Un paradigma di green economy: Whole Foods | Megachip
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Un paradigma di green economy: Whole Foods

Un paradigma di green economy: Whole Foods
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1 Febbraio 2013 - 13.56


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di Giovanna TinèDailyStorm

Whole Foods è quella che potremmo definire un esempio interessante di green economy: un”azienda che si occupa di biologico e che lo fa mantenendo allo stesso tempo un attentissimo occhio al portafoglio e a politiche “illuminate” (a suo dire) nei confronti dei dipendenti. Capitale, ambiente e lavoro che finalmente trovano una conciliazione? Vediamo, analizzando un”intervista emblematica delle operazioni di cosiddetto “green washing“.

IL “CAPITALISMO CONSAPEVOLE” – Secondo John Mackey, amministratore delegato dell”azienda e co-fondatore dell”organizzazione no profit Conscious Capitalism, recentemente intervistato dalla rivista statunitense Mother Jones: «il capitalismo, anche se non perfetto, è fondamentalmente buono ed etico», e «la libertà economica e l”imprenditorialità sono il miglior modo per fermare la povertà, aumentare la prosperità e far evolvere l”umanità». Un capitalismo dal volto umano, insomma, attento contemporaneamente al profitto, all”ambiente e alla società, che rispecchia quella quadratura del cerchio analogamente auspicata dalla nostra Confindustria e da molti sedicenti ecologisti sotto l”idea dello “sviluppo sostenibile”, nonché promossa praticamente da tutti i media mainstream. Le stesse dinamiche con una pennellata di verde, appunto.

Certo, l”entusiasmo di Mackey per questo capitalismo illuminato diventa piuttosto imbarazzante quando tra gli esempi di aziende “consapevoli” egli cita addirittura Amazon, che, come fa notare l”intervistatore, non è esattamente famosa né per la sua correttezza fiscale né per il trattamento dei suoi dipendenti. Ma nella più pura retorica conservatrice, Mackey ribatte a queste obiezioni spiegando che «è facile giudicare e trovare difetti in qualsiasi azienda, se questo è quello che si vuole vedere attraverso i propri pregiudizi ideologici». Pregiudizi o rispetto dei diritti? Difficile, questa quadratura del cerchio.

I CAMBIAMENTI CLIMATICI – Dice Mackey: «Siamo all”interno di una tendenza al riscaldamento graduale sin dalla fine della “Piccola Era Glaciale”, intorno al 1870, e ilcambiamento climatico è perfettamente naturale e non è necessariamente un male. In generale, la maggior parte dell”umanità tende a fiorire di più quando le temperature globali sono in un trend di riscaldamento e credo che saremo in grado di adattarci con successo a temperature via via crescenti. Ciò a cui sono contrario è di cercare di fermare praticamente tutto il progresso economico a causa della paura dei cambiamenti climatici. Mi dispiacerebbe vedere miliardi di persone condannate a rimanere in povertà a causa delle paure legate ai cambiamenti climatici».

Queste aberranti dichiarazioni certo non verrebbero sottoscritte – o almeno non così apertamente – da qualsiasi fautore della green economy appena più accorto del nostro, ma ne mostrano in ogni caso le contraddizioni di fondo, dovute allo scontro tra ambiente e crescita economica capitalistica. In questo caso, poi, evidenziano, oltre che cattiva fede, una sostanziale eprofonda ignoranza sia dei rapporti di causa-effetto legati al fenomeno dei cambiamenti climatici, che della geografia e della storia del pianeta. Cattiva fede perché si mantiene l”assunzione/ricatto che il profitto delle aziende corrisponda al benessere delle popolazioni, quando la realtà la smentisce evidentemente – basti pensare alla privatizzazione di beni comuni come l”acqua e le altre risorse naturali, alienate ai cittadini per arricchire i dividendi delle aziende -.

In secondo luogo Mackey ignora, o omette di considerare, da un lato il dato storico non esattamente irrilevante della rivoluzione industriale, dall”altro il dato geografico per il quale milioni e milioni di persone rischiano la vita a causa delle conseguenze dell”aumento della temperatura, e non solo nei paesi in via di sviluppo. Evidentemente, la popolazione a cui il nostro “consapevole” businessman pensa è quella dei ricchi, che si possono permettere i suoi costosi cibi naturali e che si sentono al sicuro dalle catastrofi naturali che il superamento dei famosi 2°C di riscaldamento rispetto all”era pre-industriale provocherà. Il resto del mondo, ovvero la maggioranza, non conta.

IL LAVORO – Ampie spennellate di eticità la Whole Foods dà poi alle proprie singolari politiche nei confronti dei dipendenti. Il lavoratore, infatti, non è più definito tale ma è “fidelizzato” attraverso la qualifica di team member, e inizia a lavorare in azienda con un periodo di prova che varia dai 30 ai 90 giorni, dopo i quali la possibilità della sua effettiva assunzione viene votata dagli altri membri del team, e diviene effettiva se egli riceve i due terzi dei voti della squadra. Peccato che qui si stia parlando di posti di lavoro e dello stesso diritto al lavoro, e non di un reality show in stile Grande Fratello.

Coerenti con queste pratiche sono le dichiarazioni di Mackey sui sindacati: «credo che i sindacati del settore privato abbiano bisogno di evolversi dalle loro tattiche di antagonismo, e dal loro atteggiamento e retorica anti-business, se vogliono rimanere rilevanti [.]. Le industrie che sono state più pesantemente sindacalizzate negli Stati Uniti sono tutte in declino e non sono competitive a livello internazionale [.]». E quindi: «Il movimento dei lavoratori farebbe bene a ripensare le sue tattiche e la sua mentalità, che causano grave danno alle imprese che impiegano lavoratori sindacalizzati». Insomma, come sempre, il capitale – anche quello che di autodefinisce “consapevole” – ha bisogno di obbedienza, non di diritti.

LA SANITÀ – Mackey è un fervente sostenitore del libero mercato anche nel campo dell”assistenzasanitaria. E si pregia del fatto che la sua azienda offra ai dipendenti – comebenefit – un programma privato di assicurazione attraverso la multinazionale UnitedHealth. Lungi anch”esso dall”essere un diritto di cittadinanza, quello della salute, infatti,è per lui un settore dell”economia come un altro, che negli Stati Uniti «anche prima della ”riforma” [di Obama, nel 2010, ndr] è stato uno dei settori più fortemente regolamentati nella nostra economia e mancavano sia una concorrenza effettiva, sia un sistema di prezzi funzionale. Credo che abbiamo bisogno di deregolamentare radicalmente il nostro sistema per far funzionare i mercati, l”innovazione, e la concorrenza in modo efficace, mentre creiamo una solida rete di sicurezza».

Insomma, il lupo travestito – anche male, in questo caso – da agnello. Ovvero, il neoliberismo che si autoproclama etico e sostenibile, e che ci offre le soluzioni per quei problemi tra loro inscindibili, che esso stesso ha creato e fatto crescere: le crisi ambientale, economica e sociale.  Un lupo che ora, sotto diverse casacche, ci chiede di rinnovargli la fiducia e votare per lui.

 

Fonte: http://dailystorm.it/2013/01/28/un-paradigma-di-green-economy-il-capitalismo-consapevole-di-whole-foods/

 

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