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'È tempo che la Grecia si levi la camicia di forza dell''euro'

'È tempo che la Grecia si levi la camicia di forza dell''euro'
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15 Settembre 2011 - 18.45


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cruccoliodi James Meadway – neweconomics.org.

Il fatto che la Grecia stia importando il suo stesso olio d”oliva dalla Germania dovrebbe essere preso come un chiaro segnale che è urgente intraprendere un nuovo sentiero economico perché essa possa sopravvivere alla crisi dell”eurozona. Non importa che il carbone sia portato a Newcastle[1]. La Grecia sta importando l”olio d”oliva dalla Germania. Questo è il risultato della crisi dell”eurozona. La recessione in Grecia, che è stata sospinta dalla troika Unione Europea, BCE e Fondo Monetario, ha condotto a un crollo dei prezzi interni. Di conseguenza i coltivatori hanno drasticamente ridotto la produzione. Contemporaneamente l”euro tiene fissi i tassi di cambio. Per oltre un decennio è stato più economico importare dalla Germania.

 

Così ora i consumatori greci comprano un 1,5 milioni di euro di olio dalla Germania. Per soprammercato molto di questo olio in origine era, ovviamente, greco.

Ora è veramente successo che il carbone sia stato trasportato a Newcastle. Ma non è come se venisse estratto in loco.

 

Il giocattolo rotto.

Stiamo chiaramente per raggiungere il punto di non ritorno nella vicenda dell”euro, o al limite per quanto riguarda la presenza della Grecia nell”area della moneta comune. La ragione è tuttavia alquanto elementare. È semplicemente impossibile che riesca a ripagare il suo debito sovrano. Ad un certo punto dovrà forzatamente dichiarare il default, o al limite ripudiare il debito in maniera parziale.

Ma fino a che il debito greco è posseduto dalle banche francesi e tedesche il rischio di default minaccia la stabilità del sistema finanziario europeo.

È sempre stato un equilibrio precario: da una parte le esportazioni greche troppo care per l”eurozona e dall”altra parte viceversa le importazioni dal nord Europa a prezzi competitivi hanno prodotto un enorme squilibrio commerciale. La Grecia, come Spagna, Portogallo e Irlanda hanno affrontato crescenti deficit nella bilancia dei pagamenti, accompagnati da un crescente surplus nel nord Europa, specialmente in Germania.

Questi deficit erano finanziati dal riciclo dei surplus dei paesi del nord in debiti del sud, attraverso il sistema finanziario europeo. Surplus e risparmi da un lato abbinati a deficit e debiti dall”altro.

Come nella rivendita dell”olio d”oliva, le banche tedesche hanno preso gli avanzi commerciali guadagnati dalle esportazioni in Grecia e glieli hanno offerti come crediti a buon prezzo. La giostra del debito ha continuato a girare. Per un periodo sembrava anche che funzionasse. La crescita economica nei paesi del sud, pompata dal denaro a buon mercato, sembrava robusta.

 

La crisi e i piani di salvataggio.

La crisi finanziaria del 2008 ha fatto inceppare questo meccanismo. I debiti sovrani sono schizzati alle stelle ovunque come risultato dei salvataggi bancari e della drammatica improvvisa recessione che ne è seguita. Il che non ha niente a vedere con una presunta dissolutezza – la Grecia, così come altri Paesi del sud Europa, ha un livello di spesa pubblica in rapporto al PIL più basso di quello della Germania. Né è dovuto a pigrizia. In media i greci sono coloro che lavorano più ore in Europa. La crisi dei debiti sovrani è il risultato dell”idiozia delle banche.

Le banche francesi e tedesche si ritrovarono a possedere grosse fette di debiti pubblici divenuti improvvisamente ad alto rischio. E loro, negli ultimi anni, hanno fatto ciò che possono per sbarazzarsi di questi titoli. La BCE, infrangendo quelle che sono le sue regole, ha comprato un gran ammontare del debito. La minaccia di un collasso del sistema bancario ha motivato i successivi “bailout” di Grecia, Irlanda e Portogallo, affiancati da richieste di sempre nuovi e maggiori tagli alla spesa pubblica.

