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Una banca pubblica per rilanciare il paese

Cosa vuol dire “finanziarizzazione dell’economia”? E cosa possiamo fare da subito per invertire la rotta?

Una banca pubblica per rilanciare il paese
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30 Gennaio 2017 - 22.02


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di Alberto Micalizzi

Ondate di carta e debito si abbattono ormai incessantemente sulle
economie europee provocando un’implosione controllata del welfare e
delle strutture economiche e produttive dei Paesi. Questo processo è
stato definito “finanziarizzazione dell’economia”. Di cosa si tratta
esattamente, e cosa possiamo fare da subito per invertire la rotta?

Ci sono almeno tre grandi tecniche di
finanziarizzazione in atto: i) la trasformazione in carta di attività
reali (cartolarizzazione); ii) la creazione di scommesse sul valore di
altri strumenti finanziari (derivati); iii) la pervasività del debito ad
ogni livello principalmente guidato dai presunti programmi di quantitative-easing della BCE (debito pubblico, delle famiglie, delle imprese).

Per capire la rilevanza del tema, vediamo alcuni dati di trend dal 2000 al 2015 (fonte BIS).

  • Il debito pubblico mondiale è passato dal 41% al 86% del PIL del mondo;

  • Il valore nominale dei derivati non-regolamentati (OTC) è passato da 2,3 a 6,8 volte il PIL mondo;
  • Il debito lordo (Stati, famiglie e imprese) è passato da 1 a 2,56 volte il PIL del mondo.

Ciò dimostra chiaramente che l’Euro è stato un acceleratore del
processo di finanziarizzazione e di indebitamento dell’economia, ma
conferma anche che il problema sussisteva già prima dell’introduzione
dell’Euro. Dunque, è un problema che ha radici lontane e l’Euro ne ha
costituito la fase di completamento. In tal senso, possiamo pensare
all’Euro come ad un “acceleratore di particelle…di debito”, una sorta di
“fibra ottica” che ha consentito al debito di circolare più rapidamente.

Peraltro, ricordiamo che L’Euro come pseudo-moneta agisce all’interno di un’impalcatura che include il Fiscal Compact, che porta con sé la menzogna dell’austerità, la BCE con le false politiche di quantitative-easing che sono semplici trasferimenti di tesoreria alle banche, il MES come organo di governance
mascherato da fondo salva-Stati e tutta una serie di altre istituzioni e
regolamenti che nel complesso costituiscono il grande disegno di
indebitamento e asservimento dei popoli dell’Eurozona. Quindi, parlando
di Euro va sempre ricordato che il problema è più vasto e profondo e
richiede il ripensamento di un intero modello di asservimento che sta
falcidiandoci.

Questo sistema è disegnato per alimentare la sfera finanziaria, che
ha bisogno di crescere secondo fattori esponenziali, non compatibili con
la creazione di ricchezza da parte dell’economia reale, per questo ha
bisogno di appropriarsi direttamente dei beni, sia pubblici che
privati.
È una grande idrovora che aspira ricchezza dalla sfera reale e
produttiva a vantaggio di quella finanziaria e speculativa.

Quali sono le conseguenze di queste azioni
incessanti messe in atto dal settore finanziario? Alcune di esse sono
sotto ai nostri occhi. Reati finanziari quali la manipolazione di
mercato (rating), truffe sulla vendita dei titoli derivati,
appropriazione indebita di interessi passivi, aggiotaggio di borsa;
agevolazione dei processi di privatizzazione e svendita in combinazione
con tecniche di cartolarizzazione dei beni; maggiore diffusione del
debito a tutti i livelli.

In questo contesto, l’attuazione della Costituzione incontra ostacoli
insormontabili. Vediamone i principali. Per quanto attiene agli Art. 35-36
(lavoro e diritti), ricordiamo che la finanziarizzazione dell’economia
ha bisogno di deflazione e disoccupazione strutturale, come è stato
anche ammesso da noti esponenti del PD negli ultimi tempi (vedi
dichiarazioni dell’On. D’Attorre). Non basta. La finanziarizzazione ha
anche comportato l’assorbimento del lavoro all’interno della legge
utilitaristica della domanda e dell’offerta, nota dottrina neo-liberista
secondo la quale il livello dei salari manterrebbe in equilibrio il
mercato…Ecco dunque lo scadimento di qualsiasi forma di tutela, di
diritti e di operosità sociale del lavoro (aiutato anche dal selvaggio
flusso immigratorio…).

