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Moneta Fiscale, le bugie di Bankitalia

La Banca d'Italia ha criticato la proposta di Moneta Fiscale. In questi due articoli i promotori del progetto rispondono punto per punto alle questioni sollevate

Moneta Fiscale, le bugie di Bankitalia
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14 Dicembre 2017 - 22.46


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Recentemente Banca d’Italia ha criticato la proposta di Moneta Fiscale. In questi due articoli i promotori del progetto – autori  anche di un ebook per MicroMega – rispondono punto per punto alle questioni sollevate: “Se sono queste le critiche, ci permettiamo di sentirci ancora più confortati in merito alla bontà del progetto della Moneta Fiscale”.

 

1) di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Stefano Sylos Labini.

La Banca d’Italia ha dedicato, nella sezione “Il nostro punto di vista” del suo sito istituzionale, un commento alle proposte di Moneta Fiscale formulate (afferma il pezzo in questione) da “alcuni commentatori economici”. 
Tra questi “commentatori economici” (in effetti, un ampio ventaglio di docenti universitari, ricercatori, collaboratori di istituzioni sovranazionali, e professionisti nel settore finanziario) i firmatari del presente articolo sono stati particolarmente attivi. Cosa ben nota ai lettori di Micromega, che ha ospitato il nostro ebooknonché parecchi altri interventi (qui una recente sintesi). 
Ci sembra quindi doveroso replicare alle osservazioni di Banca d’Italia. 
In primo luogo, dobbiamo osservare che l’autore del pezzo sembra essere caduto in equivoco in merito ai contenuti della proposta, dove afferma che “nei rapporti, invece, tra lo Stato e i propri creditori (ad esempio, fornitori e dipendenti), questi ultimi, ove costretti ad accettare in pagamento la moneta fiscale, subirebbero una riduzione del loro reddito, essendo pagati con uno strumento di minore valore rispetto alla moneta legale negli scambi successivi”. 
Il progetto Moneta Fiscale non prevede nessun meccanismo di accettazione obbligatoria. Comporta invece l’emissione di uno strumento finanziario che in qualunque momento può essere liberamente scambiato, e quindi accettato in cambio di beni, servizi, denaro o titoli, ma su base puramente volontaria. Nessun pagamento già contrattualmente definito viene convertito da euro a Moneta Fiscale. 
Mediante l’emissione e l’assegnazione di tale strumento, si rende possibile integrare i redditi dei lavoratori (pubblici e privati), ridurre il carico fiscale effettivo delle aziende (attribuendo Moneta Fiscale ai datori di lavoro in funzione dei costi da essi sostenuti), e mettere a disposizione delle amministrazioni pubbliche potere d’acquisto per effettuare azioni supplementari di spesa sociale, investimenti di pubblica utilità ecc. 
La Moneta Fiscale viene quindi utilizzata in funzione incrementativa della domanda interna e migliorativa della competitività delle aziende, attivando politiche espansive dell’attività economica. 
In secondo luogo, il commento di Banca d’Italia afferma che “trattandosi a tutti gli effetti di passività dello Stato, tali strumenti potrebbero essere emessi solo rispettando i vincoli riguardanti il deficit e il debito pubblico imposti dal Patto di stabilità e crescita”. 
Qui ci troviamo costretti a suggerire all’autore, amichevolmente (se ce lo consente…) ma con molta, MOLTA sollecitudine, un esauriente ripasso dei principi contabili internazionali. Alla luce dei quali (IFRS 15 e IAS 18) un titolo che dà diritto a uno sconto futuro non deve essere registrato contabilmente all’atto dell’emissione. Semplicemente, andrà a ridurre le entrate nel momento in cui verrà utilizzato. 
L’impatto negativo è da valutare, quindi, con riferimento al momento dell’utilizzo per conseguire gli sconti fiscali, che è posticipato (di due anni, nella nostra proposta) rispetto all’assegnazione. Ma in una situazione di elevata disoccupazione e capacità produttiva inutilizzata, l’espansione della produzione e del reddito prodotta dall’incremento di potere d’acquisto in circolazione compensa l’impatto (a scadenza) degli sconti fiscali medesimi. Lo confermano varie simulazioni condotte dal nostro gruppo di lavoro (qui a pagina 13 e seguenti) ma anche da istituzioni terze (qui Mediobanca, pagine 56 e seguenti). 
In totale coerenza con i principi contabili sopra citati, Eurostat – ente preposto a stabilire le regolamentazioni contabili a cui gli stati membri UE aderiscono – distingue con totale chiarezza e assenza di ambiguità i payable tax credits dai non-payable tax credits
payable tax-credits danno diritto a conseguire sconti d’imposta, ma se il diritto non viene esercitato entro una certa data, è dovuto dalla Pubblica Amministrazione il pagamento del corrispettivo in euro. In questo caso, all’atto dell’emissione il titolo deve essere registrato come debito pubblico. 
Per i non payable tax-credits(categoria in cui rientra la Moneta Fiscale) sussiste invece il diritto allo sconto fiscale ma nonal pagamento in euro. E in questo caso non c’è registrazione contabile all’atto dell’emissione. L’approccio adottato, come si vede, è del tutto omogeneo ai principi IFRS e IAS. 
Il commento della Banca d’Italia afferma poi che “l’emissione di moneta fiscale richiederebbe inoltre l’istituzione di un sistema di pagamenti ad hoc con misure anti-contraffazione (per permettere che le imprese e le famiglie le attribuiscano la stessa fiducia che è attribuita alle banconote), comportando ulteriori costi aggiuntivi rispetto quelli pagati per l’emissione dei titoli di Stato”. 
