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di Vladimiro Giacché – ilfattoquotidiano.it, con commento di Megachip in coda all”articolo
Il 15 ottobre, in Italia come in molti altri Paesi, si svolgono le manifestazioni degli Indignati. Si tratta di un movimento che sta assumendo dimensioni globali e che intende dar voce, come dicono i cartelli issati dai manifestanti a Wall Street, a quel 99% della popolazione che sta pagando una crisi che non ha provocato. È importante che le ragioni di questa protesta non siano inquinate e distorte da atti di violenza che servirebbero soltanto a screditare il movimento, offrendo un”ottima scusa a chi non vuole entrare nel merito dei suoi motivi. Che sono molti e molto seri.
A oltre quattro anni dall”inizio della crisi continuano i salvataggi di banche e assicurazioni con soldi pubblici: l”ultimo caso, di pochi giorni fa, riguarda Dexia e costerà 90 miliardi di euro a Belgio, Francia e Lussemburgo. In compenso si lascia marcire la crisi greca, dopo averla aggravata con il piano di austerity draconiano che ha accompagnato il “salvataggio” del 2010. I bilanci pubblici in Europa sono stati prima appesantiti accollando ad essi il debito privato, e ora si tenta di alleggerirli smantellando i sistemi di welfare e privatizzando a più non posso. Intanto si assiste ad uno spostamento di sovranità dagli Stati a una sorta di terra di nessuno in cui chi detta le regole sono di fatto i governi degli Stati “forti” dell”Unione o addirittura la Banca Centrale Europea. Quest”ultima, non contenta di far male il proprio lavoro (vedi l”aumento dei tassi di interesse a luglio), ha pensato bene di cominciare a dettare agli Stati le politiche economiche e sociali: richiedendo all”Italia – con una lettera che avrebbe dovuto rimanere segreta “per non turbare i mercati” – di effettuare la “privatizzazione su larga scala” dei servizi pubblici, ridurre gli stipendi pubblici e rendere più facili i licenziamenti.
Infine, a turbare non i mercati ma gli Indignati, c”è il governo peggiore di sempre: che prima ha negato la crisi, poi ha accettato senza fiatare una modifica del patto di stabilità punitiva per l”Italia e infine ha costruito una manovra economica (anzi: quattro) da manuale quanto ad iniquità e inutilità .
“Noi il debito non lo paghiamo” è tra gli slogan di questa giornata in Italia. È condivisibile? Dipende. Se significa “ripudio del debito” è difficile essere d”accordo. Per almeno tre motivi:
1) Perché il default sul debito italiano sarebbe pagato in parte non piccola proprio dai lavoratori e pensionati che da decenni sono abituati a considerare i titoli di Stato come il porto più sicuro per i propri (pochi) risparmi. Secondo stime di Morgan Stanley del luglio scorso, gli investitori privati italiani, con un 14% del debito totale, sono in assoluto tra i maggiori detentori del debito pubblico, secondi soltanto alle banche italiane (15%) e ai gruppi assicurativi esteri e fondi comuni europei (14,6%). A quella percentuale vanno aggiunti anche i fondi di investimento italiani (5,5%), i fondi italiani gestiti all”estero (6,1%) e una parte del debito in mano a compagnie assicurative italiane (11,4%): in definitiva, direttamente (acquistando titoli di Stato) o indirettamente (attraverso fondi e polizze che acquistano titoli di Stato), i cittadini italiani possiedono tra il 25% e il 30% dell”intero debito pubblico. Forse anche di più, viste le vendite massicce effettuate da banche e fondi esteri durante l”estate. Per aggirare questo problema, qualcuno propone un “default selettivo”. Il “default selettivo” però si ha quando non si ripaga (a nessuno) uno specifico titolo di Stato. Non si può, invece, in relazione a uno stesso titolo di Stato, scegliere i creditori da privilegiare rispetto ad altri: non solo è una violazione contrattuale, ma è impossibile sul piano pratico.
2) Dopo un default i mercati internazionali dei capitali sarebbero indisponibili a finanziare l”Italia per diversi anni. Questo comporterebbe la necessità di un forte avanzo primario, e quindi di politiche di bilancio ancora più rigide di quelle oggi richieste dai più oltranzisti pasdaran del pareggio di bilancio.
3) Un default andrebbe di pari passo con l”uscita dall”euro e una forte svalutazione. Tra gli effetti di quest”ultima ci sarebbe una notevole deflazione salariale causata dal crollo del potere d”acquisto dei lavoratori rispetto ai prodotti finiti importati e a quelli al cui prezzo contribuiscono beni intermedi importati (tra cui il petrolio e il gas). Alcuni economisti di destra consigliano le svalutazioni proprio perché rappresentano un modo per ridurre i salari tanto efficace quanto indiretto (e quindi tale da suscitare minori proteste di tagli diretti degli stipendi).
Per questi motivi il default, anche per Argentina e Islanda, non è stato una scelta politica, ma una drammatica necessità .
C”è però un altro modo per leggere lo slogan “Noi il debito non lo paghiamo”: mettendo l”accento sul “noi”. Questa è invece una rivendicazione sacrosanta, soprattutto nei confronti di una finanziaria che – tra colpi di scure alla finanza pubblica, abolizione di gran parte delle detrazioni fiscali e aumento delle imposte indirette – grava in gran parte su chi guadagna di meno e paga le tasse, mentre è in arrivo l”ennesimo condono-regalo per gli evasori. È giusto esigere che la crisi la paghi chi evade 120 miliardi di euro all”anno e chi detiene grandi patrimoni, e che i risparmi, anziché sugli asili nido e sulle scuole, si facciano sulle spese militari (26 miliardi) e sullo sperpero di denaro pubblico per le imprese private (30 miliardi all”anno). Avanzare oggi questa rivendicazione equivale a introdurre nelle dinamiche di questa crisi un vincolo nuovo: l”indisponibilità di chi sinora ne ha pagato il prezzo a continuare così. È l”unico vincolo in grado di imporre una svolta nella gestione di questa crisi.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 14 ottobre 2011.
