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'Turchia all''Europa: arrendetevi!'

'Erdogan ha 3 punti di forza: la paranoia europea per i profughi, la debolezza UE, L’azione disgregatrice che svolgono i Paesi dell''Est Europa [Fulvio Scaglione]'

'Turchia all''Europa: arrendetevi!'
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9 Marzo 2016 - 06.27


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di Fulvio Scaglione.


Siamo chiari. Quello con la Turchia che non è stato firmato ieri a Bruxelles ma che sarà presto firmato altrove, non è un trattato: è una resa. Il sultano Recep Erdogan ha mandato il premier Davutoglu a presentare alla Ue la lista della spesa:  non più tre ma sei miliardi di euro per dare un minimo di accoglienza ai profughi della Siria; niente più visti per i cittadini turchi che vogliono entrare nello spazio di libera circolazione interno alla Ue; ripresa delle trattative per l’ingresso della Turchia nella Ue, con la tacita intesa che l’ingresso dovrà prima o poi avvenire.

Insomma: un ultimatum. Erdogan ha tre punti di forza.

  1. La paranoia europea per i profughi. Siamo un continente ricco, vecchio (in Italia l’età media è sui 45 anni, in Germania sui 46; in Siria, per fare un esempio, il 52% della popolazione ha meno di 24 anni) e spompato, che ormai ha paura di tutto. I flussi migratori sono, ovviamente, un problema serio ma nulla che un organismo come la Ue, con 28 Paesi e 500 milioni di abitanti, non possa affrontare. A patto però di avere una visione, e una politica per realizzarla. A noi mancano sia l’una sia l’altra.
  2. La debolezza della Ue. Non contiamo nulla, non c’è una crisi, che sia quella della Libia o quella della Siria, l’Ucraina o lo Yemen, in cui riusciamo a spendere una parola come Europa. Quando va proprio bene, andiamo al traino di qualcun altro: una volta gli Usa, un’altra la Germania, mentre Francia e Gran Bretagna fanno ciò che vogliono (Yemen, Libia, Siria…), di solito qualcosa di ignobile o dannoso.
  3. L’azione disgregatrice che, nella già debolissima Europa, svolgono i Paesi dell’ex Est, sempre alle prese con vecchi fantasmi e nuove pretese. A Polonia, Repubblica Ceca, i Baltici ciò che dice o pensa Bruxelles fa un baffo. Per loro la Ue è un bancomat. Dal punto di vista politico per loro conta assai più ciò che vuole Washington, e sappiamo bene quanto amore ci sia alla Casa Bianca per il Sultano della Turchia.


Turchia in Europa

Su questi punti di forza la Turchia di Erdogan può farsi valere con facilità. E attenzione: ciò che Erdogan vuole non sono quei sei miliardi. Lui vuole entrare in Europa da signore, da primo della classe. Vuole ottenere adesso, per la “sua” Turchia, per il Paese fino a qualche anno fa dinamico e oggi incanaglito fino a non poter più sopportare nemmeno un giornale libero, un’assoluzione totale e permanente, un lasciapassare senza condizioni. Vuole una poltrona nel salotto buono, al tavolo dei nostri Paesi, sempre tanto impegnati a parlare di libertà e democrazia.

In cambio la Turchia di Erdogan offre poco o nulla. Promette di combattere i trafficanti di esseri umani, mentre essa stessa traffica con i profughi, aprendo e chiudendo il confine con la Siria e le porte dei campi profughi secondo quanta pressione le serva mettere sull’Europa. Dice che si prenderà un migrante respinto dalla Grecia per ogni migrante che sarà sistemato in Europa, sapendo bene che avrà le varie Ungheria e Polonia a tenergli bordone: loro non vogliono nemmeno un profugo, la Turchia potrà tirarsi quindi indietro a piacimento. La Turchia, infine, ha già accolto in qualche modo quasi tre milioni di siriani ma non offre alcuna garanzia su come quei famosi sei miliardi saranno spesi.

Così finiremo col cedere, e magari col prenderci infine in casa, uno dei Paesi che più hanno collaborato con l’Isis, fornendogli armi, denari e foreign fighters attraverso il confine con la Siria ora chiuso ai profughi. La Turchia che soffoca la stampa, mette in galera i giornalisti e gli oppositori, manda i carri armati nelle città dei curdi. La verità è che questa Europa in cui abbiamo tanto creduto merita di sprofondare. E speriamo lo faccia solo ne ridicolo e non nella tragedia.




ARTICOLO CORRELATO:

Pino Cabras, Italia-UE, una crisi dentro una crisi più grande, 18 gennaio 2016.



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