Non si capiscono i motivi di questa preoccupazione. La Moneta Fiscale può essere emessa mediante Certificati di Credito Fiscale (CCF), titoli dematerializzati che circolerebbero sul mercato finanziario (e sarebbero negoziabili contro euro) in modo analogo ai normali titoli di Stato. Può anche circolare su appositi supporti elettronici (quali carte di debito, conti online, internet ecc.). L’emissione in formato cartaceo non è affatto indispensabile (fermo restando che le misure anti-contraffazione sono ampiamente conosciute e testate, sia per le emissioni elettroniche, sia per quelle cartacee). 
In un altro passaggio, il commento della Banca d’Italia sostiene che “emissioni di questo genere di strumenti sono avvenute molto raramente, in concomitanza con gravi crisi di liquidità dello Stato e con la conseguente impossibilità di finanziarsi tramite i mercati. I casi più frequentemente citati sono la Germania nel 1933 e la California (più volte, l’ultima nel 2009) entrambi molto particolari e da valutare in un preciso contesto storico ed economico”. 
Il “ben preciso contesto storico ed economico” è quello di uno Stato che, a causa di vincoli imposti da accordi internazionali (il trattato di Versailles nel primo caso, il fatto di non essere l’emittente della propria moneta nell’altro) si trova impossibilitato a sviluppare le necessarie azioni di sostegno della domanda – anzi, è costretto ad attuare politiche restrittive e procicliche – nel mezzo di una depressione economica (conseguente, rispettivamente, al crollo di Wall Street del 1933, e alla crisi finanziaria internazionale del 2008). 
L’esperienza tedesca del 1933(e anni successivi) si rivelò enormemente efficace nel rivitalizzare domanda, produzione e occupazione. Quella californiana del 2009 no, ma i motivi sono chiari: uno strumento finanziario utilizzabile per scontare tasse future ha una notevolissima valenza se emesso da uno Stato dotato di piena autonomia fiscale. Risolve invece ben poco se l’emittente è un ente locale, che gestisce solo una modesta frazione delle entrate pubbliche di sua competenza. 
Quest’ultima è la situazione della California, che pur essendo un ente territoriale di dimensione (economica e demografica) rilevante, è parte degli USA. In realtà, i titoli californiani erano promesse di pagamento (IOU), quindi debito a tutti gli effetti, ma dotati di credibilità decisamente scarsa (data la situazione di insolvenza dell’emittente). L’utilizzabilità per pagare tasse locali aggiungeva poco, dato che i tributi federali negli USA sono, ovviamente, il grosso del totale. 
Il caso italiano odierno presenta forti analogie con quello tedesco del 1933. L’Italia è sì “in grado di finanziarsi sui mercati”, ma all’interno di una cornice di vincoli che le impedisce di intraprendere le azioni anticicliche necessarie a superare la crisi di domanda iniziata, ormai, parecchi anni fa. 
Si parla di oltre 120 miliardi di PIL reale in meno a nove anni di distanza dall’inizio della crisi – tutti dovuti al crollo della domanda interna: le esportazioni, sia pure di poco, sono cresciute. E le conseguenze in termini di disagio sociale sono spaventose: le persone in povertà assoluta sono passate da 1,79 milioni nel 2007 a 2,65 nel 2011, per salire a 4,74 milioni nel 2016. 
I danni al tessuto sociale prodotti dall’euro-austerità (dal 2011 in poi) sono stati, in pratica, doppi rispetto all’impatto della “crisi Lehman”. Meccanismi di gestione nell’economia che buttano (letteralmente) milioni di persone in mezzo alla strada, con la prospettiva di lasciarcele per un tempo indefinito, sono semplicemente inaccettabili. 
Si parla oggi di una ripresa in atto, sulla base di una crescita dell’1,5% prevista per il PIL reale nel 2017. Ma le dimensioni della depressione da domanda sono tali che all’Italia serve ben altro: crescite superiori al 3% per almeno tre o quattro anni, per recuperare il terreno perduto durante una crisi che oggi non si può definire nemmeno avviata a soluzione. 
La Moneta Fiscale consente il contestuale (e assolutamente indispensabile) rilancio di domanda e di competitività. Della piena compatibilità con trattati e regolamenti europei si è detto. Ma soprattutto vale la sostanza: la Moneta Fiscale agisce senza che sia necessario incrementare neanche di un centesimo il debito da rimborsare cash, in euro – quello vero, quello che rischia di generare tensioni e instabilità finanziarie, e per limitare il quale è stato introdotto il Fiscal Compact (sottostimandone però, ed è stato gravissimo, gli impatti prociclici). 
La Moneta Fiscale è lo strumento per superare le disfunzioni dell’eurosistema. E’ attuabile senza dover formulare (in sede UE) richieste che avrebbero possibilità di accettazione assolutamente nulle (quali trasferimenti finanziari o garanzie supplementari). E rispetta in pieno sia la forma che la sostanza degli accordi di gestione economica dell’Eurozona. 
Sorprende che la Banca d’Italia, parte del Sistema Europeo delle Banche Centrali, da un lato si confonda in merito alla normativa UE nella parte in cui questa definisce che cosa è debito e che cosa non lo è. E dall’altro, dia l’idea di scambiare un titolo che può essere usato fiduciariamente per una sorta di “moneta legale suppletiva” emessa dagli Stati. 
Se sono queste le critiche, ci permettiamo di sentirci ancora più confortati in merito alla bontà del progetto Moneta Fiscale…

