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La polveriera Yemen

Yemen – come Libia, Siria, Iraq: antologia degli errori delle potenze che fanno nascere prosperare il terrorismo jihadista e lasciano disgregare uno Stato [Alberto Negri]

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27 Marzo 2015 - 08.26


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di Alberto Negri.


Lo Yemen – come Libia, Siria, Iraq – è un’antologia degli errori di
grandi e medie potenze
che fanno nascere e prosperare il terrorismo
jihadista
e lasciano disgregare uno Stato nel cuore della penisola
arabica.

Sulle rotte dello Stretto di Bab el-Mandeb, di fronte al porto
di Aden, passa il 40% del petrolio mediorientale. Quello stesso porto e
terminale petrolifero che adesso, con il deposto presidente Mansour Hadi
ancora in fuga, sta per cadere in mano ai ribelli sciiti Houthi ed era,
fino a poco tempo fa, la base della flotta internazionale che conduceva
la lotta alla pirateria somala.

Ma quando nel 2009, tra le montagne scoscese e i deserti pietrosi del
Nord, cominciò la rivolta degli Houthi il mondo guardava, come spesso
accade, da un’altra parte. Nessuno si chiedeva cosa volessero gli Houthi
e il defenestrato generale Petraeus, allora comandante del Centcom,
cominciò con i droni la battaglia contro al-Qa”ida informandoci che qui
c’erano più qaedisti che in Afghanistan e nel Waziristan pakistano.

Cinque anni dopo ad al-Qa”ida nella penisola arabica (Aqpa), che
proprio dallo Yemen ha rivendicato l’attentato a Charlie Hebdo nel
gennaio scorso, si è aggiunto il Califfato che recluta proseliti e
organizza attentati kamikaze spaventosi: 150 morti venerdì scorso in due
moschee sciite a Sanaa.

Ma questo è assai più di un conflitto tra sciiti e sunniti e di una guerra per procura tra Riad e Teheran.

Lo Yemen è un fiasco colossale per gli americani e per i loro storici
alleati sauditi
che ora ammassano truppe al confine per un intervento
militare
che potrebbe rivelarsi assai più complicato del previsto, tanto
è vero che l’Egitto del bellicoso generale Al-Sisi si è sfilato e la
Lega Araba esita a prendere iniziative.

Gli Houti, portabandiera dello
sciismo zaydita che fino al 1960 ha dominato per secoli il Paese, nel
settembre scorso sono discesi dai loro santuari del Nord conquistando
Sanaa con l’appoggio finanziario e militare e dell’Iran, sciogliendo poi
nel gennaio scorso un governo e un parlamento ridotti a ectoplasmi come
del resto lo stesso presidente Hadi, comandante in capo di un esercito
senza truppe.

Un vuoto di potere che gli Houthi hanno riempito alleandosi con le
brigate fedeli all’ex presidente Abdullah Saleh che ieri ha mandato i
suoi uomini a occupare l’aereoporto di Aden. Una rivincita non da poco
per un raìs che dopo trent’anni al potere era stato sbalzato di sella
nel 2012 nell’ennesima illusoria primavera araba.

Il fallimento americano è bruciante perché mette in dubbio tutta la
strategia del “leading from behind”, cioè guidare da dietro la lotta al
terrorismo e indirizzare gli eventi mediorientali. Soltanto sei mesi fa,
per giustificare il “non intervento” in Siria, il presidente Barack
Obama aveva citato lo Yemen come modello vincente nella lotta al
terrorismo

«Noi li uccidiamo dall’alto mentre sosteniamo i partner sul
campo di battaglia: una strategia che abbiamo perseguito con successo in
Yemen e in Somalia».

Questo successo sbandierato da Obama si è tramutato in un disastro.
Non soltanto al-Qa”ida imperversa in Yemen, con la concorrenza del
Califfato, ma gli Houthi, gruppo sciita sostenuto dall’Iran e nemico
giurato dell’Arabia Saudita, si è impadronito della più importante base
americana mettendo le mani su aiuti militari per 500 milioni di dollari
con cui gli Stati Uniti avevano inutilmente foraggiato l’esercito di
Sanaa.

La débâcle saudita, per i suoi precedenti, forse è ancora più
umiliante. Nel 2009 Riad aveva cominciato a bombardare gli Houthi al
Nord ma la guerriglia, affamata e senza grandi mezzi militari, aveva
resistito ai raid mentre gli ufficiali sauditi, in tenuta da battaglia,
attraversavano ogni giorno il confine per assoldare i militari yemeniti
che avrebbero dovuto fare la guerra ai ribelli. Ma questi poveri
soldatini combattevano per denaro, certo non per convinzione. Fu
un’operazione fallimentare che dovrebbe essere rimasta ben impressa ai
sauditi.

Il regno dei Saud dal punto di vista geopolitico sta vivendo uno dei
momenti più difficili della sua storia recente
: a Nord confina con il
Califfato e con le milizie sciite impegnate in Iraq nell’offensiva di
terra allo Stato Islamico; a Sud è a stretto contatto con i nemici
sciiti Houthi, al Qaeda e ora anche con l’Isil. Ha perso l’alleato
Mansour Hadi e sta per abbandonare Aden, terminale petrolifero anche di
Riad.

È una sorta di nemesi per i custodi di Mecca e Medina. Lo Yemen è
considerato il “giardino di casa”, dove i sauditi hanno sempre
influenzato le politiche locali manovrando le fazioni con le loro
abbondanti riserve di petrodollari. 

Ma con l’irruzione degli sciiti il
meccanismo si è inceppato, come del resto è già accaduto altre volte
quando il regno wahabita ha appoggiato i gruppi radicali più estremisti,
ma vicini all’ideologia fondamentalista del regno, che poi sono
sfuggiti di mano e hanno destabilizzato il Medio Oriente. Impareranno
mai la lezione?


Fonte: Il Sole 24 Ore.

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