Link: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/14/indignati-si-violenti-no/163759/
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Nota di Megachip a cura di Felice Fortunaci.
L”articolo di Vladimiro Giacchè è molto utile, ma non scioglie i problemi.
Indica alcuni pericoli sicuramente assai gravi (svalutazione, aumento del prezzo dei prodotti energetici d”importazione, rifiuto dei mercati di finanziare l”Italia, necessità di un avanzo primario molto forte, con ulteriore compressione della spesa pubblica etc.).
Manca però di esaminare i vantaggi relativi.
Eccoli: secca riduzione del servizio sul debito, secca riduzione del volume del debito.
Certo, questo comporta un filtro selettivo che Giacchè ritiene impossibile e impraticabile. Ma abbiamo dei dubbi in proposito. Ecco una delle questioni da porre ai tecnici: è vero che è impossibile selezionare i creditori? Possibile non rimborsare i gruppi assicurativi esteri e i fondi comuni esteri, come i fondi italiani gestiti all”estero?
Vladimiro Giacchè prevede l”uscita dall”euro come conseguenza negativa, ma non accenna neppure alla possibile nazionalizzazione della Banca d”Italia e delle più importanti banche italiane (che significa azzeramento dei loro crediti e ricapitalizzazione in lire). Di nuovo qui ritornerebbe il tema del default selettivo, che visto considerando più fattori appare in qualche misure possibile. Si tratta di vedere come farlo. Le risposte non sono di mera politica economica. Data la dimensione sistemica della crisi, non possono che essere risposte politiche.
Interessante in proposito l”articolo di Aldo Giannuli intitolato “Diritto all”insolvenza?“, nel quale viene ipotizzata una nuova conferenza di Bretton Woods in cui «l”Occidente ha quattro cose da offrire: la fine del Dollar Standard, la fine del monopolio euro americano in Fmi e Bm, lo scioglimento della Nato, la diminuzione delle basi americane nel nondo ed in particolare nell”Oceano Indiano ed in quello Pacifico. Cioè la fine dell”egemonia “occidente” in favore di un ordine mondiale policentrico.» In quel caso Giannuli ha colto l”enorme portata del nodo politico, anche se tace sull”altra “soluzione” innominabile, che pure concretamente si sta autoinvitando al tavolo della crisi, purtroppo, e già si prende gli antipasti: la guerra mondiale.
Ma anche senza coinvolgerci già in questi nodi strategici, rimanendo più terra terra, Giacchè non prende in considerazione gli effetti di un drastico recupero di denaro da una patrimoniale ordinaria applicata per cinque anni di seguito. Solo 120 miliardi di evasione fiscale annua significano 600 miliardi in cinque anni . Scapperebbero molti capitali all”estero. Ma anche qui subentra la politica.
Dove scappano i capitali? Fuori fa molto freddo, sicuramente altrettanto quanto qui dentro. Se crediamo che questa crisi sia sistemica e irreversibile, i capitali non avranno molto da scappare.Â
E la politica assume anche il volto di un protagonista nuovo, il movimento contro il debito. Se il movimento non conta, tutti questi discorsi valgono meno di zero.Â
Se invece il movimento cresce, allora si apre un negoziato di fatto. E una lotta politica di tipo nuovo per affermare un altro modello.
Questa lotta avverrà in un contesto di recessione, non dimentichiamolo, e di crescente protesta popolare (ordinata o disordinata, o ordinata e disordinata nello stesso tempo). Qui siamo.
Giacchè sembra piuttosto prigioniero della struttura di vincoli nei quali ci troviamo. L”obiettivo deve essere invece quello di romperli. E, quando si è abbastanza forti per romperli, occorre negoziare il cambiamento. Ma senza movimento non avrai nessuna forza di negoziare alcunché.
E per avere il movimento (anche politico) devi lanciare parole d”ordine capaci di crearlo. La prima manifestazione della storia d”Italia contro la banca nazionale è avvenuta l”altro ieri. Non finirà qui.
Forse non è impossibile rinegoziare il modo di saldare il debito instaurando un”esatta classificazione dei creditori. Ad esempio: banche estere e italiane, fondi esteri e italiani, assicurazioni, piccoli risparmiatori, famiglie. I titoli sono in capo a persone fisiche e persone giuridiche, ciascuna con un codice fiscale e un indirizzo: a volerle trovare si troverebbero, si identificherebbero.
Ma per farlo occorre un governo sospinto da un grande recupero di sovranità . La sovranità nazionale tout court, ma soprattutto la sovranità popolare. Il governo di quell”anima morta di Re Bunga Bunga non è in grado di rinegoziare niente, figuriamoci. Ma non lo farà nemmeno il governo che si sta riscaldando a bordo campo, quello consacrato da Goldman Draghi, dall”atlantista del Quirinale e dalle banche “too big to fail”, con i portatori d”acqua della sinistra istituzionale. Ecco perché il movimento è importante e deve compiere in breve tempo un”urgente maturazione politica e cambiare l”agenda del potere prima che sia troppo tardi.
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