 

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2) di Enrico Grazzini.

Banca d’Italia continua a fare confusione e rischia di collezionare un’altra brutta figura: in un suo recente scritto dell’11 dicembre Bankitalia attacca la moneta fiscale senza però chiarire che cosa intende veramente per moneta fiscale e quale progetto di moneta fiscale effettivamente critichi [1].

Banca d’Italia attacca la cosiddetta moneta fiscale come se fosse una moneta parallela, ma NON lo è (almeno nella versione più diffusa, quella pubblicata da Micromega). Afferma che la moneta fiscale vorrebbe sostituire l’euro come mezzo di pagamento, ma NON è così. Afferma che la moneta fiscale aumenterebbe il deficit e il debito pubblico e non rispetterebbe i vincoli dell’eurozona, ma NON è così. La Banca d’Italia commette quindi una serie di clamorosi errori e di vistose inesattezze. E si esprime anche su questioni che esorbitano dalle sue competenze. 
Quando abbiamo chiesto alla Banca Centrale Europea che cosa pensava della moneta fiscale e di quelli che allora si chiamavano Certificati di Credito Fiscale (e che ora chiamo in maniera più appropriata Titoli di Sconto Fiscale, ma sono sostanzialmente la stessa cosa) la BCE a febbraio 2015 rispose ufficialmente: Dear Sir, Thank you for your email. Unfortunately, you refer to issues for which it is not up to the ECB to deal with and therefore not in a position to answer questions. But even if these were issues indeed issues for the ECB, there would not be an official ECB opinion on them. Thank you for your understanding, Kind regards, Global Media Relations, Directorate General Communications & Language Services. EUROPEAN CENTRAL BANK. 
Di più: quando gli eurodeputati Marco Valli (5 Stelle) e Marco Zanni (ex 5 Stelle, oggi forse Lega) hanno chiesto a Mario Draghi in persona se i Certificati di Credito Fiscale costituissero incremento di debito per lo stato, Draghi rispose formalmente (16 novembre 2015): 

The definition of the appropriate statistical treatment – as far as government deficit and debt are concerned – of tax credit certificates or any similar instrument does not fall within the ECB’s competence. Therefore, I would kindly refer you to the competent national and/or European authorities.Yours sincerely, Mario Draghi. 

