensare i
conflitti, vale a dire rimpicciolirli, ridurli, e poi distillarli in una
soluzione.

Al momento (e
ormai da lungo tempo) l”America sta facendo il contrario. Tutti i conflitti
sono sistematicamente intensificati. L”attacco di un gruppo terroristico
chiamato Al-Qa”ida è trasformato in una campagna globale contro l”Islam. L”Iraq
viene bombardato con motivazioni dubbie. Poi l”aeronautica militare USA vola in
Afghanistan e Pakistan. Le relazioni con il mondo islamico possono
tranquillamente essere considerate compromesse.

Se l”Occidente
avesse giudicato l”allora governo USA che marciò sull”Iraq senza una
risoluzione dell”ONU e senza uno straccio di prova sull”esistenza di “Armi
di Distruzione di Massa” con gli stessi criteri oggi usati contro Putin,
in tal caso George W. Bush sarebbe stato bandito all”istante dal metter piede
nell”Unione Europea. Gli investimenti esteri di Warren Buffett avrebbero dovuto
essere congelati, l”esportazione di veicoli con marchi GM, Ford e Chrysler
vietata.

La tendenza
americana a imprimere un”escalation dapprima verbale e poi anche militare, l”isolamento,
la demonizzazione, e l”attacco ai nemici non si è dimostrata efficace. L”ultima
grande azione militare di successo condotta dagli Stati Uniti è stata lo sbarco
in Normandia. Tutto il resto – Corea, Vietnam, Iraq e Afghanistan – sono stati
un evidente fallimento. Lo spostamento di unità NATO verso il confine polacco e
l”idea di armare l”Ucraina è la continuazione di una mancanza di diplomazia con
i mezzi militari.

Questa politica
basata sul lanciare la vostra testa contro il muro – per giunta esattamente
verso il punto più spesso della parete – vi regala solo un mal di testa e poco
altro. E questo avviene considerando che il muro ha in realtà un”enorme porta
nella relazione dell”fra Europa e Russia. E la chiave di questa porta ha
un”etichetta con scritto “riconciliazione degli interessi”.

Il primo passo
è quello che Brandt chiamava “compassione”, cioè la capacità di
vedere il mondo attraverso gli occhi degli altri. Dovremmo smetterla di
accusare 143 milioni di russi di guardare al mondo in modo diverso rispetto a
John McCain.

Ciò che è
necessario è un aiuto per modernizzare il paese, nessuna sanzione che
diminuisca ulteriormente la ricchezza de danneggi i legami delle relazioni.
Anche le relazioni economiche sono relazioni. La cooperazione internazionale è
simile a una tenerezza tra nazioni perché tutti si sentono meglio dopo.

È ben noto che
la Russia sia una super-potenza energetica e al tempo stesso una nazione in via
di sviluppo industriale. La politica di riconciliazione e di reciproci
interessi dovrebbe cominciare da qui. L”aiuto allo sviluppo in cambio di
garanzie territoriali; il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier
disponeva perfino delle parole giuste per descrivere tutto ciò: partenariato di
modernizzazione. Deve solo rispolverarle e usarle come parole di buon auspicio.
La Russia dovrebbe essere integrata, non isolata. Piccoli passi verso questa
direzione sono meglio della grande assurdità rappresentata dalla politica di
esclusione.

Brandt e Bahr
non sono mai giunti allo strumento delle sanzioni economiche. Sapevano perché:
non ci sono casi registrati in cui i paesi sottoposti a sanzioni si siano
scusati per il loro comportamento e abbiano poi obbedito in seguito. Al
contrario: i movimenti collettivi iniziano a sostenere chi subisce le sanzioni,
come avviene oggi in Russia. Il paese non è quasi mai stato unificato intorno
al proprio presidente quanto adesso. Questo potrebbe quasi portarvi a pensare
che i sobillatori occidentali sono sul libro paga dei servizi segreti russi.

Un ulteriore
commento lo merita il tono del dibattito. L”annessione della Crimea era in
violazione del diritto internazionale. E nemmeno il sostegno ai separatisti in
Ucraina orientale riesce a conciliarsi con le nostre idee sulla sovranità
statale. I confini degli stati sono inviolabili.

Ma ogni atto
richiede un contesto. E il contesto tedesco è che siamo una società in libertà
vigilata che potrebbe non agire come se le violazioni del diritto
internazionale fossero iniziate con gli eventi in Crimea.

La Germania ha
mosso guerra contro i suoi vicino orientali due volte negli ultimi 100 anni.
L”anima tedesca, che in genere pretendiamo stia sul lato romantico, ha mostrato
il suo lato crudele.

Naturalmente,
noi che siamo venuti dopo possiamo continuare a proclamare la nostra
indignazione contro lo spietato Putin e appellarci al diritto internazionale
contro di lui, ma per il modo in cui sono le cose, questa indignazione
arriverebbe con un leggero rossore di imbarazzo. O, per usare le parole di
Willy Brandt: Â«le pretese assolute minacciano l”uomo».

Alla fine,
anche gli uomini che avevano ceduto alla febbre della guerra nel 1914 se ne
resero conto. Dopo la fine della guerra, i penitenti stilarono un nuovo
appello, questa volta mirante alla comprensione tra nazioni: Â«il mondo
civilizzato è diventato un terreno di guerra e un campo di battaglia. È tempo
che una grande marea di amore sostituisca l”onda devastante dell”odio.»

Dovremmo
cercare di evitare la deviazione attraverso i campi di battaglia del XXI
secolo. La storia non deve ripetersi. Forse possiamo trovare una
scorciatoia….

Traduzione
per Megachip a cura di Pino Cabras.

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