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di Vito Lops – Il Sole 24 Ore.
A sud dell”Iran, nel Golfo Persico, si erge l”isola di Kish. Questo piccolo lembo di terra, dove vivono poco più di 20mila abitanti, è sconosciuto ai più ma potrebbe presto conquistare fama. Perché nel luglio 2011 il ministro del Petrolio ad interim iraniano ha inaugurato in questa isola la prima Borsa al mondo dove è possibile acquistare e vendere petrolio senza avere un dollaro.
Per questo motivo c”è chi pensa che l”isola di Kish, così come la cittadina del New Hempshire Bretton Woods è stata per circa 30 anni (dal 1944 al 1971) il simbolo del nuovo ordine mondiale al termine della Seconda Guerra Mondiale, potrebbe divenire il simbolo di un nuovo ordine generato dall”attuale guerra delle valute.
Il biglietto verde, si sa, è la valuta di riferimento per lo scambio delle materie prime nel mondo. Ed è anche grazie a questo motivo che dal 1971 – da quando l”allora presidente Richard Nixon decise di interrompere la convertibilità del dollaro in oro mandando in una notte d”agosto in pensione gli accordi di Bretton Woods del 1944 – gli Stati Uniti continuano ad essere la prima superpotenza del pianeta, questo nonostante un debito pubblico e un deficit elevatissimi.
Ma cosa succederebbe se il petrolio – la materia prima che fa girare il mondo – non fosse più scambiato in dollari, ovvero nella più grande riserva valutaria mondiale? La domanda è tornata prepotentemente alla ribalta nelle ultime 24 ore, da quando la Cina ha comunicato che dal 6 settembre ha iniziato a compravendere petrolio in yuan (senza passare dal dollaro) per le forniture provenienti dalla Russia. È un duro affronto agli Stati Uniti e a quell” “equilibrio del terrore” su cui si reggono le relazioni internazionali tra i due Paesi (la Cina è il maggiore creditore degli Stati Uniti) o semplicemente un tentativo per stimolare la domanda interna in una fase di rallentamento dell”economia cinese?
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