Dunque la BCE chiarisce giustamente che la moneta fiscale, ovvero i titoli di riduzione fiscale emessi dallo stato, non sono di sua competenza; e che la moneta fiscale, in quanto costituita appunto da titoli di stato, riguarda casomai i Ministeri delle Finanze e le istituzioni europee. Draghi afferma chiaramente che, essendo i TSF al di fuori del perimetro della sua sfera d’azione, non rientra nei suoi compiti valutare se questi titoli generino debito o meno. E ovviamente si guarda bene dal condannare l’emissione dei tax credit certificates. 
Invece la Banca d’Italia “supera” la BCE, in qualche modo la contraddice, entra nel merito della moneta fiscale e la condanna praticamente senza appello anche perché …. aumenterebbe il debito pubblico (falso!) e non sarebbe compatibile con le regole dell’eurozona (falso!). Insomma Bankitalia – a differenza della BCE – sembra esorbitare imprudentemente dalle sue competenze. Tuttavia occorre rispondere puntualmente alle sue critiche. 
Innanzitutto chiariamo: la cosiddetta moneta fiscale non è assolutamente una moneta – come vorrebbe fare intendere Bankitalia -, né è tanto meno una moneta legale che sostituisce l’euro. La moneta fiscale è un titolo di stato denominato in euro. Più precisamente il progetto di moneta fiscale di cui sono promotore insieme ad altri intellettuali, economisti e docenti universitari – cioè il progetto illustrato nell’ebook pubblicato da Micromega “Per una moneta fiscale gratuita” [2] e poi, più recentemente, in un articolo scritto dal sottoscritto per la rivista Micromega [3]– propone l’emissione di Titoli di Sconto Fiscale emessi dal Tesoro, negoziabili sul mercato finanziario e quindi facilmente convertibili in euro proprio come i BOT e i BTP. 
Più precisamente i Titoli di Sconto Fiscale, TSF, garantiscono ai possessori (famiglie e imprese) il diritto a uno sconto sui pagamenti dovuti alla pubblica amministrazione – fisco, contributi, tariffe, multe eccetera – per una somma pari al loro valore nominale a partire da tre anni dall’emissione: ovvero i TSF sono utilizzabili per gli sgravi fiscali solo nel quarto anno. Il differimento dell’utilizzo è un punto fondamentale perché altrimenti i TSF sarebbero dei semplici tagli fiscali e produrrebbero immediatamente deficit pubblico. 
Quando la Banca d’Italia afferma che: “La moneta fiscale non potrebbe avere corso legale; … All’emissione la moneta fiscale svolgerebbe solo la funzione di riserva di valore, e da questo punto di vista sarebbe del tutto simile a un titolo di Stato” essa sfonda una porta aperta. Infatti la moneta fiscale non è moneta legale, né soprattutto vuole esserlo (altrimenti per definizione sarebbe illegale!). Inoltre la moneta fiscale non è “simile” a un titolo di stato: è proprio un titolo di stato. 
Banca d’Italia prosegue affermando che:

Sulla base della legislazione vigente tale “moneta” potrebbe essere utilizzata come mezzo di pagamento solo con il consenso del creditore….. è prevedibile che, non essendo dotata di corso legale, avrebbe un minore grado di liquidità nelle transazioni diverse dal pagamento delle tasse”. 

