'L''illusione della crescita e il debito' | Megachip
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'L''illusione della crescita e il debito'

'L''illusione della crescita e il debito'
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26 Settembre 2011 - 20.50


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L”alternativa c”è – Puntata 18. Ogni giovedì, appuntamento settimanale di approfondimento. Quali sono le radici politiche ed economiche degli attuali problemi, di fronte a una crisi economica gravissima?

Pino Cabras ripercorre gli ultimi vent”anni di macro eventi italiani per cercare il filo di una spiegazione e di una possibile alternativa all”illusione della “crescita”.

Segue la trascrizione commentata del videoeditoriale di Cabras, curata da www.libreidee.org.

Diffidate di chiunque vi parli di ripresa: politici e industriali che promettono “patti per la crescita” non sanno, o fingono di non sapere, che l”Italia da almeno vent”anni non è più in grado di crescere come un tempo: tramontata la grande industria, negli ultimi due decenni il paese ha campato di economia virtuale e boom effimeri, speculazione e assalto ai territori e ai servizi, tagliando diritti e precarizzando il lavoro. Risultato:  l”ex Belpaese declassato dalla finanza mondiale rischia di dover affrontare lo stesso suicidio sociale della Grecia, un tunnel senza via di scampo. Alternative? Una sola: non pagare il debito, iniquo frutto della speculazione, e rivalutare il welfare partendo dal bene comune; ma prima serve una rivoluzione culturale che mandi a casa l”intera classe dirigente.

Dopo la Grecia sta arrivando il nostro turno, come ripete la montante campagna dei media, sulla scorta di un declassamento seguito a quello – assai più clamoroso – nei confronti del debito degli Stati Uniti: «Vorrebbero costringerci a inseguire questa spirale che non avrà mai una soluzione pratica, che è quella che ha portato in Grecia al susseguirsi di tagli, di aumenti del tasso di interesse, a una prospettiva di drastico ridimensionamento di quell”economia, con effetti che possono portare anche all”uscita dalla moneta unica in modo disordinato», avverte Pino Cabras di “Alternativa” in un video-intervento su “Megachip” nel quale ripercorre le tappe fondamentali del declino italiano, rispondendo alla domanda: perché siamo ridotti così?

Il punto di svolta risale a vent”anni fa, al passaggio tra prima e seconda repubblica: globalizzazione del lavoro, capitale e lavoro e che migrano verso aree con bassi salari che garantiscono maggiori profitti. Poi le privatizzazioni selvagge, quindi la creazione di rendite e di mercati valutari: di qui la ben nota «illusione elettronica della crescita economica, una crescita che invece non c”era più nel mondo reale». E” stato il momento della svolta liberista, senza più il contrappeso sovietico a frenarne la carica egemonica. Cosa è successo? «Dappertutto c”è stata una fortissima spinta per rompere tuti gli argini che c”erano prima, per distruggere le regole, le macro-regole, trattenendo soltanto quelle che potevano far comodo alla grande finanza. E questo è avvenuto con un grande consumo di futuro». Il debito è questo, dice Cabras: un consumo sleale di futuro. Ovvero: consumare risorse che non si hanno, nascondendo il trucco sotto il tappeto.

Quell”epoca in cui è iniziato tutto questo in Italia, vent”anni fa, ha coinciso anche con la fine di una fase industriale: è stata la fine della siderurgia, industria di mano pubblica targata Iri che è stata privatizzata selvaggiamente. «Ma quel crollo dell”industria pubblica – ammette Cabras – nasceva anche dall”incistamento di una casta molto vorace che aveva consumato dall”interno, aveva messo i partiti all”interno di quelle industrie; senza rimpiangerle, però quello che è venuto dopo è stata una grande corsa all”oro che ha tolto delle basi all”autonomia e alla sovranità economica dell”Italia».

E” il periodo in cui l”Eni ha avuto una ritirata da una sua funzione che aveva svolto per alcuni decenni di volano per l”industria in Italia, dando risposte alla disoccupazione. Finita l”Iri, sparita l”Eni, anche la Fiat è entrata in una spirale di distruzione del suo valore: «E” diventata un”impresa zombie, con cicli di salvataggi e riprese sotto l”ombra della famiglia Agnelli: quell”epoca è finita e non sarà certo resuscitata da Marchionne». Stessa sorte per l”industria chimica, che finì anch”essa in quel periodo. Per non parlare dell”industria dei media di massa, che si può riassumere in un solo nome, quello di Berlusconi, «un elemento dio fortissima chiusura del sistema». Ma il disastro più drammatico, sostiene Cabras, è quello che ha travolto il mondo bancario, motore strategico dell”economia italiana, impoverito dall”egemonia “nordica” di pochi grandi gruppi: «Poche realtà oligarchiche, che non hanno certo più avuto a cuore nessun processo economico innovativo”, divenendo semmai «garanti delle oligarchie».

