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Diario del 2014, diario di un secolo

'Due ingredienti, finanziarizzazione e riarmo, sono gli stessi nel 1914 e nel 2014.Una rivoluzione culturale per sopravvivere alla cultura dell''aggressione [P. Pagliani]'

Diario del 2014, diario di un secolo
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31 Dicembre 2014 - 19.23


ATF

di
Piero Pagliani
.

1.
L’anno che finisce è stato un anno di svolte drammatiche, come già
lo fu, un secolo esatto fa, il 1914. Anno funesto. L’inizio della
Guerra dei Trent’anni che finì solo nel 1945 dopo decine di
milioni di morti. Una tragedia sigillata da due esplosioni atomiche.

Cento
anni fa la
Belle Époque
edoardiana vide l’unione
di finanziarizzazione e preparativi di guerra. Si sa come è andata.
Però sembra proprio che non si sappia, o si faccia finta di non
sapere, come può andare oggi.

Un”ignavia
paradossale se si pensa solo che quei due ingredienti,
finanziarizzazione e riarmo, sono quelli che stanno
caratterizzando il mondo contemporaneo e sono sotto gli occhi di
tutti.

È
vero, la speranza è l’ultima a morire. E lo vogliamo ricordare
come augurio. Ma la speranza non è qualcosa di inerte. La speranza è
qualcosa di attivo. La speranza si crea, si costruisce. Altrimenti
non è nemmeno un sogno, ma un inganno.

La
sinistra è stata all’avanguardia dell’inganno, assieme
portatrice e infettata.

Parlo
della sinistra perché da lì vengo e quindi è il mondo che meglio
posso capire ed è quello che a me preoccupa, nonostante le immense
arrabbiature e i dolori che mi cagiona. Ad altri il compito di
preoccuparsi della destra.

Questa
sinistra,
a parte un
residuo nucleo di resistenti
,
si è ormai equamente ripartita tra il girone degli ignavi che solo
«
per sé»
sono e la cui «
cieca vita
è tanto bassa
» e quello
dei barattieri, dei corrotti, grazie ai quali «
del
no, per li denar vi si fa
ita»,
in “no” diventa “sì”.

Questa
sinistra irresponsabile è stata testimone di fatti raccapriccianti
senza alzare un dito, senza proferire un fiato. Anzi, spesso
calunniando e reprimendo chi lo ha fatto.

Ha
visto battaglioni con le svastiche vomitati dalle cloache della
Storia uccidere e violentare. Ma gli ignavi non si sono mossi e i
barattieri i nuovi nazisti li hanno persino sostenuti.

Ha
visto sanguinari tagliagole provenienti dalle oscurità del Medioevo
decapitare, schiavizzare, violentare, devastare nazioni civili,
laiche e moderne. Gli ignavi si sono limitati a scuotere il capo. I
barattieri li hanno nutriti, aggiungendo al peccato di corruzione
quello di ipocrisia.

La
sinistra ha rinunciato a ogni visione profetica della realtà
adagiandosi su un pragmatismo di miserabile cabotaggio e
contemporaneamente ha abdicato a un’analisi razionale economica,
politica, sociale ed ecologica, trasformando la propria visione
ideale, che avrebbe dovuto sintetizzare i punti di vista profetico
e razionale, in un’acquisizione supina della propaganda
dall’avversario all’attacco, fino a farla diventare proprio senso
comune.

Non
ho visto una sola manifestazione femminista a sostegno delle
combattenti curde di Kobani o per denunciare le inaudite violenze
sulle donne nel martoriato Medioriente. Nemmeno una. Che cosa
aspettano? Se non ora, quando?

Non
ho visto nessuna manifestazione per denunciare il massacro nazista di
Odessa. Nessun moto d’indignazione per il vergognoso rifiuto
dell’Italia all’Onu di approvare una mozione russa contro la
rinascita del nazismo. E ancora ci è andata bene, perché i nostri
padroni, gli Usa, quella mozione l’anno persino respinta, assieme
ovviamente ai loro protetti di Kiev.

E
il nostro sarebbe il Paese la cui Costituzione è nata dalla
Resistenza? Un Paese che nasconde la propria vergogna dietro
un’astensione?

Questo
sarebbe il Paese che aveva la più grande sinistra, il più grande
partito comunista del mondo occidentale? Il Paese dove il Sessantotto
è durato dieci anni? Il Paese che ha insegnato “Bella ciao” a
tutto il mondo? Che pena!

Che
pena e che disastro, perché la Storia di un secolo fa ci ha
insegnato fin nei dettagli che la sinistra pacifista che diventa
interventista è l’avanguardia del fascismo.

2.
Bisogna cambiare registro, o l’anno entrante sarà peggiore, e di
molto, di quello che finisce.

Per
cambiare registro occorre una rivoluzione culturale. Senza di
essa ogni legame con gli ideali del passato invece di aiutarci ci
sarà solo di peso.

Dobbiamo
iniziare rendendoci conto che noi nel mondo occidentale in crisi
siamo immersi fino al collo, sia come interessi materiali sia come
struttura mentale. Dobbiamo capire le nostre contraddizioni. Ad
esempio che non possiamo volere più sviluppo e meno guerre.
Dobbiamo invece pensare a come ridistribuire la ricchezza e sottrarre
potere a chi accumula e fa guerre. Dobbiamo cioè mettere in
discussione alla radice il sistema che finora ha garantito a
ognuno di noi singolarmente, lo sapessimo o meno, lo volessimo o
meno, quel tanto o poco di benessere.

Siamo
in grado di accettare che non è il Sole che gira attorno alla Terra?

