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'Quali giustificazioni per gli attacchi all''ISIS in Siria?'

'Intanto che bombardano l''ISIS, chiediamoci: Come è regolato l’uso della forza a livello internazionale? Cosa dice l''ONU? Analisi in punta di diritto.'

'Quali giustificazioni per gli attacchi all''ISIS in Siria?'
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1 Ottobre 2014 - 23.22


ATF

di
Vito Todeschini
*

Il
23 settembre 2014 gli Stati Uniti hanno iniziato la campagna di
bombardamenti contro le postazioni dello Stato Islamico (SI) in Siria
con il supporto di alcuni Stati arabi. La rilevanza di questa nuova
escalation militare richiede un’analisi di come essa possa
inquadrarsi alla luce del diritto internazionale. In questo articolo
mi propongo di chiarire tre questioni: le norme internazionali che
regolano l’
uso
della forza
, le giustificazioni alla base
delle azioni militari in Siria contro lo SI e le problematiche
giuridiche che queste ultime sollevano. Va da sé che l’analisi
proposta non intende sostenere o giustificare tali azioni, ma
solamente offrire a scopo divulgativo una lettura della questione
alla luce del diritto internazionale.

Come
è regolato l’uso della forza a livello internazionale?

L’articolo
2, paragrafo 4, della Carta
delle Nazioni Unite
(Carta ONU) pone un divieto generale agli
Stati di utilizzare la forza armata in modo unilaterale. A questo
divieto fanno da contrappunto tre eccezioni: la legittima difesa
contro un attacco armato (articolo 51 Carta ONU); l’autorizzazione
da parte del Consiglio di Sicurezza (articoli 39‒42 Carta ONU) ‒
ad es. il caso della Libia; il consenso prestato da uno Stato alla
conduzione di azioni militari straniere sul proprio territorio ‒ ad
es. i recenti bombardamenti compiuti dagli Stati Uniti in Iraq contro
lo SI. Al di fuori di tali eccezioni ‒ ed esclusi i casi di uso
minimo della forza per salvare propri connazionali all’estero ‒
l’uso unilaterale della forza armata da parte di uno Stato viola il
divieto posto dalla Carta ONU, e nei casi più gravi può
qualificarsi come un atto di aggressione.

Quali
giustificazioni possono avanzarsi per colpire lo SI in Siria?

Consideriamo
le citate eccezioni al divieto dell’uso della forza. Una di queste
può subito escludersi: l’autorizzazione da parte del Consiglio di
sicurezza dell’ONU. Come è ben noto Russia e Cina hanno minacciato
più volte di utilizzare il proprio potere di veto per bloccare
l’adozione di risoluzioni che autorizzino azioni militari in Siria.
Ripensamenti, seppur possibili, rimangano per ora improbabili. Vanno
quindi considerate le altre due opzioni.

Primo:
il consenso. Per attaccare lo SI in territorio siriano gli Stati
Uniti devono ottenere il consenso del governo di Bashar al-Assad.
Tale necessità deriva sia dal divieto dell’uso della forza di cui
sopra, sia dal principio di sovranità degli Stati e di
non-interferenza nella sovranità altrui.

Assad
ha recentemente affermato che non intende acconsentire ad azioni
militari straniere sul proprio territorio che non siano concordate
con il governo siriano. Gli Stati Uniti, dal proprio canto, rifiutano
di coordinare le proprie azioni militari con quello che è
considerato un nemico politico.

Assad
potrebbe però prestare il proprio consenso in segreto mantenendo
un’opposizione di facciata ‒ un’ipotesi non troppo lontana
dalla realtà. Gli Stati Uniti hanno infatti reso noto che
l’ambasciatore siriano presso l’ONU è stato avvertito dei
bombardamenti contro lo SI prima che questi avvenissero.

L’assenza di aperte
proteste o di reazioni militari da parte siriana farebbe pensare che
il consenso, in qualche modo, sia stato negoziato e ottenuto. Per
quanto realistiche, tuttavia, queste rimangono solamente delle
ipotesi. Un esplicito consenso da parte di Assad ad azioni militari
americane non è ancora stato apertamente concesso.

Legittima
difesa contro lo SI?

In
mancanza del consenso da parte dello Stato siriano l’unica opzione
sul tavolo è invocare le legittima difesa. Ai sensi dell’articolo
51 della Carta ONU la legittima difesa può essere sia individuale ‒
uno Stato può usare la forza armata direttamente contro lo Stato
aggressore ‒ che collettiva ‒ lo Stato vittima può chiedere a
uno o più Stati di intervenire in proprio soccorso.

