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Bombasticamente Hillary

Washington con Obama è stata la grande protettrice dei ribelli siriani, tanto da aver inviato laggiù armamenti, dollari e la Cia per addestrarli. [Stefania Elena Carnemolla]

Bombasticamente Hillary
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9 Aprile 2017 - 17.12


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di Stefania Elena Carnemolla

Di lei, nei Balcani, si dice ancora che è il demonio. Dargli torto, a chi la dipinge così.

Lei, Hillary Rodham Clinton, la bombastica, la sorella americana dei Fratelli

Musulmani, la sodale delle fallimentari Primavere Arabe, la candidata dei Sauditi,

perduta la Casa Bianca, è tornata a predicare il suo credo guerrafondaio, vomitando

sul canale Nbc News, intervistata da Nicholas Kristof del New York Times, tutto il suo

astio contro il presidente siriano Bashar al Assad, invocando un intervento militare

contro Damasco: “Bombardateli tutti”. Subito dopo una pioggia di missili Tomahawk,

partiti da due navi militari americane, si è abbattuta sulla base aerea di Al Sharyat

in Siria, avamposto della lotta contro il Daesh. Un regalo all’Isis.

Bombasticamente Hillary, con Donald Trump, lo Scilla e Cariddi della Casa Bianca, un

giorno qua, l’altro là, che con la sua mossa l’ha fatta sentire come ai bei tempi degli

attacchi di Democratici e Repubblicani contro paesi sovrani.

Quando alla Casa Bianca c’era ancora Obama un sondaggio del Pew Research Center

di Washington rivelò come il cinquanta per cento degli americani non sapesse dove

fosse la Siria. Fra gli intervistati molti elettori democratici, quelli che votavano Obama

e che ora speravano attaccasse la Siria perché Bashar al Assad “usa armi chimiche”.

“Dov’è la Siria?” “È questa?” “No, questo è l’Egitto”.

Un po’ come quando durante una visita a una scuola russa fu mostrata alla cancelliera

tedesca Angela Merkel una cartina senza l’indicazione dei paesi e le fu chiesto dove

fosse Berlino. “Dev’essere più o meno qui”. “No, quella è Mosca”. “Oh, la Russia è così

vicina?” fu la risposta della cancelliera.

Un po’ come Sarah Palin, l’ex governatrice repubblicana dell’Alaska, che dopo

l’attentato di Boston ad opera dei due fratelli ceceni Tamerlan e Dzokhar Tsarnaev,

chiese d’invadere la Czech Republic, la Repubblica Ceca, e chissà come si saranno

sentiti a Praga.

Un po’ come quando nel 2003 la Cia reclutò in Iraq informatori locali, nome in codice

Rockstar, dicendo che grazie a uno di loro, quello con il satellitare Thuraya, ora si

sapeva che a Dora Farm c’era il bunker di Saddam Hussein. Dopo la guerra si scoprì

che David Toomey e Mark Hoehn, partiti con i loro caccia F-117 dalla base di al Udaid

nel Qatar, avevano bombardato il nulla: il bunker di Saddam non era mai esistito.

Un po’ come quando il 20 agosto 1998 alcuni missili americani distrussero la fabbrica

di medicinali al Shifa, in Sudan, perché era una fabbrica di gas nervino. Non era vero.

La Casa Bianca con Bill Clinton disse che la Cia aveva trovato tracce di gas nervino nel

terreno poco fuori la fabbrica. Tempo dopo si scoprì che la Cia aveva costruito prove

false, contaminando altrove un campione di terra. “Non c’era alcuna prova che

l’impianto producesse o immagazzinasse gas nervino” fu, infatti, l’accusa. Né era vero

che la fabbrica fosse in affari con Osama bin Laden, che ai tempi viveva a Khartoum.

Dopo il bombardamento molti in Sudan morirono per mancanza di medicinali, quelli

che la al Shifa produceva da anni. Nel 1999, dopo un’indagine del Bureau of

Intelligence and Research, il New York Times scrisse: “Ora gli analisti hanno

rinnovato i loro dubbi e hanno detto all’assistente del segretario di Stato Phyllis Oakley

che le prove false fornite dalla Cia, sulle quali fu basato l’attacco, erano inadeguate.

Oakley chiese loro di controllare nuovamente, poiché ci potevano essere altre

informazioni che non avevano visto. La risposta arrivò presto, non c’erano ulteriori

prove. Oakley convocò tutto il suo staff e tutti concordarono sul fatto che

contrariamente a ciò che diceva l’amministrazione, le argomentazioni che collegavano

al Shifa a bin Laden o ad armi chimiche erano deboli”.

Un po’ come quando il 16 marzo 2003 a Praia da Vitória, nelle Azzorre, il presidente

americano George W. Bush, il premier spagnolo José María Aznar e quello britannico

Tony Blair si riunirono, ospiti del primo ministro portoghese José Manuel Durão

Barroso, futuro presidente della Commissione Europea, per dare il via all’invasione

dell’Iraq perché c’erano le armi di distruzione di massa di Saddam. Le armi non

c’erano, ma l’Iraq fu attaccato, dopo che a New York il segretario di Stato di Bush,

Colin Powell, tirò fuori davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu una finta provetta,

dicendo: “Ecco le armi di Saddam”.