Facciamo
un piccolo esperimento mentale natalizio. Non è forse vero che
questo Natale con poche luminarie, con regali sotto tono, un po’ ci
rattrista? Eppure non abbiamo sempre deprecato il carattere
consumistico del Natale? Sì, ma è come se perdessimo un po’ di
noi stessi, del nostro vissuto. Chiudiamo gli occhi e pensiamoci un
po’.

È
un esempio delle intime contraddizioni che dobbiamo risolvere, della
mentalità che ci ha formati. Insomma, della nostra storia.

Ma
assieme alla nostra storia dobbiamo fare i conti con la
Storia, unire l’autocritica e la critica, perché occorrono
entrambe. Altrimenti la prima, da sola, si risolve in un puro
pentimento senza seguito, o persino in quell’errato senso di
piccola colpevolezza verso il mondo che assolve i grandi colpevoli.
Mentre la seconda, da sola, porta a pensare che siamo di fronte a
problemi così grandi che, sgomenti, non possiamo affrontare.

E
la critica ci fa comprendere che il mondo non occidentale, cioè i
6/7 dell’umanità, su guerra e pace, su democrazia
e diritti la pensa in un altro modo. E soprattutto ci fa
comprendere perché è così.

Anche
quando i termini utilizzati sono gli stessi, anche quando i concetti
sono i medesimi, la loro ricezione e la reazione che essi suscitano
sono differenti. Ed è una differenza che va ben oltre le distinzioni
derivanti dalle linee di frattura geopolitiche. È differenza di
percezione e di elaborazione. Perché sono tremendamente differenti
non solo la politica, ma la storia e la cultura in cui questi termini
si precisano. Ed è quindi tremendamente importante il pulpito da cui
questi concetti vengono predicati.

La
cultura occidentale è la cultura dell’aggressione
, la cultura
di chi ha costruito il proprio benessere a partire dalla spoliazione
genocida delle colonie e dal commercio triangolare atlantico basato
sulla tratta degli schiavi. La cultura di chi nel 1914 aveva il
possesso diretto dell’85% delle terre emerse.

Oggi
è come se fossimo tornati a quel punto nella Storia. Anzi alla
sintesi di tutti i precedenti punti di svolta del capitalismo
occidentale. Abbiamo bisogno di merce umana, abbiamo bisogno di
depredare, abbiamo bisogno di conquistare. Con la differenza che i
posseduti di allora non sono più oggetti ma soggetti. E se non ce ne
rendiamo conto il disastro è inevitabile.

Le
difficoltà, se non il declino, della “nazione indispensabile” e
della sua sfera d’influenza, a cui noi apparteniamo, ci ha messo di
nuovo di fronte alla cruda realtà, senza più schermi. O cambiamo
registro e cambiamo la Storia, oppure rischiamo molto seriamente la
fine della vita sulla Terra.

È
un cambiamento collettivo che viene richiesto, che riguarda per primi
gli Stati Uniti e i suoi vassalli, ma che riguarda anche i loro
competitor.

3.
Ci sarà molto difficile cambiare mentalità, condurre la nostra
rivoluzione culturale.

Ci
sarà difficile perché la generazione che ha tuttora in mano le
redini è cresciuta durante l’apogeo del capitalismo, i venti anni
d’oro del dopoguerra, o nella sua scia immediata. Quello è il
modello che ha in testa. Sviluppo, sviluppo e ancora sviluppo. A
tutti i costi. Un modo di vivere bene senza uno sviluppo distruttivo
della natura e degli altri popoli non lo abbiamo mai conosciuto e
facciamo fatica ad immaginarcelo e ai nostri figli non riusciamo a
far altro che trasmettere la nostalgia per quell’età dell’oro
e della distruzione
, senza nemmeno renderci conto che proprio
essa ha condotto il mondo a questa drammatica situazione.

Ma
un altro mondo possibile lo dobbiamo immaginare. Per forza.
Altrimenti è finita.

Perché
quello sviluppo, che è poi l’accumulazione senza fine e senza un
fine, è la causa dei conflitti, perché nasce e si nutre di
disuguaglianze, di differenziali economici, finanziari,
sociali, intellettuali, psicologici, ecologici. Differenziali in ogni
sfera dell’essere e dell’agire umano, che devono essere
mantenuti, creati, ricercati. Costi quel che costi.

Dobbiamo
fermare l’aggressività della nostra parte, dell’Occidente. Ma
contemporaneamente dobbiamo prevenire che la fiaccola del primato
dell’accumulazione senza fine e senza un fine passi semplicemente a
un altro testimone. Perché prima o poi farà le stesse cose. È
inevitabile.

Prendiamo
attivamente le parti della Pace, non quelle di una potenza invece di
un’altra.

Prendiamo
attivamente le parti della Natura, devastata dall’accumulazione
senza fine.

Prendiamo
attivamente le parti dell’Umanità umiliata e offesa
dall’accumulazione senza un fine.

Prendiamo
attivamente le parti della Democrazia, la prima vittima delle crisi,
delle guerre e dei disastri ecologici. Ma per farlo dobbiamo
trasformarla da totem immobile del progresso in veicolo
dell’emancipazione, cioè nel modo in cui tutti costruiscono
la cosa pubblica e non solo vi partecipano in qualche maniera sempre
più labile.

Non
sono buoni propositi per l’anno nuovo. Sono constatazioni di ciò
che è necessario fare.

Il
buon proposito per il 2015 è che queste constatazioni inizino almeno
ad essere prese in seria considerazione. Sarebbe già un buon
risultato.

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