‘di Vito Lops
Inutile girarci intorno. Grandi banche d’affari e investitori istituzionali avevano ipotizzato uno scenario da shock sui mercati finanziari in caso di vittoria di Donald Trump alle presidenziali statunitensi. Prevedendo ribassi per Wall Street anche nell’ordine del 10%. Invece così non è stato, anzi è accaduto l’esatto opposto. Dal 9 novembre Wall Street ha inanellato 7 sedute su 8 al rialzo (e anche oggi prosegue in rialzo). L’indice S&P 500 (il più rappresentativo visto che include centinaia di aziende) è salito del 2%. Il Dow Jones industrial (che ne include 30) è salito del 3% e il Russell 2000 (l’indice che raggruppa le piccole e medie imprese statunitensi quotate) ha fatto addirittura un balzo del 10%. Esattamente il chiasmo delle previsioni.
Come mai la realtà è risultata così distante dalle stime semi-apocalittiche dei big della finanza? Due le ipotesi possibili:
1) questi ultimi, supportando apertamente la Clinton (che dagli ambienti finanziari ha ricevuto molti più fondi per finanziare la campagna elettorale rispetto a Trump) hanno esagerato intenzionalmente nel dipingere uno scenario catastrofico in caso di successo del tycoon, per spingere parte dell’elettorato a votare la Clinton anche per l’ “effetto-pauraâ€
2) molto semplicemente hanno sbagliato previsione. E non sarebbe la prima volta. Quest’anno, del resto, è già successo con la Brexit quando lo scenario catastrofico previsto dopo il voto del 23 giugno nel Regno Unito, al momento non si è materializzato (ed è presto per capire se si materializzerà anche perché difatti il percorso della Brexit resta ancora incerto e vago e quindi non ancora ascrivibile ai fatti)
Sta di fatto che quella sorta di intelligenza finanziaria collettiva con cui oggi possiamo definire “i mercati†(che include e in modo preponderante le stesse banche d’affari e i grossi investitori istituzionali) ha poi premiato Trump. Con acquisti in Borsa. Insomma gli stessi previsori che avevano dipinto uno scenario drammatico in caso di successo del candidato repubblicano, anziché vendere hanno poi comprato le azioni.
Ma come mai Trump, ora che è passato qualche giorno lo si può dedurre, piace a Wall Street? «In generale Wall Street ha inaspettatamente dato seguito a un buon recupero, complice un piano piuttosto ambizioso di investimenti del presidente eletto e delle aspettative inflattive più alte che hanno portato a un deflusso dal reddito fisso (per lo più governativo) per un riposizionamento sull”equity – spiega Vincenzo Longo, strategist di Ig -. Il rialzo è stato guidato dai settori che più beneficerebbero delle politiche di Trump: banche, costruzioni e farmaceutici. E dalle società di piccola e media capitalizzazione (presenti nell’indice Russell 2000), quelle che dovrebbero beneficare maggiormente di una politica fiscale ultra espansiva e protezionistica come quella promessa da Trump».
Quindi Wall Street piace a Trump perché se davvero attuerà una politica fiscale espansiva (ha indicato di volere ampliare il deficit/Pil al 6% medio annuo) spingerà un aumento dell’inflazione. Questo farà salire i tassi (come sta già accadendo) favorendo le vendite sui titoli di Stato. Questa liquidità viene poi spostata sull’azionario. L’azionario poi trova ulteriore spinta da altre politiche promesse da Trump, ovvero la riduzione delle tasse alle imprese per favorire il rientro dei capitali negli Usa. Una riduzione delle tasse a carico delle aziende dovrebbe far aumentare gli utili e, di conseguenza, Wall Street sta iniziando a prezzare questo scenario.
«Il taglio delle tasse e l”aumento della spesa pubblica sono stati tra i principali punti chiave del programma elettorale. Il mercato ha reagito di conseguenza con un rimbalzo delle sue componenti più cicliche: rame + 5.95%, industriali +5,1%; Finanziari +10,8%», spiega Alfonso Maglio, portfolio manager di Marzotto Sim.
«La politica di Trump è volta a spingere l”acceleratore sulla politica fiscale, di conseguenza gli investitori non hanno esitato a spostare ingenti quantità di denaro da cash e titoli di stato americani sull”azionario americano, in particolare su titoli a piccola/media capitalizzazione che sono tipicamente più legati all”economia americana», conferma Marco Aboav, head of asset allocation di Moneyfarm.
Nel recupero di Wall Street c’è poi anche un riposizionamento tecnico. «Il recupero di Trump nei sondaggi, nella settimana precedente al voto in seguito al nuovo “mailgate†che aveva interessato l”entourage della candidata democratica aveva spinto il mercato verso sensibili alleggerimenti (il mercato è sceso per 7 sedute di seguito dopo la riapertura del caso) salvo poi recuperare tutto nelle ultime due sedute prima del voto quando la posizione della Clinton si è smarcata dallo scandalo – spiega Massimo Saitta, responsabile investimenti di Intermonte advisory -. Da neo presidente, Trump ha iniziato a chiarire alcuni punti cardine del suo programma economico/finanziario molto focalizzato sulla leva fiscale, un tema in questo momento molto gradito dal mercato che vede ormai esaurito l”effetto delle politiche monetarie messe in atto negli ultimi anni».
Ergo, i motivi per cui Wall Street sta salendo (la nuova politica fiscale e il taglio delle tasse promessi da Trump) sono chiari. Ciò che ancora non lo è (semmai un giorno lo sarà ) è come mai nonostante le politiche su cui ora scommette il mercato erano ben note (Trump le ha più volte ripetute in campagna elettorale) i previsori prima del voto avevano previsto una catastrofe. Che per fortuna non c’è stata.
(21 novembre 2016)[url”Link articolo”]http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-11-21/si-temeva-peggio-ma-trump-wall-street-e-salita-7-giorni-8-come-mai-113528.shtml?uuid=ADWO6wyB[/url] © Il Sole 24 Ore © Vito Lops ([url”twitter.com/vitolops”]twitter.com/vitolops[/url])
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