Nel 1984 durante la guerra contro l’Iran, quando Saddam ancora possedeva armi come

gas mostarda, sarin, tabun, soman e altri aggressivi chimici, non che l’Iran non ne

avesse di sue, Donald Rumsfeld, che nel 2003 da segretario della Difesa di Bush

ordinerà l’attacco contro l’Iraq, raggiunse Baghdad come inviato del presidente Ronald

Reagan per stringere rapporti con Saddam, che si sperava uscisse vittorioso dal

conflitto contro l’Iran dell’ayatollah Khomeini. “Il fatto che negli anni Ottanta Saddam

fosse in possesso di armi chimiche lasciava indifferenti i politici americani” così,

tempo fa, Thomas S. Blanton, direttore del National Security Archive.

Così va il mondo. Un po’ come oggi con le armi chimiche del presidente siriano Bashar

al Assad, con la Casa Bianca che, con Obama, minacciò: “L’uso di armi chimiche da

parte di Damasco è la linea rossa, oltrepassata quella, attaccheremo”. E mentre Obama

preparava la sua guerra, il New York Times gli ricordò i tanti milioni di dollari con cui

la Cia aveva corrotto, anche sotto la sua presidenza, il presidente afghano Hamid

Karzai e il suo clan di signori della guerra, giuristi, trafficanti d’oppio, talebani. Dopo

le rivelazioni del quotidiano newyorkese, la Cia si chiuse a riccio e anche Karzai

s’ammutolì: “Gli Stati Uniti sono in Afghanistan la più grande fonte di corruzione” così

un alto ufficiale americano. Ciononostante Obama continuò a pensare ai fiumi di

dollari e alle armi per i ribelli siriani. Una buona notizia per la lobby delle armi e la

società statunitense, quella dell’America purificatrice del mondo: “È giusto armare i

ribelli, sarebbe un segnale per Bashar al Assad che usa armi chimiche”. Questo

nonostante non ci fossero le prove che Damasco le avesse usate. Una situazione

imbarazzante, tanto da spingere Gary Schmitt, condirettore del Marilyn Ware Center

for Security Studies dell’American Enterprise Institute, a chiedere alla Casa Bianca

d’intervenire militarmente anche in assenza di armi chimiche. L’American Enterprise

Institute di Washington è un think tank conservatore, già fucina di consiglieri

dell’amministrazione Bush, e che con i Democratici al potere fosse uno di loro a

spingere per un attacco, sventolando contestualmente la solita foglia di fico dei

corridoi umanitari, non meravigliò.

Washington con Obama è stata la grande protettrice dei ribelli siriani, tanto da aver

inviato laggiù armamenti, dollari e la Cia per addestrarli. Tempo fa la Cnn riferì che,

grazie a società del settore della difesa, la Casa Bianca e i suoi alleati occidentali

insegnavano ai ribelli come “proteggere le scorte di armi chimiche in Siria”. Né è un

caso che all’epoca Bashar Ja’afari, rappresentante della Siria all’Onu, mettesse in

guardia contro il pericolo di attacchi chimici pensati a tavolino per accusare Bashar al

Assad e aprire il varco a un attacco militare dell’Occidente.

E quella testimonianza, censurata, dei cristiani siriani che accusarono i ribelli,

raccontando del lancio, nella zona di Aleppo, di un missile con carica chimica. E

l’accusa di Carla Del Ponte, ex procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale

per la ex Jugoslavia: “I ribelli siriani hanno usato gas”. “Abbiamo potuto raccogliere

alcune testimonianze sull’utilizzo di armi chimiche in Siria, ma non da parte delle

autorità governative, bensì degli oppositori”. Una tegola sulla Casa Bianca.

Ai tempi Gregory Koblenz, uno specialista di guerra chimica e biologica del Council on

Foreign Relations, rivelò che negli Stati Uniti le accuse a Bashar al Assad sull’uso di

armi chimiche si erano basate su prove a dir poco sorprendenti. Fra queste un video, di

matrice ignota, dove si vedevano pazienti di un ospedale siriano in preda a reazioni

non necessariamente riconducibili al sarin e che anzi potevano essere semplici reazioni

a sostanze d’ambiente ospedaliero, né si capiva chi fossero quelle persone o cosa gli

fosse accaduto. E ancora, campioni di terra e tessuto umano portati in laboratori

inglesi e statunitensi e qui sottoposti ad analisi: “Inquinare campioni con sarin è un

gioco da ragazzi” così l’esperto “e poi nessuno sa da dove vengano”. Un po’ come

quando in Sudan la Cia avvelenò campioni di terreno cospargendoli altrove di gas

nervino.

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