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La Bce, il fondo salva Stati, la riforma dei trattati: una corsa contro il tempo. Si parla di un piano B: l”unione fiscale tra Berlino e Parigi.
di Danilo Taino – corriere.it.
«Vi sento ma non vi ascolto», amava dire ai governi il primo presidente della Banca centrale europea, Wim Duisenberg: per sottolineare l”indipendenza dell”istituzione. Mario Draghi, che dal 1° novembre occupa lo stesso ufficio ma in un mondo più scomodo, ieri ha detto che nemmeno lui li ascolta. Ciò nonostante – ha aggiunto – ha qualcosa da dirgli: di sbrigarsi con il fondo salva Stati che essi stessi hanno deciso di costituire da mesi ma non hanno ancora reso operativo.
Perché non saranno lui e la sua Bce a dare retta a quei governi e tanti consiglieri che vorrebbero vederli impegnati a comprare, senza se e senza ma, titoli del debito sovrano dei Paesi in crisi. Non sarà la banca di Francoforte a coprire i debiti fuori controllo. Il compito di occuparsi dei bilanci pubblici e di salvare i Paesi partner è dei governi. Punto.
Non è l”angelo salvatore
Con ciò, Draghi ha sgombrato il campo da un”insistenza che stava montando. Barack Obama e i suoi consiglieri, Nicolas Sarkozy e parecchi professori francesi, economisti e politici dei Paesi mediterranei, giornali europei di sinistra e di destra: tutti a dire che solo la Bce può salvare l”euro, dichiarando che comprerà senza limiti btp, bonos spagnoli, oat francesi e così via. Cioè stampando moneta.
Persino giornali non certo lassisti come il Financial Times e l ”Economist si sono chiesti se, in extremis, di fronte alla non impossibile imminenza del disfacimento dell”euro, non sarebbe giustificato un intervento della Bce. Se si arriverà a quel punto, si vedrà : per ora, Draghi lo esclude. E il presidente della tedesca Bundesbank, Jens Weidmann, ha detto che si tratterebbe di un atto «illegale», non previsto dai trattati europei.
La discussione e lo scontro in atto in Europa in questi giorni si sono condensati attorno al ruolo della Bce come prestatore di ultima istanza perché, per la prima volta da quando è nato, è diventato chiaro che l”euro potrebbe smembrarsi. Lo hanno ammesso la sera dello scorso 2 novembre Angela Merkel e Nicolas Sarkozy quando dissero al (in quei giorni) primo ministro greco George Papandreou che Atene doveva decidere se restare nella moneta unica o uscirne. La crisi del debito, che già aveva raggiunto livelli drammatici, fece un salto di qualità . Quello che tutti pensavano era confermato dai due azionisti di riferimento dell”euro, Germania e Francia.
Dieci anni d”oro
Nel decennio scorso, sostenere che l”euro avrebbe potuto autodistruggersi era eresia. La moneta comune marciava trionfante: inflazione sotto controllo; tassi d”interesse minimi; economie in crescita; valuta che si rafforzava nei confronti del dollaro. Nel 2006, al summit di Davos, un economista che poi diventerà una star per avere previsto la crisi del 2008, Nouriel Roubini, osò sostenere che Grecia, Portogallo e Italia avevano i conti così fuori controllo che rischiavano di far saltare l”euro. Il ministro Giulio Tremonti, presente al dibattito, lo invitò a tornarsene in Turchia. Per dire che l”ipotesi di rottura era considerata da quasi tutti impensabile. Il fatto che oggi la ipotizzino Merkel e Sarkozy dà il senso del crollo della fiducia.
È successo che, per quasi tutto il primo decennio di vita (l”atto di nascita è il 1° gennaio 1999) l”euro ebbe la fortuna di crescere in un mondo dominato da due forze poderose: la Cina che produceva merci a basso prezzo e impediva l”inflazione in tutto il mondo e il presidente della Fed (la banca centrale americana) Alan Greenspan che immetteva liquidità quasi illimitata nell”economia globale, così tenendo bassi i tassi d”interesse. Quando il circolo Pechino-Washington è saltato, con la crisi dei subprime 2007-2008, anche per l”euro più niente ha funzionato.
La grande crisi
Ci si è accorti che, in dieci anni, le economie dell”Eurozona invece che convergere avevano preso a divergere, in termini di competitività e di conti pubblici. Venuta a mancare l”enorme liquidità degli anni precedenti, i mercati si sono accorti delle differenze e hanno iniziato a chiedere rendimenti sempre più alti per comprare titoli del debito sovrano dei Paesi deboli. La crisi è così iniziata e si è via via ingigantita, nella convinzione degli investitori che il problema fosse strutturale, che non ci fosse convergenza tra i 17 membri dell”Eurozona. A questo si sono aggiunti errori dei governi, che non sono mai sembrati in grado di controllare la crisi, e si è così arrivati a oggi.
L”alternativa tedesca
Se la Bce non interverrà , dunque, chi salverà l”euro? L”unica a rispondere è Frau Merkel. La cancelliera dice che  […]
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Tratto da:Â http://www.corriere.it/economia/11_novembre_19/timo_salvare_euro_3ebd19c0-128a-11e1-b297-12e8887ffed4.shtml
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