Ma Bankitalia non comprende che la caratteristica più importante dei TSF consiste nel fatto che, come qualsiasi titolo di stato, come i BOT e i BTP, essi sono negoziabili e possono essere immediatamente convertiti in euro sul mercato finanziario. I TSF perciò si trasformano subito in crescita dei redditi in euro e della capacità di spesa in euro. Quindi sul mercato dei beni e servizi circoleranno gli euro, e non buoni fiscali ad accettazione più o meno volontaria da parte dei creditori (negozi, supermercati, imprese, ecc). E ovviamente tutti accettano gli euro. Con l’emissione dei TSF e la loro conversione in euro non ci sarebbero mai problemi di accettazione e di carenza di liquidità sui mercati reali, al contrario di quanto prospetta Bankitalia. 
L’altra importantissima particolarità dei TSF è che vengono assegnati gratuitamente a famiglie, imprese ed enti pubblici. L’obiettivo strategico è infatti quello di aumentare la domanda aggregata (consumi e investimenti pubblici e privati) per trainare la crescita della produzione e uscire così dalla trappola della liquidità e dalla crisi tremenda e prolungata in cui ci troviamo. Più domanda significa più produzione e maggiore occupazione, e quindi ripresa dell’economia. 
Ma come fanno i TSF a trasformarsi in euro, in moneta sonante? Il meccanismo di mercato è semplice: chi ha bisogno di denaro vende i TSF ricevuti gratuitamente dallo Stato; i compratori di TSF saranno quei soggetti (individui e aziende) che sono disposti ad acquistare i TSF per pagare a scadenza (dopo tre anni) meno tasse. Il mercato dei TSF sarà estremamente liquido grazie all’intervento degli operatori finanziari (fondi aperti, banche d’affari, fondi pensione, fondi chiusi, ecc). Le banche commerciali fungeranno principalmente come intermediari tra venditori e compratori. La Cassa Depositi e Prestiti potrebbe fungere da market maker. 
Afferma però Bankitalia: Come accaduto in California, la moneta fiscale sarebbe verosimilmente accettata come mezzo di pagamento tra privati solo in cambio di un premio di liquidità, equivalente a uno sconto sul valore facciale. 
Bankitalia suggerisce che la moneta fiscale subirebbe un forte sconto se scambiata tra privati per la compravendita di beni e servizi. Ma questo accadrebbe solo se essa venisse usata nel mercato reale senza prima essere convertita in euro sui mercati finanziari, dove, grazie alla enorme liquidità caratteristica di questi mercati, sarebbe cambiata in euro praticamente alla pari. 
Sul mercato finanziario è prevedibile che i TSF verranno acquistati con un tasso di sconto che varrà al massimo pochi punti percentuali. I TSF sono infatti strumenti monetari a breve termine privi di rischio perché garantiti dal loro valore fiscale (tutti infatti sono tenuti a pagare le tasse, anche se lo Stato fallisse a causa dei suoi debiti). 
Il valore dei TSF sarà analogo a quello di un titolo di Stato zero-coupon a tre anni. Il tasso di sconto dei TSF sarà assai più basso, per esempio, del tasso di interesse dei BTP, attualmente pari al 2% circa. I BTP sono infatti titoli di stato a lungo termine (10 anni) e sono quindi assai più rischiosi degli strumenti a breve e medio termine come i TSF. Inoltre lo stato potrebbe andare in default e non pagare i BTP, mentre i TSF sono sempre validi, perché le tasse si pagano sempre. 100 euro di TSF equivalgono in sostanza a una banconota da 100 euro, o poco meno. 
Bankitalia continua: Nei rapporti, fra lo Stato e i propri creditori (ad esempio, fornitori e dipendenti), questi ultimi, ove costretti ad accettare in pagamento la moneta fiscale, subirebbero una riduzione del loro reddito, essendo pagati con uno strumento di minore valore rispetto alla moneta legale negli scambi successivi. Ciò indurrebbe verosimilmente all’adozione di meccanismi di tutela del valore del proprio reddito (ad esempio revisioni dei contratti collettivi di lavoro e maggiorazione dei prezzi dei beni e dei servizi nelle gare di appalto). 
Ma Bankitalia non tiene conto di un fatto fondamentale: con la nostra proposta i TSF NON sostituiscono l’euro nei pagamenti; invece, essendo assegnati gratuitamente alle famiglie e alle imprese (per diminuire il cuneo fiscale, renderle più competitive e mantenere in equilibrio la bilancia commerciale con l’estero), costituiscono un aumento netto del loro reddito, ovviamente assai gradito da parte di tutti gli assegnatari. Inoltre i TSF verrebbero assegnati agli enti pubblici e alle amministrazioni locali per investimenti e spese pubbliche, in maniera tale da costituire risorse aggiuntive dello stato, senza però sostituire mai i pagamenti in moneta legale. 
Secondo Bankitalia la moneta fiscale aumenta i debiti di stato e comporta la rottura delle regole dell’eurozona. Si chiede infatti la Banca d’Italia: Questi strumenti potrebbero essere emessi senza aumentare il debito dello Stato? (e poi si risponde, ndr) No. La moneta fiscale rappresenta una passività del Governo sin dal momento in cui è emessa, così come i titoli di Stato. Del resto anche le monete metalliche emesse dallo Stato, che pure hanno corso legale, sono considerate passività dello Stato e sono conteggiate ai fini del debito pubblico. L’emissione di questi strumenti permetterebbe di evitare i vincoli europei? No. Trattandosi a tutti gli effetti di passività dello Stato, tali strumenti potrebbero essere emessi solo rispettando i vincoli riguardanti il deficit e il debito pubblico imposti dal Patto di stabilità e crescita. 
E’ facile contraddire queste critiche. I TSF in realtà non generano debito né al momento dell’emissione né nel periodo dell’utilizzo, cioè dopo tre anni. Infatti nel momento della creazione dei TSF lo Stato non sborsa soldi e quindi non genera alcun deficit fiscale; inoltre sul piano contabile i TSF non possono essere computati come deficit pubblico perché il governo emittente non s’impegna a rimborsarli in euro ma soltanto a concedere futuri sconti sulle tasse. E gli sconti non possono mai essere classificati come debiti finanziari. L’Eurostat spiega chiaramente che i TSF non possono essere computati come debito, proprio perché non generano crediti in euro a favore degli assegnatari verso lo stato[4]
Inoltre, prima della scadenza dei TSF, sarà il moltiplicatore keynesiano a garantire la crescita dell’economia nazionale e, a termine, la copertura finanziaria degli stessi. Infatti nel periodo di tre anni che intercorre dall’emissione dei TSF al loro utilizzo per pagare le tasse, l’incremento della domanda legato al maggior potere d’acquisto farà crescere rapidamente il PIL reale e nominale. E la conseguente crescita dei ricavi fiscali farà sì che i TSF si ripaghino da soli. 
Come insegna l’esperienza storica – e come hanno verificato Olivier Blanchard e Daniel Leigh in un noto studio effettuato per conto del Fondo monetario internazionale [5] – il valore del moltiplicatore fiscale è molto superiore a 1(uno) in tempi di crisi, ovvero in caso di forte sottoutilizzo delle risorse produttive e di bassi tassi di interesse, come è purtroppo nella situazione attuale italiana. Così ogni euro immesso nell’economia reale grazie ai TSF genererà un aumento più che proporzionale del PIL. 
Grazie alla moneta fiscale l’economia italiana riprenderebbe a crescere a ritmi sostenuti. Mediobanca Securities in un suo studio afferma che con la moneta fiscale la crescita del pil italiano potrebbe raddoppiare [6].