Ancora, l’Art. 38 che tratta di assistenza sociale trova certamente nel Fiscal Compact uno degli ostacoli alla propria attuazione; l’Art. 41, dove si dice che “La
legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a
fini sociali
”, incontra l’ostacolo fondamentale della perdita di
governo dell’economia da parte degli esecutivi nazionali dovuti alla
cessione di sovranità; l’Art. 42 che tutela la proprietà
pubblica si scontra con l’esigenza ricordata che ha la sfera
finanziaria di provocare processi di privatizzazione e svendita.

Ma è soprattutto l’Art. 47 della Costituzione ad essere ostacolato più di qualsiasi altro. Laddove si dice che “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”. Ciò è l’esatto opposto di quanto accade ormai da decenni.

Il credito è moneta, dato che oltre il 90% della massa monetaria in
circolazione (secondo dati BCE) è rappresentata dai depositi fittizi
creati dalle banche commerciali all’atto della concessione di crediti
alla clientela (circa 9 trilioni di euro sul totale di 10 trilioni di
aggregato monetario M2 al 2015). Ora, la gestione della moneta e quindi del credito è stata appaltata ad un sistema di banche private,
di entità finanziarie assimilabili alle nostre società per azioni, che
perseguono finalità di profitto privato senza alcuna logica o
considerazione di obiettivi sociali o pubblici. Ciò è tanto vero che la
stessa BCE non ha nei propri obiettivi quello della
crescita dell’economia reale, bensì quello del contenimento
dell’inflazione, che misura il potere d’acquisto della moneta da essi
creata.

C’è a ben vedere una radice comune a tutto ciò che si chiama debito.
Infatti, il rating e le relative manipolazioni che stiamo conoscendo
meglio in questi giorni grazie alla Procura di Trani riguardano il
debito pubblico; la clausola del “bail in” riguarda il debito
delle banche; i derivati sono stati venduti alla pubblica
amministrazione come parte di operazioni di indebitamento;
l’appropriazione indebita degli interessi passivi riguarda il debito
pubblico; ed i principali casi di aggiotaggio hanno riguardato
operazione di leva finanziaria cioè di debito.

Le soluzioni urgenti per ridare ossigeno all’economia e guadagnare tempo per rivedere i Trattati e attuare riforme strutturali sono due:

1) Una banca pubblica per la raccolta fondi presso
la BCE, consentita esplicitamente dal comma 2 dall’art 123 del Trattato
sul funzionamento dell’Unione Europea, per l’attuazione di un vasto
programma di erogazione di finanziamenti alla piccola e media impresa.
Ciò consentirebbe di porre un argine alle manovre speculative contro il
nostro Paese (quali ad esempio l’uso strumentale dello spread) e
ricostruire una politica di intervento pubblico in quei settori
strategici irrinunciabili quali acqua, energia, difesa,
telecomunicazioni che sono tuttora in parte di proprietà statale in
numerosi Paesi dell’Eurozona inclusi Francia e Germania.

Nelle condizioni attuali, ciò può essere attuato sia impiegando
opportunamente MPS, dato il sacrificio che tutti faremo per salvarla,
sia trasformando in banca una sezione della Cassa Depositi e Prestiti, sul modello della KfW tedesca.

2) La separazione tra banche commerciali e banche d’affari,
dove nel primo caso si stabilisca una protezione incondizionata del
risparmio. Ciò consentirebbe anche un corretto espletarsi di politiche
di finanziamento alle imprese, che contribuirebbero a ridare ossigeno
alla parte produttiva del Paese.

Infine, è forse superfluo ribadire che il problema è complesso ed
include numerose altre variabili quali il debito complessivo Italia
detenuto da soggetti non residenti (che oggi ammonta ad oltre 1.000
miliardi di euro), una nuova legge bancaria che ricollochi gli istituti
di credito a servizio dell’economia reale, la revisione dei Trattati
Europei, e diverse altre misure di politica interna ed internazionale.
Tutto insieme non si può fare.

È dunque inevitabile pensare ad un processo almeno a due fasi dove
nella prima si intervenga sulle emergenze a breve, cioè gli interventi
che si possono operare all’interno dei Trattati vigenti, e nella seconda
si modifichino le condizioni strutturali e dunque si ponga mano ai
Trattati Europei.

Rimbocchiamoci le maniche. Adesso sappiamo cosa si può e si deve fare subito. Non c’è rimasto molto tempo…

LA COSTITUZIONE? ORMAI E” L”ULTIMA TRINCEA

Tratto da [url”pandoratv.it/?p=14101″]http://www.pandoratv.it/?p=14101[/url]

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