I salvataggi non erano intesi a supportare queste economie. Bensì erano intesi a sostenere le banche europee. E le misure di austerità danneggiano la società e distruggono la crescita. L”economia greca è scesa del 7% l”anno scorso. Il lavoro e il tenore di vita sono stati sacrificati a tutto vantaggio dell”alta finanza.

Niente di ciò che è stato messo in campo ha funzionato. La Grecia non potrà ripagare il suo debito e dovrà dichiarare il default. Il dilemma per la troika, o per meglio dire per i leader politici di Francia e Germania, risiede nel valutare se il costo di questo processo sarà più contenuto dentro o fuori dall”euro.

 

Una “Greek exit” e un nuovo corso.

La bilancia in Germania sembra pendere a sfavore di una permanenza della Grecia nell”eurozona. Sebbene ciò venga costantemente negato, voci di corridoio a Berlino puntano verso un rapido abbandono o, alla mala parata, ad una sorta di periodo di prova come membro di seconda classe.

I costi politici potrebbero essere immensi. I progressi dell”integrazione europea, stabili di fin dal trattato di Roma del 1957, sarebbero rivoltati in senso inverso.

Ma anche i costi economici del continuo supporto sono alti, e crescenti. Un”improvvisa rottura potrebbe ormai essere ritenuta necessaria, a prescindere dagli impedimenti legali che si frappongono. Per la Grecia, così come per tutti i paesi del Continente che devono affrontare i round senza fine di tagli alla spesa e un decennio o più di stagnazione, le scelte stanno diventando più chiare. Il default e l”uscita dall”euro ricostruirebbero l”economia. Non c”è ragione per le popolazioni di Grecia, Portogallo o Irlanda di continuare a rimettere i peccati della finanza europea.

Un default “popolare” che cancelli l”odioso e inesigibile debito, valutando il danno ai fondi sociali come quello pensionistico, è necessario.

L”Ecuador ci ha fornito un esempio da seguire. E una volta rimossa la camicia di forza dell”euro la politica fiscale e quella monetaria possono nuovamente essere usate per stimolare la creazione di posti di lavoro.

Un supporto mirato del governo può essere usato per rimettere in sesto le industrie danneggiate. Lo shock per i mercati e le economie sarà pesante. Questa potrebbe essere una seconda Lehman Brothers, con i prestiti bloccati e il panico dilagante.

Sarà necessario ripristinare controlli sui movimenti di capitale e sulle transazioni finanziarie onde prevenire crolli rovinosi. Anche il nostro fragile sistema finanziario in UK è esposto a rischio di default, principalmente a causa delle sue partecipazioni negli asset delle banche francesi e tedesche. Quando le istituzioni finanziarie di Francia e Germania subiscono una botta essa può ripercuotersi sul Regno Unito. È necessario che la speculazione sia messa alle corde.

Non ci sono facili soluzioni per la Grecia. Una solida ricostruzione sarà comunque una strada impervia da intraprendere. Ma i costi dell”austerità sono maggiori e crescenti. Il default può anche essere lasciato alle amorevoli cure della troika, che senza dubbio nella sua generosità consentirà una svalutazione in cambio di ulteriori tagli alla spesa. O questa può anche essere la prerogativa della società greca.

Una popolazione impoverita può continuare a ricomprarsi il suo olio d”oliva. O può mettere su un nuovo corso per lo sviluppo dell”economia, un corso che sia per il beneficio della maggioranza della popolazione.  

 

Fonte: http://www.neweconomics.org/blog/2011/09/13/greece-should-shake-off-the-euro-straitjacket.

Traduzione per Megachip a cura di Piergiuseppe Mulas.

 


[1]“Bring the coals to Newcastle” è un modo di dire inglese che suona come il nostro “portare l”acqua al mare”. Per ironia della sorte ciò è accaduto realmente l”agosto scorso.

 

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