‘
di Diego Barsotti – greenreport.it.
Il primo marzo, con ogni probabilità , sarà sciopero. Con ogni probabilità perché accanto allo sciopero degli stranieri che il popolo della rete sta costruendo, si affiancherà probabilmente lo sciopero dal consumo. La spiegazione è abbastanza banale: un lavoratore immigrato è spesso sottoposto al ricatto occupazionale e potrebbe non avere la forza di pretendere quello che è un suo diritto.
Â
Scioperando dal consumare, quindi, si potrebbe dare una grossa mano dal punto di vista della visibilità al popolo giallo (colore scelto dai promotori, dopo che il viola ha contraddistinto il No B day, nato sempre da quella fucina di società impegnata,  che sono diventati i social network, come un tempo forse lo sono stati i circoli ricreativi di partito).
Ma l”accostamento tra immigrazione e consumi è ben più solido e forse sfugge perfino agli stessi organizzatori. Se le arance del sud Italia e di Rosarno oggi arrivano nei nostri mercati a 1 euro al chilo è grazie proprio allo sfruttamento di manodopera a basso costo, che scarica su questa ingiustizia sociale il reale costo del prodotto in sé. Il meccanismo lo conosciamo fin troppo bene: il costo del lettore dvd che noi paghiamo 50 euro è dato dal fatto che dalla fase di estrazione delle materie prime, passando per i vari trasporti, i vari confezionamenti e infine dallo smaltimento finale, in ogni fase c”è qualcuno che quasi sicuramente paga con il suo sfruttamento il reale valore dell”oggetto, ben più alto di quello che paga il consumatore finale (o forse sarebbe meglio dire l”utilizzatore finale).
Del resto la deprivazione del capitale umano (dal punto di vista sociale quindi) e la deprivazione materiale delle risorse naturali (dal punto di vista ambientale) sono alla base di ogni conflitto presente passato e futuro della storia di questo pianeta. E non è allora troppo esagerato mettere in relazione le sanguinose rivendicazione terroristiche angolane con le marche delle scarpette delle stelle del calcio africano, che illuminano e fanno da motore ai campionati europei, ma che magari poggiano la loro ragion d”essere (profitto) proprio sullo sfruttamento delle risorse naturali africane e sulle risorse sociali del sud est asiatico, risorse entrambe a costo quasi zero.
Ecco perché uno sciopero dei consumi da affiancare a quello degli stranieri non è poi un”idea così peregrina, ecco perché la certificazione etica sventolata dal ministro Zaia all”indomani dell”orribile pagina di Rosarno dovrebbe essere vista come un obbligo morale di tutti i Paesi.
Ecco perché un life cycle assessment (non solo ambientale ma anche sociale) sarebbe uno strumento utile (ancorché complicato da realizzarsi) per fare scelte consapevoli nella quotidianità , ecco perché una contabilità ambientale e sociale sarebbe l”unico modo per dare ai governi lo strumento con cui operare quella riconversione del modello produttivo che nonostante tutto (e nonostante perfino Richard Posner vada a ripetere ormai da mesi che la fiducia nel mercato autoregolamentato è stato un madornale errore della sua Scuola di Chicago, «scuola ormai da abolire») continua ad apparire come un”ipotesi remota e una necessità lontana.
Almeno finché qualcuino non indosserà gli occhiali e vedrà il baratro spalancarsi sotto ai suoi piedi.
Fonte: http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=2779.
Â
‘