Del resto è facile capire che se si dà da bere a uno che sta morendo di sete, questi poi, di nuovo in forma, sarà in grado di ripagare facilmente l’acqua che gli è stata offerta. 
L’aumento del PIL genererebbe un incremento dei ricavi fiscali tali da compensare la perdita che si creerebbe a parità di condizioni con l’emissione dei TSF. I mercati finanziari potrebbero vedere con favore il fatto che il bilancio pubblico migliora, che il rapporto debito/pil diminuisce e che lo spettro del default italiano scompare definitivamente: i creditori avrebbero finalmente la sicurezza di riavere indietro tutti i loro prestiti nei tempi dovuti (e con l’interesse pattuito). 
Lo shock monetario-fiscale renderà nuovamente vitale l’economia nazionale. Le emissioni di TSF potrebbero partire da un livello pari più o meno al 3% del pil annuo – circa 40 miliardi di euro – e durare tre anni per un ammontare totale di circa 80-90 miliardi: le emissioni saranno modulate in modo da assicurare alti livelli di occupazione senza però produrre un’inflazione superiore al 3-4%. 
Sul piano istituzionale la manovra è perfettamente in linea con i trattati europei poiché a) i TSF sono titoli di Stato, non una moneta alternativa alla moneta legale (l’euro), e quindi non contrastano minimamente il monopolio della Bce sulla moneta unica; b) i TSF sono titoli di sgravio fiscale, e in campo fiscale ogni Stato è (per fortuna!) ancora sovrano; c) i TSF sono titoli/moneta che non generano nuovo deficit e aumento del debito. Quindi non possono essere attaccati legalmente dalle istituzioni Ue 
In conclusione, la moneta fiscale rappresenta un progetto innovativo e radicale, ma non sembra che esistano alternative concrete altrettanto efficaci. Un governo ambizioso, intelligente e coraggioso potrebbe emettere TSF nel giro di poche settimane con grande consenso ed entusiasmo sociale. Grazie alla moneta fiscale non solo l’economia riprenderebbe a correre, ma la nostra democrazia, il parlamento, la politica e i cittadini riconquisterebbero potere e dignità rispetto a istituzioni sovranazionali non elette e a poteri finanziari che speculano sui debiti pubblici a danno delle popolazioni. 
Se l’Italia adottasse la moneta fiscale, ben presto altre nazioni seguirebbero il suo esempio e i vincoli dell’euro sarebbero rapidamente superati. Inoltre il progetto di moneta fiscale offre il grande vantaggio di poter essere attuato mantenendo la moneta unica europea di fronte alle altre valute internazionali forti, come dollaro, yen, yuan, pound. Grazie alla moneta fiscale, paradossalmente, l’euro potrebbe scampare al suo destino di crisi e forse di crollo, e rivelarsi finalmente utile. 

