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Oggi al Portogallo, domani all'Italia

Il Portogallo licenzia e taglia gli stipendi pubblici. Domani toccherà all’Italia. [Massimo Ragnedda]

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18 Ottobre 2013 - 11.31


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di Massimo Ragnedda

Guardare quanto sta succedendo in Portogallo è molto istruttivo. In pratica si sta ripetendo quanto già successo in Grecia e quanto potrebbe succedere a breve anche in Italia.

Gli Stati europei si indebitano (come tutti gli altri Stati al mondo), ma non potendo emettere moneta (a differenza del Giappone, degli USA, dell’Inghilterra e della Svizzera) chiedono aiuto alla Troika (Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale e Unione Europea) la quale ben volentieri concede prestiti, ovviamente chiedendo qualcosa in cambio. E indietro non vuole solo i soldi che ha prestato più gli interessi da strozzino, ma impone anche un insieme di “misure” per snellire lo Stato Sociale.

Lo Stato in debito (così come fanno i cittadini che indebitati e disperati chiedono “aiuto” agli strozzini) è costretto ad accettare queste draconiane misure, anche se queste comportano (così come succede alle persone ricattate dagli usurai) un peggioramento della loro situazione iniziale.

Gli Stati, un tempo sovrani, sono così costretti a vendere i gioielli di famiglia (come fanno gli strozzati dagli usurai), licenziare dipendenti pubblici, ridurre la sanità pubblica, tagliare i finanziamenti alla scuola e alla ricerca, ridurre le pensioni, eccetera. Insomma la politica economica degli Stati è ordinata e imposta da oscuri burocrati e banchieri che vivono in un mondo dorato senza nessun contatto con quello che un tempo si sarebbe definito il “popolo”. A noi rimane l’illusione che, votando, possiamo scegliere da chi essere governati.

Ora, dopo aver schiacciato la Grecia, è il turno del Portogallo. La Troika, in cambio del generoso piano di “salvataggio”, ha imposto al conservatore Passos Coelho di tagliare gli stipendi pubblici.

Dal 2014 tutti i dipendenti pubblici portoghesi che guadagnano più di 600 euro si vedranno tagliare lo stipendo da un minimo del 2,5% ad un massimo del 12%.

Ma non basta. La Troika ha imposto il licenziamento del 3% dei dipendenti pubblici, in un paese in cui la disoccupazione ha già superato quota 17,4%.

Non solo. La Troika ha anche ordinato (la proposta ora è al vaglio della Corte Costituzionale di Lisbona) di aumentare l’orario settimanale dei lavoratori pubblici da 35 a 40 ore. Misure che lo Stato, senza possibilità di scelta, deve necessariamente applicare.

La Troika chiede anche che vengano privatizzate le aziende in attivo, come la Rete Energetica Nazionale. Privatizzare significa vendere a prezzi di saldo, agli amici della Troika ovviamente, le aziende che producono. I soldi che si ricaveranno dalla vendita (un po’ come i nostri soldi dell’IMU che sono serviti a salvare il Monte Paschi di Siena) serviranno per salvare dal fallimento il quinto gruppo finanziario del paese, la Banif.

Sì, direte voi, ma se lo Stato è in debito qualcuno dovrà pur pagare. O no? Guardo i dati del Giappone, che a differenza dei paesi della zona Euro può emettere moneta, e vedo che ha il 250% del debito/Pil (in Italia è circa il 120%) e un deficit/Pil al 10% (in Italia è circa il 3%). Roba che in Europa ci sogniamo.

Eppure, nonostante questo debito elevatissimo, il Giappone agli inizi dell’anno non solo non ha tagliato la spesa pubblica (come fatto dalla Grecia che ha dovuto chiudere ospedali, Università e licenziare in massa) ma ha lanciato un ulteriore piano di espansione della spesa pubblica con un primo intervento da 85 miliardi di euro, con l’obiettivo di creare 600 mila nuovi posti di lavoro.

Mentre in Grecia si registra un drastico aumento della povertà, casi di malnutrizione minorile, aumento dei reati legati alla “sopravvivenza”, sistema educativo e sanitario ridotto all’osso, in Giappone il tasso di disoccupazione è del 4.5%.

Mentre ora il Portogallo è costretto a licenziare i dipendenti pubblici, tagliare loro lo stipendio, ridurre la spesa pubblica elargendo meno servizi pubblici ai cittadini e a tagliare la spesa pubblica, il Giappone viaggia spedito e aumenta la spesa pubblica.

Il Giappone, a differenza dei paesi dell’eurozona, grazie alla Bank of Japan può emettere moneta, così come possono fare la Federal Reserve statunitense, la Bank of England e la Banca centrale svizzera.

Il rischio è l’aumento dell’inflazione, ma il vantaggio è che non si è costretti a chiedere prestiti da usuraio alla Troika e farsi dettare la politica economica e sociale da oscuri banchieri. Infine, a differenza di una Paese dell’area euro, il debito pubblico è detenuto quasi totalmente al suo interno rendendolo inattaccabile dalla speculazione di investitori stranieri.

Eccolo qui il giochino piuttosto semplice: il Giappone, l’Inghilterra e gli USA possono finanziarie il loro debito direttamente, emettendo moneta. Noi no. E per poter pagare il debito siamo perciò costretti a chiedere i soldi alla BCE e aprirci alla speculazione internazionale.

Ora a pagar dazio, licenziando, tagliando i servizi offerti ai cittadini, tagliando gli stipendi pubblici e svendendo le aziende dello Stato, tocca al Portogallo. Domani toccherà all’Italia. Anzi, in sordina, abbiamo iniziato anche noi.

(18 ottobre 2013)

Fonte: [url”http://notizie.tiscali.it/socialnews/Ragnedda/9597/articoli/Il-Portogallo-licenzia-e-taglia-gli-stipendi-pubblici-Domani-toccher-all-Italia.html”]http://notizie.tiscali.it/socialnews/Ragnedda/9597/articoli/Il-Portogallo-licenzia-e-taglia-gli-stipendi-pubblici-Domani-toccher-all-Italia.html[/url]

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