E così, è andata consumandosi anche l”ultima speranza che rimaneva una certa originalità dell”economia italiana – che era la cosiddetta “terza Italia”, quella della piccola e media impresa, dei distretti industriali, delle realtà che giocavano un loro ruolo nel mondo, molto aperto. Fiato corto e scarsa lungimiranza: persino la “terza Italia”, quella del piccolo boom in Lombardia e Veneto negli anni ”90, non poteva avere grandi prospettive: «Scuole non all”altezza di un paese industriale avanzato, mentre la Cina e l”India oggi sfornano ciascuna 500.000 ingegneri l”anno». Quindi: «Non verrà neanche dalla terza Italia, da quei distretti, nessuna speranza di ripresa classicamente intesa».

La reazione che c”è stata in questi anni rispetto alla fine di tutta un”epoca economica da parte del capitalismo italiano, dice Cabras, è stata un”inclinazione sempre più parassitaria, che ha portato a cercare di sfruttare al massimo il territorio, i suoli, le grandi opere, i rapporti con la politica, secondo linee di neo-patrimonialismo in parte fondato sul debito: «Che si tratti di alta velocità, di Expo, di piani casa, di ricostruzioni post-sisma, si è creato un meccanismo di depredazione che ha reso sicuramente inservibile questo capitalismo per tutti i buoni propositi che oggi si hanno sulla cosiddetta crescita». Premesso che la crescita di cui parlano media, politici e industriali non è neppure così desiderabile, va detto che questa crescita oggi in Italia è semplicemente impossibile: «In questo capitalismo italiano non ci sono elementi correttivi che, consevando i vecchi rapporti di potere, possano in qualche modo innescare una ripresa economica».

Serve un cambio radicale: «Andrà selezionata una classe dirigente che sappia dirsi la verità, perché quella di oggi non sa dirsi la verità; i giornali non la dicono; i politici non la sanno, forse, e non la saprebbero neanche raccontare: politici, sindacalisti e imprenditori che lanciano ultimatum al governo hanno da proporre i soliti “patti per la crescita”», che non hanno nessuna possibilità di successo. Così, saltano tutti i vecchi modi di schierarsi: «La distinzione destra-sinistra, che serve per alcuni elementi identitari, scompare di fronte a questa speranza della crescita: lo stesso Vendola parlava qualche tempo fa di Draghi, il governatore della Banca d”Italia e futuro governatore della moneta europea, come di un Papa laico, una fugura quasi santificata. Queste – conlude Cabras – sono speranze che non hanno nessuna cittadinanza nei fatti che stanno per accadere, che vanno invece verso un redde rationem molto duro per l”economia italiana».

Meglio allora riflettere sulla natura del debito: bisognerà fare un audit che lo riconsideri il deficit pubblico per capire cosa è giusto pagare e cosa non sarà giusto, un po” come hanno fatto altri paesi che si sono trovati alle strette, che a un certo punto stavano per subire tutte le cure distruttive del Fondo Monetario Internazionale. «Andranno tagliate le spese davvero inutili come le spese militari, perché oggi spendiamo in questa direzione risorse sproporzionate. E andranno creati dei paracadute per il mondo del lavoro dopo che per anni tutti i paracadute sono stati bucati – con il prcariato, con le leggi che hanno distrutto qualsiasi potere dei lavoratori in Italia». E visto che l”establishment spinge nella direzione opposta, bisognerà fermarlo: pagare tutto? No, solo il dovuto. Nuovi scenari di guerra? No: semmai, ritiriamoci anche dagli attuali. In pensione a 70 anni? Nuove leggi per ridurre ulteriormente la contrattazione? No e poi no: «Dovremmo dire invece che queste leggi non sono accettabili e dovrà essere ricostruito un quadro giuridico per i lavoratori».

L”altra frontiera, dice Cabras, è quella della difesa dei beni comuni, nettamente indicata dai referendum di giugno: basta pressioni sul territorio, basta privatizzazioni come quelle che vorrebbero i redditieri che approfittano della crisi debitoria per ridisegnare i rapporti di potere e la distribuzione del reddito. «Questo richiede una rivoluzione democratica: serve l”impegno di tutti, serve un ritorno alla politica, e questo è l”impegno che porteremo avanti a partire dalle piccole forze che abbiamo. Stiamo incontrando interesse, attenzione, ad esempio con la piattaforma, la bozza di programma di “Alternativa”». C”è un”attenzione nuova, che secondo Cabras potrebbe suscitare grandi speranze: «Contro tutti quelli che, approfittando dei rating distruttivi, dei declassamenti, vogliono dirci che non c”è alternativa e che dovremo piegarci alle logiche del grande capitale che erode la sovranità dei popoli. Noi dovremo dire che invece l”alternativa c”è e ci proporremo con forza».

Fonte: http://www.libreidee.org/2011/09/cabras-smascheriamo-i-falsi-profeti-della-crescita-impossibile/.

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