Il
diritto internazionale prescrive determinati requisiti affinché la
forza armata possa utilizzarsi in legittima difesa: 1) uno stato deve
essere vittima di un attacco armato ‒ il quale consiste in un uso
della forza di una certa gravità e intensità, nonché su
determinata scala; 2) l’attacco armato deve essere imminente; 3)
l’uso della forza in risposta all’attacco armato deve essere
necessario ‒ lo Stato vittima deve trovarsi nella condizione per
cui l’uso della forza armata è l’unica alternativa possibile ‒
e proporzionato ‒ l’uso della forza è ammesso nella misura in
cui è teso a neutralizzare l’attacco in atto e ad evitare che ne
vengano condotti di ulteriori. Come e da chi potrebbe essere invocata
la legittima difesa nell’attuale situazione siriana?

Per
invocare la legittima difesa individuale gli Stati Uniti dovrebbero
essere essi stessi vittima di un attacco armato da parte dello SI.
Ciò finora non è accaduto, ragion per cui questa non può
costituire un’alternativa valida per utilizzare la forza.

Non
rimane che la legittima difesa collettiva, la quale è esattamente la
giustificazione di diritto internazionale che la rappresentante degli
Stati Uniti presso il Consiglio di sicurezza, Samantha Power, ha
offerto in una lettera ufficiale al Segretario dell’ONU Ban
Ki-moon. In tale lettera gli Stati Uniti affermano che l’Iraq ha
esplicitamente richiesto il loro intervento per porre fine agli
attacchi armati dello SI; e che l’azione militare americana si
rende necessaria a causa dell’incapacità del governo di Assad di
fronteggiare in maniera efficace il gruppo islamista.

Questa
possibilità potrebbe essere in linea con il diritto internazionale.
Tuttavia, essendo l’aggressore un gruppo armato situato nel
territorio di uno Stato sovrano, un ulteriore elemento è
indispensabile: la dimostrazione che lo Stato da cui ha origine
l’attacco armato sia non intenzionato (
unwilling)
o incapace (
unable) di
porre fine a tali attacchi. Nel nostro caso: che il governo di Assad
si mostri non intenzionato o incapace di fermare lo SI.

A
parte la difficoltà nei fatti di dare una chiara dimostrazione di
ciò, va detto che tale
unwilling/unable test
‒ come viene definito dagli studiosi di diritto internazionale ‒
trova solo parziale consenso tra gli Stati e tra i giuristi. I rischi
in seno a tale teoria sono evidenti: uno Stato potrebbe in qualsiasi
momento affermare la necessità di usare la forza contro un gruppo
armato presente nel territorio di un altro Stato, sulla base di una
supposta non volontà o incapacità del governo di quest’ultimo di
neutralizzare il gruppo in questione. In assenza di un’oggettiva
valutazione delle circostanze tale teoria potrebbe ben offrire il
destro ad abusi del diritto alla legittima difesa da parte di alcuni
Stati.

Non
è un caso che i partner occidentali degli Stati Uniti nella lotta
contro lo SI ‒ Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Australia e
Danimarca ‒ intendano almeno per il momento limitare il proprio
appoggio militare al territorio iracheno, avendo esplicitamente
affermato che non esistono basi giuridiche certe per condurre
attacchi in Siria.

Ragionamenti
di natura politica a parte, se la suddetta teoria trovasse maggior
consenso vi sarebbe meno riluttanza a giustificare azioni militari in
territorio siriano. In mancanza di valide alternative, tutavia, gli
Stati Uniti hanno deciso di basarsi su tale
unwilling/unable
test
, forse anche nella speranza che invocare
questa teoria nell’attuale situazione siriana possa far sì che
essa venga accettata da altri Stati e che nel tempo si consolidi in
una norma giuridica internazionale.

Conclusioni

Il
diritto internazionale prescrive un divieto generale dell’uso della
forza, fatta eccezione in casi di autorizzazione del Consiglio di
sicurezza dell’ONU, di consenso da parte dello Stato sul cui
territorio dovrebbe aver luogo l’intervento militare, e della
legittima difesa individuale o collettiva.

