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L'uovo di Colombo: fine della crescita infinita

Come rispondere criticamente a un articolo di Furio Colombo vicino a chi desidera uno sviluppo eco-compatibile e un capitalismo dal volto umano.

L'uovo di Colombo: fine della crescita infinita
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2 Aprile 2013 - 07.50


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di Paolo BartoliniMegachip

Leggo un articolo di Furio Colombo che piacerà certamente ai sensibili democratici dei nostri tempi, desiderosi di uno sviluppo eco-compatibile e dunque, in altre parole, di un capitalismo dal volto umano.

Riporto un estratto di questo articolo, che mi ha colpito molto:

“Ecco allora schierati tutti i protagonisti del drammatico momento che stiamo vivendo. Il meno discusso dei protagonisti del dramma è la crescita. “Ammettiamo che il suo piano funzioni. Dove metterà tutte quelle auto?” ha chiesto un analista finanziario a Gianni Agnelli durante un incontro a Wall Street negli anni Settanta. “Dove le metterebbero i miei concorrenti”, ha risposto l’Avvocato, meritandosi l’applauso di una folla di competenti. E confidava: “Non puoi dire ‘decrescita’. È una parola contro natura”. La frase è fondata. I bambini crescono, gli animali crescono, la natura cresce. Tutto il resto (prima il mondo del possesso di terra, poi quella della produzione e possesso e consumo di oggetti) è artificio dell’uomo ma segue il modello della natura, che è anche quello dell’immaginazione, della fantasia, del desiderio, anche se la necessità (la domanda) è sempre più forzata.”


Tralasciando le conclusioni che attendono il lettore a fine articolo, in perfetto stile liberal con una punta di utopia verde oggi assai di moda, vorrei soffermarmi sulle premesse che Colombo traccia nelle frasi sopra riportate.

Ribadisco che anche a mio avviso il termine decrescita non è dei più felici, ma questa osservazione critica si pone, nelle intenzioni, agli antipodi di quella formulata dal Furio nazionale. Bisognerebbe ricordare a costui che se è vero che i bambini, gli animali e la natura crescono, è altrettanto vero che ad un certo punto si fermano. Propria della natura è la tendenza all’omeostasi, all’equilibrio, allo “sviluppo fino al limite”. Con la differenza sostanziale che l’uomo disconosce ormai da troppo tempo il valore del limite, precondizione per ogni sviluppo sensato.

Il processo di accumulazione capitalistica, insomma, è del tutto innaturale, molto più simile al proliferare di cellule cancerogene che alla normale crescita di un organismo vivente. La questione centrale – come Colombo sembra intuire, ma in modo confuso – riguarda essenzialmente l’immaginazione, la fantasia e il desiderio, ovvero quelle dimensioni peculiari dell’esistenza umana che l’articolista proietta (con un evidente e inconsapevole antropomorfismo) proprio sulla Natura.

Con questo non sto affatto dicendo che la natura sia priva di creatività, tutt’altro. La verità è che la Natura diventa desiderante proprio nell’uomo, generando un potenziale ambivalente e glorioso di distruzione e creazione che non trova somiglianze nelle altre specie presenti sul nostro Pianeta.

Per questo noi siamo chiamati ad essere pienamente responsabili delle nostre idee e della nostra differenza antropologica. Quindi appellarsi ad una natura in perpetua crescita e sognare un mondo di pace alimentato dallo sviluppo indefinito della sfera economica, è un’illusione bella e buona, destinata ad esser spazzata via proprio da quella natura che – piaccia o meno a Colombo – non tollera eccessivi scostamenti dalle sue costanti biologiche.

In altre parole: è tempo che la Cultura (nostra vera natura e proprietà emergente dell’evoluzione sulla Terra) si prenda cura della vita e inverta la direzione suicida che ha imboccato da quasi un secolo. Questo processo, che sicuramente chiederà un superamento delle vecchie contrapposizioni ideologiche, non è comunque compatibile con il mito della crescita infinita, nemmeno nelle sue declinazioni green.

La scoperta può turbare, ma è al tempo stesso insospettatamente semplice. Un vero uovo di Colombo.

 

 

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