N  O  T  E

 


[1] Vedi “Le funzioni della moneta e le proposte di “moneta fiscale” in www.bancaditalia.it/media/views/2017/moneta-fiscale/index.html 
[2] Vedi eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall’austerità senza spaccare l’euro” a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino. 
[3] Vedi Enrico Grazzini “Quando la moneta ufficiale non funziona è il momento delle monete alternative”. MicroMega 4/2017: Almanacco di economia – “Solo l’eguaglianza ci può salvare!” 
[4] Vedi il documento Eurosta in Esa2010: Treatment Of Deferred Tax Assets (DTAs) And Recording Of Tax Credits Related To Dtas In esso si afferma che “If the tax credit carried forward is payable, it would be recorded only once, at the time of recognition by the tax authorities and no amounts would be subsequently recorded if the amounts not used in each period to pay less taxes are carried forward, even if in business accounts a deferred tax asset would be recorded in the balance sheet. On the contrary, if the tax credit carried forward is non-payable, the amount effectively used to pay less tax in each accounting period would be recorded as reducing tax revenue, the remaining amounts being carried forward and recorded as reducing tax revenue in subsequent accounting periods”. All’articolo 2.1 : “In order to classify a tax credit as payable, the following condition must be fulfilled: the full amount of the tax credit will be paid out to the beneficiary (it is an obligation for government and therefore a non-contingent government liability). Any tax credit not fulfilling the above condition is a non-payable tax credit”. Esistono quindi due tipi di crediti fiscali: quelli payable e quelli non-payable (sconti fiscali). La registrazione contabile e l’impatto su deficit dei primi avvengono al momento del loro riconoscimento da parte delle autorità fiscali; dei secondi, al momento del loro effettivo utilizzo. Il Titolo di Sconto Fiscale, non essendo rimborsabile in euro, deve essere necessariamente considerato un non-payable tax credit. Non è payable perché, anche quando viene utilizzato (dopo tre anni dalla sua emissione) non si verifica mai un pagamento monetario da parte della pubblica amministrazione al titolare del TSF. 
[5] O. Blanchard, D. Leigh, «Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers», IMF Working Paper, goo.gl/CUJ0tW, gennaio 2013. Vedi anche lo studio del National Bureau of Economic Research di Cambridge (MA) il moltiplicatore keynesiano in Italia dal 2010 al 2014 è stato pari 2-3 (vedi C. L. House, C. Proebsting, L.L. Tesar, «Austerity in the Aftermath of the Great Recession”, Working Paper 23147, febbraio 2017, goo.gl/LAtNR1, p. 32). 
[6] «Country Update, Italy: Tide turns as recovery starts», Mediobanca Securities, novembre 2015. Lo studio è disponibile al seguente link: www.monetafiscale.it.

 

Fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/moneta-fiscale-le-bugie-di-bankitalia/ 

 

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