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Intervista di Andrea Curreli a Gian Micalessin.
tre dove si combatte una guerra totale”. Un conflitto che coinvolge le
forze governative di Bashar al-Assad, l’Isis e gruppi di ribelli
jihadisti o qaedisti e che continua a mietere vittime. Il tutto avviene
mentre l’amministrazione Obama cerca con insistenza, ma senza una
strategia chiara, la soluzione per una crisi che ha contribuito a
creare. Mentre il Papa richiama l’attenzione sul dramma della minoranza
cristiana e mentre l’Italia si allinea su posizioni statunitensi ed
europee a scapito dei suoi interessi nazionali. E” questo il quadro che
il giornalista Gian Micalessin traccia al rientro dal suo nono viaggio
in Siria a partire dal 2012. Micalessin è un inviato di guerra “vecchio
stile”, un reporter che ama raccontare la guerra dalla prima linea e non
dalla hall di un albergo.
“E” uno scenario di guerra totale che ha provocato più di duecentomila 
morti. Il territorio è sostanzialmente diviso in tre: una parte sotto il
 controllo del governo, un’altra sotto quello dell’Isis e la terza sotto
 quello di altri gruppi  jihadisti o qaedisti”.
“La situazione resta critica ma è migliorata da quando, nella passata 
primavera e dopo un anno  di assedio, le forze di Assad hanno riaperto 
una strada importante con  Homs che garantisce viveri, armi  ed il 
semplice transito dei  cittadini. Gli italiani, che qualche anno fa 
hanno visitato il centro storico di questa città, possono dimenticarsi 
dei tesori artistici e archeologici che hanno visto. La prima linea 
passa proprio attraverso la cittadella e oggi si combatte a colpi di 
mortaio sotto il fuoco dei cecchini. I ribelli considerano strategici il
 centro ed il quartiere armeno e cristiano di Midan. Gli abitanti di 
questo quartiere temono un nuovo tentativo di genocidio a distanza di 
cent’anni da quello del  1915. La situazione è peggiore però nelle zone 
limitrofe ad Aleppo dove l’esercito incontra grandi difficoltà contro i 
ribelli. Questo è dovuto al fatto che continuano ad affluire dalla 
Turchia ribelli anti-Assad che godono del sostegno non solo di Ankara, 
ma anche dell’Arabia Saudita e del Qatar. Nessuno lo dice, ma la Turchia
 continua ad appoggiare l’Isis, il Qatar sostiene gruppi dichiaratamente
 qaedisti  e l’Arabia Saudita fazioni simili con diverse tonalità di 
jihadismo”.
sono Paesi fedelissimi degli Stati Uniti. La strategia di Obama appare
sempre più confusionaria. E” così?
“La politica di Obama cambia costantemente. La Cnn riferisce 
che l’amministrazione oltre a proseguire la lotta all’Isis, intende 
ripristinare anche quella al regime Assad. Obama vorrebbe sostenere 
ribelli islamici moderati e utilizzarli sia contro l’Isis che contro 
Assad. Ma questa strategia non è sostenibile”.
“Per il semplice motivo che questi gruppi islamici non esistono. Quelli 
che gli Usa considerano ”moderati” qualche giorno fa hanno combattuto 
una battaglia al confine con la Giordania alleandosi con gruppi legati 
ad Al Qaeda. Altri presunti ribelli moderati hanno minacciato di passare
 con l’Isis se non dovessero cessare i bombardamenti americani. E’ 
evidente che questa strategia non tiene conto della realtà e di che tipo
 di forze ci sono in campo”.
“Fino al 2012 le armi che i ribelli jihadisti libici avevano sottratto a
 Gheddafi sono arrivate in Turchia e una parte sono finite nella mani 
dell’Isis. Chi coordinava questo traffico era Chris Stevens, 
l’ambasciatore americano in Libia morto in un attentato a Bengasi l’11 
settembre del 2012. Stevens è stato ucciso da quei ribelli qaedisti con i
 quali aveva stretto rapporti per armare i ribelli siriani contro Assad.
 Non dimentichiamoci che l’Isis riceve finanziamenti dal Kuwait, il 
Paese che deve la sua indipendenza agli Stati Uniti che lo liberarono 
dopo l’invasione da parte di Saddam Hussein. L’Arabia Saudita, altro 
alleato Usa, ha interrotto da tempo ogni tipo di rapporto con l’Isis, ma
 per alcune distanze che si sono venute a creare con Qatar e Turchia 
all’interno dell’asse sunnita. Anche se non sono legati all’Isis, i 
gruppi finanziati dai sauditi non possono essere definiti in nessun modo
 moderati perché dichiaratamente jihadisti”.
“I cristiani consideravano quello di Assad un regime, ma riconoscono che
 per trent’anni hanno goduto di una convivenza pacifica con sunniti e 
alawiti. In Siria c”era una situazione migliore rispetto a quella di 
tanti altri Paesi islamici. Bashar al-Assad oggi per loro rappresenta 
una diga che li protegge da chi teorizza il genocidio e vuole sgozzarli.
 In tutte le zone dove sono arrivati i gruppi di ribelli jihadisti, i 
cristiani sono stati costretti a fuggire.  In alcune città, cadute in 
mano ai ribelli, i cristiani vivono come nelle catacombe: non possono 
andare in chiesa, esporre simboli religiosi e sono costretti a pregare 
solo in casa. Nella città di Qamishli vicino al confine turco la 
comunità cristiana è quasi estinta. Tutti i giorni ci sono attacchi, 
razzie da parte dell’Isis che rapisce i cristiani e se non viene pagato 
un riscatto li uccide”.
Assad un capo di stato degno di stima (ha ricevuto su iniziativa del
presidente della Repubblica Napolitano nel 2010 il titolo di Cavaliere
di Gran Croce decorato) poi è diventato un sanguinario dittatore. Come
mai?
“Anche John Kerry non ha esitato a definire Assad diabolico come Hitler 
dimenticandosi che qualche anno prima sedeva tranquillamente alla sua 
tavola. Non cӏ di che sorprendersi se si parla di politica 
internazionale. Per ciò che riguarda l’Italia però ci si dimentica che 
eravamo il secondo partner commerciale della Siria e le nostre aziende 
facevano grandi affari con Damasco. Poi abbiamo deciso di suicidarci, 
per allinearci con quella che era diventata la politica estera europea e
 più in generale del mondo occidentale nei confronti di Assad. Nulla di 
diverso da quello che abbiamo fatto in Ucraina e ancora prima in Libia 
dove abbiamo contribuito a far cadere un regime a scapito dei nostri 
interessi nazionali”.
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