Allo
stato attuale i bombardamenti statunitensi delle roccaforti dello SI
in Siria possono trovare due giustificazioni. Una ufficiosa: il
consenso prestato dal governo di Assad, che però potrebbe essere
ritirato in qualsiasi momento e che sicuramente pone forti limiti
all’azione americana. L’altra ufficiale: la legittima difesa
collettiva in aiuto del governo iracheno. Trattandosi di attacchi
armati provenienti da un gruppo armato situato in territorio
straniero, tuttavia, quest’ultima opzione poggia necessariamente su
una teoria ‒ detta
unwilling/unable test
‒ non del tutto consolidata e accettata in diritto internazionale,
la quale non offre una base giuridica particolarmente solida.

Una
nota finale: varie fonti riportano la notizia che in Siria gli Stati
Uniti non si sono limitati ad attaccare lo SI. Uno dei bersagli dei
bombardamenti sarebbe il gruppo Khorasan ‒ finora sconosciuto al
grande pubblico ‒ apparentemente affiliato ad Al-Qa”ida. Al
riguardo la citata lettera di Power indirizzata al segretario ONU si
limita ad affermare che tale gruppo “costituisce una minaccia
terroristica per gli Stati Uniti e i loro alleati”.

Mentre
vengono offerte ampie giustificazioni per gli attacchi contro lo SI,
non sembra esservi la stessa esigenza per ciò che riguarda il
misconosciuto gruppo Khorasan. A quanto pare gli Stati Uniti
intendono giustificare l’uso della forza in base al legame del
gruppo con Al-Qa”ida, con cui gli Stati Uniti affermano di essere in
guerra e per cui già esiste un’autorizzazione del Congresso
americano ad usare la forza. In sostanza, considerandosi parte di un
conflitto armato con Al-Qa”ida sin dal 2001, gli Stati Uniti non
reputano necessarie nuove giustificazioni per utilizzare la forza
armata contro gruppi ad essa affiliati o associati.

Tale
ragionamento è però basato più sul diritto costituzionale
americano che sul diritto internazionale, e le azioni contro il
gruppo Khorasan potrebbero risultare illegali alla luce del diritto
internazionale ‒ così come le azioni militari contro lo SI
poggiano per ora su basi giuridiche non particolarmente solide.

Il
rispetto della legalità internazionale non è un fattore secondario
ai fini della creazione di un ambiente politico adatto a sconfiggere
lo SI. Gli strateghi e i politici statunitensi dovrebbero tenerlo
bene a mente.

*
Vito Todeschini è dottorando in diritto internazionale presso
l’Università di Aarhus, Danimarca. Nelle sue ricerche si occupa di
diritto dei conflitti armati, diritti umani, diritto internazionale
penale e uso della forza internazionale.
Può
essere contattato all’indirizzo:
vitot@law.au.dk.

Riferimenti

Jennifer
Daskal
,
Ashley
Deeks
and
Ryan Goodman
,
Strikes in Syria: The International Law Framework, Just Security, 24
September 2014
(
http://justsecurity.org/15479/strikes-syria-international-law-framework-daskal-deeks-goodman/);

Letter
by the

US
Representative to the UN, Samantha Power
,
to Secretary-General Ban Ki-moon concerning the international law
justification for the US use of force in Syria
(
http://justsecurity.org/15436/war-powers-resolution-article-51-letters-force-syria-isil-khorasan-group/);

Milena
Sterio
,
The Legality of ISIS Air Strikes Under International Law,
IntLawGrrls, 12 September 2014
(
http://ilg2.org/2014/09/12/the-legality-of-isis-air-strikes-under-international-law/);

Ashley
Deeks
,
Narrowing Down the U.S. International Legal Theory for ISIS Strikes
in Syria,Lawfare, 12 September 2014
(
http://www.lawfareblog.com/2014/09/narrowing-down-the-u-s-international-legal-theory-for-isis-strikes-in-syria/);

Lorenzo
Gradoni
,
Gli obblighi erga omnes, l’idioma dell’egemone e la ricerca del
diritto. Ancora sull’intervento contro l’ISIS e oltre, SIDIBlog,
24 settembre 2014
(
http://www.sidi-isil.org/sidiblog/?p=1085#more-1085);

Paolo
Picone
,
Considerazioni sull’intervento militare statunitense contro l’Isis,
SIDIBlog, 5 settembre 2014
(
http://www.sidi-isil.org/sidiblog/?p=1070).

Fonte:
FocusOnSyria.org.

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